Perché la Sardegna e non a un'altra regione? Il motivo è semplice e incontrovertibile: la Sardegna è "isolata" dal resto d'Italia e quindi i sistemi di produzione e di distribuzione dell'energia elettrica non avendo commistioni con altri sistemi, almeno fino al 1962, anno della nazionalizzazione, sono ben individuabili in termini geografici ed elettrici; cosa che non accade nelle altre regioni. Ancora: fino al 1962 le due fonti energetiche, idrica e termica, per la produzione elettrica, erano ben localizzabili. La produzione elettrica da fonte idrica avveniva nelle parti interne dell'Isola, ovvero laddove gli sbarramenti ai fiumi erano possibili. La produzione elettrica da fonte termica avveniva in zona costiera in quanto il bacino carbonifero del Sulcis, principale fonte di carbone nazionale, è sulla costa Sud-Occidentale. La supremazia produttiva fra queste due modalità di generazione dell'elettricità è passata, per tutto il Novecento, dall'una all'altra, oscillando così dall'entroterra alla costa, finché negli anni Duemila la produzione costiera ha consolidato la sua priorità poiché alla generazione da fonte termica si sono aggiunte la produzione eolica e quella fotovoltaica, con numerosi impianti realizzati prevalentemente nelle zone più prossime alle coste dell'Isola [2]. Fra la seconda metà dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, nel mondo, Italia compresa, si affermava l'industria siderurgica poiché il ferro (nelle sue forme di ghisa e acciaio) veniva considerato il materiale da costruzione principe. Con esso si potevano realizzare strutture avveniristiche: ponti arditissimi (1883 - ponte di Brooklyn a New York), strade ferrate infinite (First Transcontinental Railroad, negli USA, inaugurata nel 1869, Transiberiana in Russia, inaugurata nel 1903), mezzi di trasporto "velocissimi" (transatlantici, treni, automobili). Era il tempo delle sfide impossibili alla statica e alla velocità. Il ferro dava alle cose un aspetto leggero e solido al tempo stesso. L'Ottocento può dirsi veramente la seconda "età del ferro" e la Tour Eiffel (Parigi, 1889) volle essere il simbolo di quel periodo di innovazione tecnica e umanistica. In Sardegna, nel Sulcis (Sardegna Sud-Occidentale), vi era, e lo è stato per tutto il Novecento, il principale bacino carbonifero nazionale (oggi unica miniera attiva in Italia). Ma, nonostante tutto quel carbone, indispensabile per estrarre il ferro dal suo minerale tramite gli altiforni, l'industria siderurgica in Sardegna non si sviluppò mai. Ciò potrebbe attribuirsi all'assenza di miniere di ferro nell'Isola ma in altre parti d'Italia, prive sia di minerali ferrosi sia di carbone, gli impianti siderurgici furono realizzati (Terni nel 1884, Sesto San Giovanni-MI nel 1906, Bagnoli-NA nel 1910) e in essi furono utilizzate materie prime di "importazione". Resta però il fatto che, quasi mai, nessuno importò il carbone sardo per la siderurgia: il grosso della produzione fu bruciato nell'Isola per il riscaldamento e per la produzione di vapore. Il motivo del non-uso siderurgico del carbone sardo è da ricondursi alla sua scadente qualità; esso ha basso contenuto di carbonio ed elevato contenuto di materie volatili, di acqua, e di ceneri, ciò dà al carbone un modesto potere calorifico, in esso inoltre è presente un eccessivo tenore di zolfo (6 ÷ 8 %) [5]. Tutto questo rende il carbone sardo non adatto agli altiforni. Nonostante ciò l'acqua calda e il vapore venivano benissimo e quindi, una volta che i generatori elettrici vennero messi a punto, la prima energia convertita in elettricità fu proprio quella del vapore. Non meraviglia pertanto che le prime imprese a dotarsi di energia elettrica, per l'illuminazione, furono proprio le miniere del Sulcis: esse avevano il carbone. Dopo la seconda rivoluzione industriale (dagli anni Sessanta-Settanta dell'Ottocento alla prima guerra mondiale) con l'uso massiccio dei combustibili fossili (principalmente carbone) la produzione e il consumo di energia non erano considerati parametri utili né a stabilire lo stato di "salute" delle fabbriche e delle industrie né a quantificare la forza lavoro presente nel territorio, ciò in conseguenza