"Non esiste in Italia materia più studiata e approfondita di quella che riguarda la difesa del suolo. Esistono biblioteche intere piene di libri, di inchieste, di relazioni: cosa dobbiamo conoscere ancora?" La domanda retorica del senatore Gerardo Chiaromonte, formulata il 30 gennaio 1973 nel dibattito sulla catastrofe idrogeologica abbattutasi poche settimane prima su Sicilia e Calabria, conserva ancora intatta la sua efficacia dialettica. La mozione presentata dal PCI sosteneva la necessità "della difesa e della garanzia dell'equilibrio idrogeologico del territorio". Nel corso dello stesso anno, l'Einaudi pubblicava "Le catastrofi naturali sono prevedibili, alluvioni terremoti, frane, valanghe" di Marcel Roubault, che esortava alla pratica di politiche di riduzione dei rischi ambientali. Le conoscenze accumulate avrebbero dovuto determinare una svolta decisiva in materia di governo del territorio e invece il tutto rimase lettera morta. Da allora, il frequente ripetersi di episodi di dissesto idrogeologico è ritualmente commentato, suscitando sempre meno clamore, secondo un canovaccio staticamente imperniato sulla "mancanza di cultura della prevenzione". Sicché, la pragmatica dichiarazione del capo dipartimento della Protezione Civile, Franco Gabrielli, all'indomani del devastante nubifragio del 25 ottobre 2011: "c'è un problema di mancata prevenzione generale, in un territorio troppo antropizzato dove spesso non sono stati fatti interventi per la mitigazione dei rischi", è stata riportata dai quotidiani nazionali in modo asettico. Pungente però la chiosa del giornale dei vescovi: "Vecchie parole, nuova voce". L'articolo si propone di individuare spunti d'analisi sull'incidenza della politica sulla formazione delle conoscenze sulla "difesa del suolo" (specie per ciò che attiene al contributo del Pci), dall'alluvione del Polesine del 1951 alla conclusione dei lavori della commissione De Marchi.
Politica e catastrofi idrogeologiche dal Polesine alla commissione De Marchi
Delle Rose M
2012
Abstract
"Non esiste in Italia materia più studiata e approfondita di quella che riguarda la difesa del suolo. Esistono biblioteche intere piene di libri, di inchieste, di relazioni: cosa dobbiamo conoscere ancora?" La domanda retorica del senatore Gerardo Chiaromonte, formulata il 30 gennaio 1973 nel dibattito sulla catastrofe idrogeologica abbattutasi poche settimane prima su Sicilia e Calabria, conserva ancora intatta la sua efficacia dialettica. La mozione presentata dal PCI sosteneva la necessità "della difesa e della garanzia dell'equilibrio idrogeologico del territorio". Nel corso dello stesso anno, l'Einaudi pubblicava "Le catastrofi naturali sono prevedibili, alluvioni terremoti, frane, valanghe" di Marcel Roubault, che esortava alla pratica di politiche di riduzione dei rischi ambientali. Le conoscenze accumulate avrebbero dovuto determinare una svolta decisiva in materia di governo del territorio e invece il tutto rimase lettera morta. Da allora, il frequente ripetersi di episodi di dissesto idrogeologico è ritualmente commentato, suscitando sempre meno clamore, secondo un canovaccio staticamente imperniato sulla "mancanza di cultura della prevenzione". Sicché, la pragmatica dichiarazione del capo dipartimento della Protezione Civile, Franco Gabrielli, all'indomani del devastante nubifragio del 25 ottobre 2011: "c'è un problema di mancata prevenzione generale, in un territorio troppo antropizzato dove spesso non sono stati fatti interventi per la mitigazione dei rischi", è stata riportata dai quotidiani nazionali in modo asettico. Pungente però la chiosa del giornale dei vescovi: "Vecchie parole, nuova voce". L'articolo si propone di individuare spunti d'analisi sull'incidenza della politica sulla formazione delle conoscenze sulla "difesa del suolo" (specie per ciò che attiene al contributo del Pci), dall'alluvione del Polesine del 1951 alla conclusione dei lavori della commissione De Marchi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


