L'organismo di ogni essere vivente è il risultato di due lunghe storie: quella della specie e quella dell'individuo, in relazione all'ambiente. In questa asserzione trova spazio una domanda molto antica: come si genera l'organismo vivente? Più precisamente: perché il "simile produce il simile"? E in particolare: perché il generato somiglia ai suoi due generanti e non ad altri? A questa domanda vecchia quanto l'uomo, Anassagora, prima, e il Corpus Hippocraticum, poi, rispondono con la "pangenesi": ogni parte del corpo dei due generanti produce un seme, l'unione dei semi forma il nuovo individuo. Ma Aristotele facendo riferimento all'embrione sostiene che esso si trasforma in individuo pronto per nascere dopo essersi sviluppato "a stadi", iniziando dalla materia indifferenziata. Questo processo di crescita per gradi che Aristotele chiama "epigenesi", dopo diciannove secoli, c'è ancora chi lo sostiene, come Cartesio e William Harvey; ma subito è messo in dubbio a favore di uno sviluppo di tipo opposto, il "preformismo". Secondo questo pensiero, l'individuo è già presente e completo in tutte le sue parti, quindi non ha bisogno di differenziarsi bensì di ingrandirsi. I sostenitori del "preformismo", sia esso di origine maschile ("spermismo") che femminile ("ovismo") non riuscendo a spiegare perché il discendente porta i caratteri di chi lo ha generato, ridanno spazio alla "epigenesi" che, all'inizio dell'Ottocento, apre le porte alla ereditarietà dei caratteri. Questo nuovo concetto non solo strettamente biologico che diventa presto una nuova disciplina col nome di Genetica, non studia, come più volte affermato, i meccanismi dell'eredità, bensì studia l'eredità biologica dai generanti ai generati; cioè, studia l'informazione contenuta nei cromosomi e come l'informazione viene trasmessa, ricombinata, variata. La rinascita della "epigenesi", dunque, trova una interpretazione moderna con Gregor Mendel, ma nel contempo si sviluppano teorie che si allontanano dalla "epigenesi". Una di esse è formulata da Charles Darwin che recupera la concezione pangenica degli Ippocratici nel modo così sintetizzato: Da ogni parte dell'organismo si generano degli elementi ("gemmule"), destinate a raccogliersi negli apparati riproduttivi, dove danno origine alla generazione successiva che conserva le caratteristiche di ogni organo dei generanti. A criticare questa teoria è Francis Galton ritenendo che le cellule somatiche non producono cellule germinali poiché le due tipologie di cellule formano due linee del tutto distinte. Galton, infatti, chiama "stirpe" l'insieme delle cellule trasmesse da generazione a generazione, distinguendole dalle "cellule-soma". La "stirpe", infatti, può essere visualizzata come un lungo tronco che continua a crescere e, nel contempo, produce rami, cioè singoli individui con il loro soma. In questo contesto, l'eredità è sinonimo di conservazione di tratti che rimangono simili attraverso le generazioni senza essere influenzati in modo persistente dall'ambiente. Inizia così il cammino percorso da Uomini di Scienza che discutono su ipotesi, teoremi e risultati fino a decretare, negli anni Sessanta del Novecento, la nascita della Genetica Molecolare destinata a fare luce su quel secolare mistero che è la vita. Questo libro su Walter Stanborough Sutton vuole essere un esempio di testimonianza del lungo e tortuoso percorso di conoscenze segnate da tanti scienziati che con passione hanno affrontato il "buio" della ricerca dando valore e senso alla propria esistenza Gli Autori

Walter Stanborough Sutton. Il padre della teoria cromosomica dell'eredità

Anna Piro;Antonio Tagarelli
2016

Abstract

L'organismo di ogni essere vivente è il risultato di due lunghe storie: quella della specie e quella dell'individuo, in relazione all'ambiente. In questa asserzione trova spazio una domanda molto antica: come si genera l'organismo vivente? Più precisamente: perché il "simile produce il simile"? E in particolare: perché il generato somiglia ai suoi due generanti e non ad altri? A questa domanda vecchia quanto l'uomo, Anassagora, prima, e il Corpus Hippocraticum, poi, rispondono con la "pangenesi": ogni parte del corpo dei due generanti produce un seme, l'unione dei semi forma il nuovo individuo. Ma Aristotele facendo riferimento all'embrione sostiene che esso si trasforma in individuo pronto per nascere dopo essersi sviluppato "a stadi", iniziando dalla materia indifferenziata. Questo processo di crescita per gradi che Aristotele chiama "epigenesi", dopo diciannove secoli, c'è ancora chi lo sostiene, come Cartesio e William Harvey; ma subito è messo in dubbio a favore di uno sviluppo di tipo opposto, il "preformismo". Secondo questo pensiero, l'individuo è già presente e completo in tutte le sue parti, quindi non ha bisogno di differenziarsi bensì di ingrandirsi. I sostenitori del "preformismo", sia esso di origine maschile ("spermismo") che femminile ("ovismo") non riuscendo a spiegare perché il discendente porta i caratteri di chi lo ha generato, ridanno spazio alla "epigenesi" che, all'inizio dell'Ottocento, apre le porte alla ereditarietà dei caratteri. Questo nuovo concetto non solo strettamente biologico che diventa presto una nuova disciplina col nome di Genetica, non studia, come più volte affermato, i meccanismi dell'eredità, bensì studia l'eredità biologica dai generanti ai generati; cioè, studia l'informazione contenuta nei cromosomi e come l'informazione viene trasmessa, ricombinata, variata. La rinascita della "epigenesi", dunque, trova una interpretazione moderna con Gregor Mendel, ma nel contempo si sviluppano teorie che si allontanano dalla "epigenesi". Una di esse è formulata da Charles Darwin che recupera la concezione pangenica degli Ippocratici nel modo così sintetizzato: Da ogni parte dell'organismo si generano degli elementi ("gemmule"), destinate a raccogliersi negli apparati riproduttivi, dove danno origine alla generazione successiva che conserva le caratteristiche di ogni organo dei generanti. A criticare questa teoria è Francis Galton ritenendo che le cellule somatiche non producono cellule germinali poiché le due tipologie di cellule formano due linee del tutto distinte. Galton, infatti, chiama "stirpe" l'insieme delle cellule trasmesse da generazione a generazione, distinguendole dalle "cellule-soma". La "stirpe", infatti, può essere visualizzata come un lungo tronco che continua a crescere e, nel contempo, produce rami, cioè singoli individui con il loro soma. In questo contesto, l'eredità è sinonimo di conservazione di tratti che rimangono simili attraverso le generazioni senza essere influenzati in modo persistente dall'ambiente. Inizia così il cammino percorso da Uomini di Scienza che discutono su ipotesi, teoremi e risultati fino a decretare, negli anni Sessanta del Novecento, la nascita della Genetica Molecolare destinata a fare luce su quel secolare mistero che è la vita. Questo libro su Walter Stanborough Sutton vuole essere un esempio di testimonianza del lungo e tortuoso percorso di conoscenze segnate da tanti scienziati che con passione hanno affrontato il "buio" della ricerca dando valore e senso alla propria esistenza Gli Autori
2016
978-88-97632-86-3
sutton
genetica
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14243/324047
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