del fatto che una gran parte degli stessi combustibili era utilizzata per gli usi domestici (a questo ultimo fine al carbon fossile si univa il carbone di legna). Pertanto, data la difficoltà di disaggregare i consumi di combustibile per categorie di utenti, gli indici di produttività industriale di una nazione furono cercati nei quantitativi di sostanze chimiche usate, per uno scopo o per l'altro, dalla fabbrica più piccola alla più grande industria. Le sostanze prescelte furono la soda, nelle sue due forme (carbonato di sodio Na2 CO3 e idrossido di sodio NaOH) e l'acido solforico (H2SO4). Il carbonato di sodio si trova anche in natura ma data la forte richiesta che vi era, fin dal 1864, fu preparato industrialmente con il metodo Solvay . Gli usi industriali erano molteplici, produzione di: sapone, carta, vetro, fibre tessili artificiali e, in minor quantità, in altri settori della chimica. L'idrossido di sodio, detto anche soda caustica, veniva utilizzato come reagente in una ampia gamma di settori dell'industria chimica, preparazione di: sapone, cellulosa, viscosa che, con un successivo procedimento, forniva la fibra tessile detta rayon. L'acido solforico fu preparato "industrialmente" fin dal 1700, con procedimenti lunghi e costosi. A fine Ottocento fu messo a punto un metodo di produzione assai più spedito, che consentiva di rispondere adeguatamente alla crescente richiesta di questo acido da parte dell'industria, allora in rapido sviluppo . Gli utilizzi erano, e sono, molteplici: preparazione dei fertilizzanti perfosfatici e dei composti organici solforati, raffinazione del petrolio, preparazione di numerosi acidi, sali ed esplosivi, nonché come disidratante. L'acido solforico è ancora largamente usato nell'industria: metallurgica (in particolare siderurgica), delle materie plastiche, delle vernici e nel settore tessile. È solo durante il Novecento che, con la diffusione capillare dell'elettricità, è stato possibile utilizzare questa fonte energetica come parametro utile a stabilire lo stato di "salute" delle fabbriche e delle industrie. Come il carbone anche l'energia elettrica veniva usata da tutti e per tutti gli scopi ma, per la sua distribuzione in modo differenziato fra le varie utenze, il suo consumo complessivo poteva essere disaggregato per categorie: civile, agricolo, industriale, ecc. In Italia, dove vi era una pletora di produttori di energia elettrica, utilizzare i consumi di elettricità come indice di produttività industriale risultava arduo per scarsità e disuniformità dei dati, nonché per l'incompleta copertura che la rete elettrica dava al territorio nazionale. Nel 1962 le imprese elettriche furono nazionalizzate (legge n.1643) e riunite nell'Ente nazionale per l'energia elettrica (Enel). Da quell'anno fino al 1998, i dati di produzione e di utilizzo di energia elettrica furono forniti da Enel, successivamente da GRTN (Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale) e infine, dal 2005, da TERNA ; questi dati hanno consentito di legare i consumi di elettricità alla produttività delle imprese. Nei primi anni del XXI secolo è un proliferare, in tutto il mondo, di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, con particolare sviluppo della tecnologia eolica e fotovoltaica; in questo è ovviamente coinvolta anche la Sardegna. In particolare, nel 2005, gli obblighi imposti dall'European Union Emission Trading Scheme (EU ETS) del Pacchetto Clima-Energia impongono di valutare la quantità di CO2 che non viene immessa nell'atmosfera grazie all'impiego di fonti di energia rinnovabile. A questo fine è stato stabilito di utilizzare come unità di misura la Tonnellata Equivalente di Petrolio (TEP, in inglese Tonne of Oil Equivalent, TOE); è così possibile calcolare quante TEP sono state risparmiate (ovvero non bruciate) con l'uso delle fonti di energia rinnovabile, in altre parole quanta CO2 in meno è stata immessa nell'atmosfera . Il volume non pensa essere esaustivo su tutti gli aspetti della elettrificazione della Sardegna; in particolare non pretende di citare tutte le centrali di produzione elettrica realizzate nell'Isola. Non era questa l'intenzione degli autori quando hanno