La letteratura scientifica ha ampiamente documentato che i sedimenti ed in generale il materiale particolato dei corpi idrici sono il comparto dell'ecosistema acquatico in cui molti inquinanti organici e inorganici vanno ad adsorbirsi o legarsi chimicamente, aumentando di fatto la loro concentrazione rispetto al mezzo acquoso circostante. Questo processo di accumulo può essere più o meno importante in relazione alle caratteristiche chimiche dell'inquinante ed alla composizione e alle dimensioni delle particelle, oltre che, naturalmente, alle caratteristiche del mezzo acquoso in cui le particelle si vanno formando (aggregando). Questo processo di accumulo rende il comparto delle particelle in sospensione e soprattutto delle particelle che si depositano sul fondo del corpo idrico, una vera e propria fonte di inquinanti e potenzialmente una causa di effetti tossici per la comunità acquatica (Stein et al., 1992; Viganò et al., 1995; Beyer et al., 1996; Chen e White, 2004; Tian et al., 2012). In questo documento, la maggiore attenzione è stata dedicata alla fauna ittica che generalmente è esposta agli inquinanti accumulatisi nel sedimento sia attraverso l'ingestione diretta di particelle e sia attraverso l'ingestione di prede, quali gli invertebrati bentonici che a loro volta, sono entrati in contatto con il sedimento, spesso nutrendosene (Viganò et al., 2007). Ai possibili trasferimenti per via alimentare si aggiunge, naturalmente, anche l'esposizione al mezzo acquoso, che è tanto più importante per quegli inquinanti che hanno solubilità almeno "misurabili". In questo studio è stata privilegiata l'esposizione "diretta" al sedimento, e cioè non mediata dal consumo di prede contaminate. L'esposizione si è dunque limitata all'ingestione di particelle ed al contatto con l'acqua interstiziale che ha luogo durante la ricerca di cibo sul fondo. Integrare l'esposizione aggiungendo anche la componente in soluzione o quella attribuibile ad una dieta di invertebrati contaminati sarebbe stato ancora più complesso, soprattutto in relazione alla lunga durata dello studio in oggetto che, ricordiamo, è stato protratto per ben sette mesi. In questo senso, i risultati ottenuti sono da considerare rappresentativi per difetto rispetto ad una condizione naturale, il che significa, in altre parole, che i risultati ottenuti sono ragionevolmente inferiori a quanto sarebbe legittimo attendersi da un quadro espositivo completo, che comprenda oltre al sedimento, con la sua acqua interstiziale, anche la dieta ed i tossici in soluzione nella colonna d'acqua. Altro aspetto non secondario è stata la scelta della specie con la quale condurre la sperimentazione. Per la realizzazione di questo studio è stata scelta, per la prima volta, una specie autoctona quale è Barbus plebejus. Essa ha abitudini tendenzialmente bentoniche e com'è frequente per i membri del genere Barbus, è prevalentemente bentofaga (Quiros et al., 2007; Viganò et al., 2008). La specie B. plebejus si presenta più o meno rarefatta in diverse aree delle nostre acque interne, tra le quali anche il tratto medio del Fiume Po (Dees set al., 2002; Viganò, dati non pubblicati). L'immissione di specie congeneri (es. B. barbus), che da un lato si sono dimostrate competitive e dall'altro hanno probabilmente formato ibridi con plebejus, sono tra le cause di minaccia. La rarefazione di una specie, tuttavia, è spesso il risultato di più fattori e, tra questi, due hanno avuto certamente un ruolo, vale a dire la compromissione del habitat, quello riproduttivo in particolare, e l'azione degli inquinanti tossici. Studi precedenti hanno segnalato una preoccupante riduzione dei popolamenti delle specie del genere Barbus sia in acque italiane che estere, e hanno documentato alterazioni patologiche più o meno profonde a carico, ad esempio, di fegato e gonadi, collegandole con l'azione di inquinanti organoclorurati e di interferenti endocrini (Viganò et al., 2001; Dees et al., 2002; Pe?az et al., 2005; Viganò et al., 2006; Grund et al., 2010). La Direttiva Quadro (2000/60/CE) ha indicato la necessità di controllare la contaminazione e gli effetti degli inquinanti che sono interferenti endocrini. La stessa direttiva ha attribuito grande attenzione anche alla tutela della comunità ittica del recettore. Per tali motivi si è optato di studiare gli effetti tossici dei sedimenti del Lambro su una specie autoctona che è potenzialmente esposta agli effetti di inquinanti che agiscono sul sistema endocrino. In questo quadro, arricchito dalla concomitante campagna di studio sulla qualità dei sedimenti del fiume lombardo, è stata data grande attenzione agli effetti causati dai contaminanti sull'apparato riproduttivo dei pesci. Ciò ha imposto, da una lato, di iniziare l'esposizione con stadi giovanili e, dall'altro, di prolungarla il più possibile, in pratica fino alla differenziazione delle gonadi, quando le eventuali patologie si rendono manifeste ad un esame istologico. In ogni caso, questo studio ha esaminato alcuni tra i più validi biomarker applicabili ad una valutazione di rischio sui pesci, per cui, oltre all'istologia delle gonadi, sono stati studiati gli enzimi detossificanti di Fase I, i prodotti di biotrasformazione nella bile, alcuni parametri riproduttivi (livelli plasmatici di ormoni e di vitellogenina) ed indicatori di genotossicità (addotti al DNA e test di Ames) (van der Oost et al., 2003; Filby et al., 2007).

Progetto Sedimenti Lambro. Approfondimento ecotossicologico su ittiofauna.

