Solidamente incassata nell'imponente gola da cui prende il nome, la diga del Vajont è una monumentale opera di archeologia industriale, oltre che un documento storico e un luogo della memoria. Essa materializza la «partecipazione del pensiero umano», le altrimenti "intangibili espressioni" delle azioni all'origine della più grave catastrofe idrogeologica provocata dall'uomo nel XX secolo. Longarone fu cancellata dalla geografia dei luoghi per essere poi riedificata, nel rispetto della volontà dei sopravvissuti, secondo un'urbanistica "tradizionale" in antitesi a un piano di ricostruzione modernista. Il disastro, non meno delle sue conseguenze sociali, ingenerò un'ampia produzione saggistica e pubblicistica, pubblicazioni tecniche e scientifiche, mostre permanenti e temporanee, film e spettacoli teatrali; pochi, però, gli studi storici. La data del 9 ottobre, sua ricorrenza, è stata recentemente designata «giornata nazionale in memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali causati dall'incuria dell'uomo». Tuttavia, il termine incuria «sembra voler liquidare in modo un po' troppo riduttivo un qualcosa che ha trovato cause e radici in ben altre realtà di responsabilità individuali e collettive» (Santoloci, 2011). In merito a quest'ultime, il comitato Global Launch Event dell'Anno Internazionale del Pianeta Terra ha sostenuto che "il disastro del bacino del Vajont è un classico esempio delle conseguenze del fallimento di ingegneri e geologi a comprendere la natura del problema che stavano cercando di affrontare" (UNESCO, 2008). Tale giudizio sorprende sia per l'elusione delle responsabilità dell'apparato decisionale sia per la perentoria attribuzione delle colpe e, comunque, non stimola l'analisi critica. Peraltro, la riduzione a mero "errore scientifico" costituisce solo una possibile lettura storica - semplicistica e liquidatoria - del "caso" Vajont, mentre la costruzione di una memoria collettiva è un processo complesso, dagli esiti incerti, che attrae ancora grande interesse. E' necessario, quindi, interrogarsi sul valore simbolico (intangibile, non monetizzabile) che i luoghi del disastro assumeranno per le nuove generazioni quale risultato delle dinamiche e dei conflitti ideologici, nelle scienze, nella storiografia e nella politica. S'intende qui analizzare il condizionamento della politica sul lavoro degli scienziati ed esperti che si sono occupati del Vajont, al fine di contribuire all'elaborazione della memoria e alla definizione del Patrimonio Culturale immateriale. Il piano d'analisi riguarda il «confine fluido e poroso», l'instabile demarcazione tra politica e scienza concettualizzata, in nuce, da Antonio Gramsci nel Quaderno 11 Appunti per una introduzione e un avviamento allo studio della filosofia e della storia della cultura.
Il disastro del Vajont e l'instabile demarcazione tra scienza e politica
Delle Rose M
2013
Abstract
Solidamente incassata nell'imponente gola da cui prende il nome, la diga del Vajont è una monumentale opera di archeologia industriale, oltre che un documento storico e un luogo della memoria. Essa materializza la «partecipazione del pensiero umano», le altrimenti "intangibili espressioni" delle azioni all'origine della più grave catastrofe idrogeologica provocata dall'uomo nel XX secolo. Longarone fu cancellata dalla geografia dei luoghi per essere poi riedificata, nel rispetto della volontà dei sopravvissuti, secondo un'urbanistica "tradizionale" in antitesi a un piano di ricostruzione modernista. Il disastro, non meno delle sue conseguenze sociali, ingenerò un'ampia produzione saggistica e pubblicistica, pubblicazioni tecniche e scientifiche, mostre permanenti e temporanee, film e spettacoli teatrali; pochi, però, gli studi storici. La data del 9 ottobre, sua ricorrenza, è stata recentemente designata «giornata nazionale in memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali causati dall'incuria dell'uomo». Tuttavia, il termine incuria «sembra voler liquidare in modo un po' troppo riduttivo un qualcosa che ha trovato cause e radici in ben altre realtà di responsabilità individuali e collettive» (Santoloci, 2011). In merito a quest'ultime, il comitato Global Launch Event dell'Anno Internazionale del Pianeta Terra ha sostenuto che "il disastro del bacino del Vajont è un classico esempio delle conseguenze del fallimento di ingegneri e geologi a comprendere la natura del problema che stavano cercando di affrontare" (UNESCO, 2008). Tale giudizio sorprende sia per l'elusione delle responsabilità dell'apparato decisionale sia per la perentoria attribuzione delle colpe e, comunque, non stimola l'analisi critica. Peraltro, la riduzione a mero "errore scientifico" costituisce solo una possibile lettura storica - semplicistica e liquidatoria - del "caso" Vajont, mentre la costruzione di una memoria collettiva è un processo complesso, dagli esiti incerti, che attrae ancora grande interesse. E' necessario, quindi, interrogarsi sul valore simbolico (intangibile, non monetizzabile) che i luoghi del disastro assumeranno per le nuove generazioni quale risultato delle dinamiche e dei conflitti ideologici, nelle scienze, nella storiografia e nella politica. S'intende qui analizzare il condizionamento della politica sul lavoro degli scienziati ed esperti che si sono occupati del Vajont, al fine di contribuire all'elaborazione della memoria e alla definizione del Patrimonio Culturale immateriale. Il piano d'analisi riguarda il «confine fluido e poroso», l'instabile demarcazione tra politica e scienza concettualizzata, in nuce, da Antonio Gramsci nel Quaderno 11 Appunti per una introduzione e un avviamento allo studio della filosofia e della storia della cultura.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.