deciso di affrontare il lavoro. Lo scopo era mostrare come la Sardegna, pur essendo una regione molto estesa con bassa densità di popolazione , defilata dal resto del territorio nazionale, con miniere di carbone inutilizzabile per la nascente industria siderurgica, ha saputo ugualmente tenersi al passo delle altre regioni, almeno fino alla seconda guerra mondiale, per quanto riguarda lo sviluppo della produzione elettrica. Ciò può essere ricondotto a un momento di circostanze fortunate che le hanno fatto superare gli handicap dando l'avvio all'elettrificazione dell'Isola. Dicendo ciò ci riferiamo alla quasi contemporanea frequentazione della Sardegna da parte di: Quintino Sella [4], ingegnere minerario, più volte ministro delle finanze del Regno d'Italia, che fece parte della Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle Miniere Sarde [8], Alberto La Marmora [6, 7], generale e geografo, amico di Quintino Sella, perfetto conoscitore della geografia fisica dell'Isola; Antonio Pacinotti [9], docente di fisica all'Università di Cagliari, inventore dell'anello, che da lui prende il nome, organo fondamentale della dinamo. Questi personaggi, con i loro studi, fecero capire che la modernizzazione dell'Isola poteva avvenire, come per il resto d'Italia, solo con l'elettrificazione e questa, a sua volta, poteva realizzarsi sfruttando il suo "inutile" carbone e i suoi fiumi "innavigabili", per il loro carattere torrentizio. Per questo ultimo aspetto va ricordato Angelo Omodeo , ingegnere idraulico e studioso dell'idrografia di fiumi sardi, che ammoniva: Ripristinare i fiumi e ricostruire quanto distrutto ... L'acqua è sacra, può sempre essere fonte di ricchezza ... In Sardegna bisogna creare una tecnica nuova che sappia comprenderla, trattenerla e renderla benefica [9]. Con lui ha inizio l'elettrificazione su vasta scala dell'Isola. Per quanto riguarda i giorni nostri, non c'è stato bisogno della concomitanza di personaggi illuminati per capire che la Sardegna poteva dare, all'elettricità locale e nazionale, un contributo formidabile con i generatori fotovoltaici ed eolici: il Sole e il Vento di questa isola sono ben noti a tutti. Gli aspetti geografici, storici, ingegneristici, sopra accennati, sono approfonditi nel Capitolo Primo a cui seguono due capitoli uno economico e l'altro giuridico. Il capitolo economico è diviso in due parti. Nella prima parte viene fatta una riflessione sulle dinamiche e sulle scelte strategiche in atto, con una valutazione dell'impatto che un incremento di produzione elettrica potrebbe avere sul sistema economico sardo. A tale scopo si introduce il contesto di norme e scelte strategiche, a livello europeo, entro il quale identificare, per la Sardegna, un ruolo di connessione fra i sistemi energetici del Sud Europa e del Nord Africa. La seconda parte analizza l'elettrificazione dell'Isola dal punto di vista del settore agricolo non tanto come fruitore di energia, che come vedremo è "di poche esigenze", rispetto ad altri settori energivori, ma come partecipante alla generazione di energia elettrica, in particolare con il fotovoltaico e i combustibili di origine organica (biomasse, biogas, bioliquidi). Il capitolo giuridico spiega che la Sardegna ha potuto fare certe scelte pubbliche e favorire certi comportamenti privati sia perché è una delle cinque Regioni a statuto speciale sia perché fra queste, per la sua marcata "insularità", rappresenta un unicum che le consente di godere di competenze molto più ampie di quelle delle altre Regioni speciali. In generale però le competenze delle Regioni a statuto speciale sono state "erose" nel tempo, in particolare quelle attinenti al settore energetico che oggi risentono anche del condizionamento delle norme comunitarie. Oltre a ciò si sono creati conflitti fra "autorizzazioni" di leggi nazionali a cui si contrappongono "divieti" di leggi regionali e viceversa; conflitti che richiedono, sempre più spesso, l'intervento della Corte costituzionale. Qualcuno ha detto che la legislazione del settore energetico è un vero e proprio ginepraio, parola che ben si adatta alla Sardegna che ospita ginepri secolari, splendidi nei loro contorcimenti.