Giuseppe Mascolo;
2012

Abstract

La letteratura scientifica ha ampiamente documentato che i sedimenti ed in generale il materiale particolato dei corpi idrici sono il comparto dell'ecosistema acquatico in cui molti inquinanti organici e inorganici vanno ad adsorbirsi o legarsi chimicamente, aumentando di fatto la loro concentrazione rispetto al mezzo acquoso circostante. Questo processo di accumulo può essere più o meno importante in relazione alle caratteristiche chimiche dell'inquinante ed alla composizione e alle dimensioni delle particelle, oltre che, naturalmente, alle caratteristiche del mezzo acquoso in cui le particelle si vanno formando (aggregando). Questo processo di accumulo rende il comparto delle particelle in sospensione e soprattutto delle particelle che si depositano sul fondo del corpo idrico, una vera e propria fonte di inquinanti e potenzialmente una causa di effetti tossici per la comunità acquatica (Stein et al., 1992; Viganò et al., 1995; Beyer et al., 1996; Chen e White, 2004; Tian et al., 2012). In questo documento, la maggiore attenzione è stata dedicata alla fauna ittica che generalmente è esposta agli inquinanti accumulatisi nel sedimento sia attraverso l'ingestione diretta di particelle e sia attraverso l'ingestione di prede, quali gli invertebrati bentonici che a loro volta, sono entrati in contatto con il sedimento, spesso nutrendosene (Viganò et al., 2007). Ai possibili trasferimenti per via alimentare si aggiunge, naturalmente, anche l'esposizione al mezzo acquoso, che è tanto più importante per quegli inquinanti che hanno solubilità almeno "misurabili". In questo studio è stata privilegiata l'esposizione "diretta" al sedimento, e cioè non mediata dal consumo di prede contaminate. L'esposizione si è dunque limitata all'ingestione di particelle ed al contatto con l'acqua interstiziale che ha luogo durante la ricerca di cibo sul fondo. Integrare l'esposizione aggiungendo anche la componente in soluzione o quella attribuibile ad una dieta di invertebrati contaminati sarebbe stato ancora più complesso, soprattutto in relazione alla lunga durata dello studio in oggetto che, ricordiamo, è stato protratto per ben sette mesi. In questo senso, i risultati ottenuti sono da considerare rappresentativi per difetto rispetto ad una condizione naturale, il che significa, in altre parole, che i risultati ottenuti sono ragionevolmente inferiori a quanto sarebbe legittimo attendersi da un quadro espositivo completo, che comprenda oltre al sedimento, con la sua acqua interstiziale, anche la dieta ed i tossici in soluzione nella colonna d'acqua. Altro aspetto non secondario è stata la scelta della specie con la quale condurre la sperimentazione. Per la realizzazione di questo studio è stata scelta, per la prima volta, una specie autoctona quale è Barbus plebejus. Essa ha abitudini tendenzialmente bentoniche e com'è frequente per i membri del genere Barbus, è prevalentemente bentofaga (Quiros et al., 2007; Viganò et al., 2008). La specie B. plebejus si presenta più o meno rarefatta in diverse aree delle nostre acque interne, tra le quali anche il tratto medio del Fiume Po (Dees set al., 2002; Viganò, dati non pubblicati). L'immissione di specie congeneri (es. B. barbus), che da un lato si sono dimostrate competitive e dall'altro hanno probabilmente formato ibridi con plebejus, sono tra le cause di minaccia. La rarefazione di una specie, tuttavia, è spesso il risultato di più fattori e, tra questi, due hanno avuto certamente un ruolo, vale a dire la compromissione del habitat, quello riproduttivo in particolare, e l'azione degli inquinanti tossici. Studi precedenti hanno segnalato una preoccupante riduzione dei popolamenti delle specie del genere Barbus sia in acque italiane che estere, e hanno documentato alterazioni patologiche più o meno profonde a carico, ad esempio, di fegato e gonadi, collegandole con l'azione di inquinanti organoclorurati e di interferenti endocrini (Viganò et al., 2001; Dees et al., 2002; Pe?az et al., 2005; Viganò et al., 2006; Grund et al., 2010). La Direttiva Quadro (2000/60/CE) ha indicato la necessità di controllare la contaminazione e gli effetti degli inquinanti che sono interferenti endocrini. La stessa direttiva ha attribuito grande attenzione anche alla tutela della comunità ittica del recettore. Per tali motivi si è optato di studiare gli effetti tossici dei sedimenti del Lambro su una specie autoctona che è potenzialmente esposta agli effetti di inquinanti che agiscono sul sistema endocrino. In questo quadro, arricchito dalla concomitante campagna di studio sulla qualità dei sedimenti del fiume lombardo, è stata data grande attenzione agli effetti causati dai contaminanti sull'apparato riproduttivo dei pesci. Ciò ha imposto, da una lato, di iniziare l'esposizione con stadi giovanili e, dall'altro, di prolungarla il più possibile, in pratica fino alla differenziazione delle gonadi, quando le eventuali patologie si rendono manifeste ad un esame istologico. In ogni caso, questo studio ha esaminato alcuni tra i più validi biomarker applicabili ad una valutazione di rischio sui pesci, per cui, oltre all'istologia delle gonadi, sono stati studiati gli enzimi detossificanti di Fase I, i prodotti di biotrasformazione nella bile, alcuni parametri riproduttivi (livelli plasmatici di ormoni e di vitellogenina) ed indicatori di genotossicità (addotti al DNA e test di Ames) (van der Oost et al., 2003; Filby et al., 2007).
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