Storia dell'elettrificazione della Sardegna

Fabrizio Benincasa
2015

Abstract

Perché la Sardegna e non a un'altra regione? Il motivo è semplice e incontrovertibile: la Sardegna è "isolata" dal resto d'Italia e quindi i sistemi di produzione e di distribuzione dell'energia elettrica non avendo commistioni con altri sistemi, almeno fino al 1962, anno della nazionalizzazione, sono ben individuabili in termini geografici ed elettrici; cosa che non accade nelle altre regioni. Ancora: fino al 1962 le due fonti energetiche, idrica e termica, per la produzione elettrica, erano ben localizzabili. La produzione elettrica da fonte idrica avveniva nelle parti interne dell'Isola, ovvero laddove gli sbarramenti ai fiumi erano possibili. La produzione elettrica da fonte termica avveniva in zona costiera in quanto il bacino carbonifero del Sulcis, principale fonte di carbone nazionale, è sulla costa Sud-Occidentale. La supremazia produttiva fra queste due modalità di generazione dell'elettricità è passata, per tutto il Novecento, dall'una all'altra, oscillando così dall'entroterra alla costa, finché negli anni Duemila la produzione costiera ha consolidato la sua priorità poiché alla generazione da fonte termica si sono aggiunte la produzione eolica e quella fotovoltaica, con numerosi impianti realizzati prevalentemente nelle zone più prossime alle coste dell'Isola [2]. Fra la seconda metà dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, nel mondo, Italia compresa, si affermava l'industria siderurgica poiché il ferro (nelle sue forme di ghisa e acciaio) veniva considerato il materiale da costruzione principe. Con esso si potevano realizzare strutture avveniristiche: ponti arditissimi (1883 - ponte di Brooklyn a New York), strade ferrate infinite (First Transcontinental Railroad, negli USA, inaugurata nel 1869, Transiberiana in Russia, inaugurata nel 1903), mezzi di trasporto "velocissimi" (transatlantici, treni, automobili). Era il tempo delle sfide impossibili alla statica e alla velocità. Il ferro dava alle cose un aspetto leggero e solido al tempo stesso. L'Ottocento può dirsi veramente la seconda "età del ferro" e la Tour Eiffel (Parigi, 1889) volle essere il simbolo di quel periodo di innovazione tecnica e umanistica. In Sardegna, nel Sulcis (Sardegna Sud-Occidentale), vi era, e lo è stato per tutto il Novecento, il principale bacino carbonifero nazionale (oggi unica miniera attiva in Italia). Ma, nonostante tutto quel carbone, indispensabile per estrarre il ferro dal suo minerale tramite gli altiforni, l'industria siderurgica in Sardegna non si sviluppò mai. Ciò potrebbe attribuirsi all'assenza di miniere di ferro nell'Isola ma in altre parti d'Italia, prive sia di minerali ferrosi sia di carbone, gli impianti siderurgici furono realizzati (Terni nel 1884, Sesto San Giovanni-MI nel 1906, Bagnoli-NA nel 1910) e in essi furono utilizzate materie prime di "importazione". Resta però il fatto che, quasi mai, nessuno importò il carbone sardo per la siderurgia: il grosso della produzione fu bruciato nell'Isola per il riscaldamento e per la produzione di vapore. Il motivo del non-uso siderurgico del carbone sardo è da ricondursi alla sua scadente qualità; esso ha basso contenuto di carbonio ed elevato contenuto di materie volatili, di acqua, e di ceneri, ciò dà al carbone un modesto potere calorifico, in esso inoltre è presente un eccessivo tenore di zolfo (6 ÷ 8 %) [5]. Tutto questo rende il carbone sardo non adatto agli altiforni. Nonostante ciò l'acqua calda e il vapore venivano benissimo e quindi, una volta che i generatori elettrici vennero messi a punto, la prima energia convertita in elettricità fu proprio quella del vapore. Non meraviglia pertanto che le prime imprese a dotarsi di energia elettrica, per l'illuminazione, furono proprio le miniere del Sulcis: esse avevano il carbone. Dopo la seconda rivoluzione industriale (dagli anni Sessanta-Settanta dell'Ottocento alla prima guerra mondiale) con l'uso massiccio dei combustibili fossili (principalmente carbone) la produzione e il consumo di energia non erano considerati parametri utili né a stabilire lo stato di "salute" delle fabbriche e delle industrie né a quantificare la forza lavoro presente nel territorio, ciò in conseguenza del fatto che una gran parte degli stessi combustibili era utilizzata per gli usi domestici (a questo ultimo fine al carbon fossile si univa il carbone di legna). Pertanto, data la difficoltà di disaggregare i consumi di combustibile per categorie di utenti, gli indici di produttività industriale di una nazione furono cercati nei quantitativi di sostanze chimiche usate, per uno scopo o per l'altro, dalla fabbrica più piccola alla più grande industria. Le sostanze prescelte furono la soda, nelle sue due forme (carbonato di sodio Na2 CO3 e idrossido di sodio NaOH) e l'acido solforico (H2SO4). Il carbonato di sodio si trova anche in natura ma data la forte richiesta che vi era, fin dal 1864, fu preparato industrialmente con il metodo Solvay . Gli usi industriali erano molteplici, produzione di: sapone, carta, vetro, fibre tessili artificiali e, in minor quantità, in altri settori della chimica. L'idrossido di sodio, detto anche soda caustica, veniva utilizzato come reagente in una ampia gamma di settori dell'industria chimica, preparazione di: sapone, cellulosa, viscosa che, con un successivo procedimento, forniva la fibra tessile detta rayon. L'acido solforico fu preparato "industrialmente" fin dal 1700, con procedimenti lunghi e costosi. A fine Ottocento fu messo a punto un metodo di produzione assai più spedito, che consentiva di rispondere adeguatamente alla crescente richiesta di questo acido da parte dell'industria, allora in rapido sviluppo . Gli utilizzi erano, e sono, molteplici: preparazione dei fertilizzanti perfosfatici e dei composti organici solforati, raffinazione del petrolio, preparazione di numerosi acidi, sali ed esplosivi, nonché come disidratante. L'acido solforico è ancora largamente usato nell'industria: metallurgica (in particolare siderurgica), delle materie plastiche, delle vernici e nel settore tessile. È solo durante il Novecento che, con la diffusione capillare dell'elettricità, è stato possibile utilizzare questa fonte energetica come parametro utile a stabilire lo stato di "salute" delle fabbriche e delle industrie. Come il carbone anche l'energia elettrica veniva usata da tutti e per tutti gli scopi ma, per la sua distribuzione in modo differenziato fra le varie utenze, il suo consumo complessivo poteva essere disaggregato per categorie: civile, agricolo, industriale, ecc. In Italia, dove vi era una pletora di produttori di energia elettrica, utilizzare i consumi di elettricità come indice di produttività industriale risultava arduo per scarsità e disuniformità dei dati, nonché per l'incompleta copertura che la rete elettrica dava al territorio nazionale. Nel 1962 le imprese elettriche furono nazionalizzate (legge n.1643) e riunite nell'Ente nazionale per l'energia elettrica (Enel). Da quell'anno fino al 1998, i dati di produzione e di utilizzo di energia elettrica furono forniti da Enel, successivamente da GRTN (Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale) e infine, dal 2005, da TERNA ; questi dati hanno consentito di legare i consumi di elettricità alla produttività delle imprese. Nei primi anni del XXI secolo è un proliferare, in tutto il mondo, di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, con particolare sviluppo della tecnologia eolica e fotovoltaica; in questo è ovviamente coinvolta anche la Sardegna. In particolare, nel 2005, gli obblighi imposti dall'European Union Emission Trading Scheme (EU ETS) del Pacchetto Clima-Energia impongono di valutare la quantità di CO2 che non viene immessa nell'atmosfera grazie all'impiego di fonti di energia rinnovabile. A questo fine è stato stabilito di utilizzare come unità di misura la Tonnellata Equivalente di Petrolio (TEP, in inglese Tonne of Oil Equivalent, TOE); è così possibile calcolare quante TEP sono state risparmiate (ovvero non bruciate) con l'uso delle fonti di energia rinnovabile, in altre parole quanta CO2 in meno è stata immessa nell'atmosfera . Il volume non pensa essere esaustivo su tutti gli aspetti della elettrificazione della Sardegna; in particolare non pretende di citare tutte le centrali di produzione elettrica realizzate nell'Isola. Non era questa l'intenzione degli autori quando hanno deciso di affrontare il lavoro. Lo scopo era mostrare come la Sardegna, pur essendo una regione molto estesa con bassa densità di popolazione , defilata dal resto del territorio nazionale, con miniere di carbone inutilizzabile per la nascente industria siderurgica, ha saputo ugualmente tenersi al passo delle altre regioni, almeno fino alla seconda guerra mondiale, per quanto riguarda lo sviluppo della produzione elettrica. Ciò può essere ricondotto a un momento di circostanze fortunate che le hanno fatto superare gli handicap dando l'avvio all'elettrificazione dell'Isola. Dicendo ciò ci riferiamo alla quasi contemporanea frequentazione della Sardegna da parte di: Quintino Sella [4], ingegnere minerario, più volte ministro delle finanze del Regno d'Italia, che fece parte della Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle Miniere Sarde [8], Alberto La Marmora [6, 7], generale e geografo, amico di Quintino Sella, perfetto conoscitore della geografia fisica dell'Isola; Antonio Pacinotti [9], docente di fisica all'Università di Cagliari, inventore dell'anello, che da lui prende il nome, organo fondamentale della dinamo. Questi personaggi, con i loro studi, fecero capire che la modernizzazione dell'Isola poteva avvenire, come per il resto d'Italia, solo con l'elettrificazione e questa, a sua volta, poteva realizzarsi sfruttando il suo "inutile" carbone e i suoi fiumi "innavigabili", per il loro carattere torrentizio. Per questo ultimo aspetto va ricordato Angelo Omodeo , ingegnere idraulico e studioso dell'idrografia di fiumi sardi, che ammoniva: Ripristinare i fiumi e ricostruire quanto distrutto ... L'acqua è sacra, può sempre essere fonte di ricchezza ... In Sardegna bisogna creare una tecnica nuova che sappia comprenderla, trattenerla e renderla benefica [9]. Con lui ha inizio l'elettrificazione su vasta scala dell'Isola. Per quanto riguarda i giorni nostri, non c'è stato bisogno della concomitanza di personaggi illuminati per capire che la Sardegna poteva dare, all'elettricità locale e nazionale, un contributo formidabile con i generatori fotovoltaici ed eolici: il Sole e il Vento di questa isola sono ben noti a tutti. Gli aspetti geografici, storici, ingegneristici, sopra accennati, sono approfonditi nel Capitolo Primo a cui seguono due capitoli uno economico e l'altro giuridico. Il capitolo economico è diviso in due parti. Nella prima parte viene fatta una riflessione sulle dinamiche e sulle scelte strategiche in atto, con una valutazione dell'impatto che un incremento di produzione elettrica potrebbe avere sul sistema economico sardo. A tale scopo si introduce il contesto di norme e scelte strategiche, a livello europeo, entro il quale identificare, per la Sardegna, un ruolo di connessione fra i sistemi energetici del Sud Europa e del Nord Africa. La seconda parte analizza l'elettrificazione dell'Isola dal punto di vista del settore agricolo non tanto come fruitore di energia, che come vedremo è "di poche esigenze", rispetto ad altri settori energivori, ma come partecipante alla generazione di energia elettrica, in particolare con il fotovoltaico e i combustibili di origine organica (biomasse, biogas, bioliquidi). Il capitolo giuridico spiega che la Sardegna ha potuto fare certe scelte pubbliche e favorire certi comportamenti privati sia perché è una delle cinque Regioni a statuto speciale sia perché fra queste, per la sua marcata "insularità", rappresenta un unicum che le consente di godere di competenze molto più ampie di quelle delle altre Regioni speciali. In generale però le competenze delle Regioni a statuto speciale sono state "erose" nel tempo, in particolare quelle attinenti al settore energetico che oggi risentono anche del condizionamento delle norme comunitarie. Oltre a ciò si sono creati conflitti fra "autorizzazioni" di leggi nazionali a cui si contrappongono "divieti" di leggi regionali e viceversa; conflitti che richiedono, sempre più spesso, l'intervento della Corte costituzionale. Qualcuno ha detto che la legislazione del settore energetico è un vero e proprio ginepraio, parola che ben si adatta alla Sardegna che ospita ginepri secolari, splendidi nei loro contorcimenti.
2015
Istituto di Biometeorologia - IBIMET - Sede Firenze
978-88-95597-23-2
Produzione elettrica
storia elettricità
storia Sardegna
elettricità e agricoltura
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