I media nazionali hanno riservato particolare attenzione alla ratifica dell'Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici da parte del Senato della Repubblica. Ancor più interesse ha suscitato l'altalenante atteggiamento degli USA, che ha comunque offerto motivo per arricchire il dibattito sui cambiamenti climatici di pareri, anche autorevoli, in controtendenza. In contrasto quindi con l'ineluttabilità delle previsioni catastrofiche sul futuro prossimo venturo del Pianeta, è emersa la soggettività del parere degli scienziati circa la reale incidenza sul clima delle "emissioni ad effetto serra". Caratteristica peculiare dell'odierna divulgazione scientifica è la tendenza a ricondurre ai cambiamenti climatici ogni evento atmosferico che cagioni, direttamente o indirettamente, danni economici. A causa del mutamento del clima, in Italia, aumenterebbero tanto le ondate di calore e la desertificazione quanto le frane e le inondazioni. Episodi di dissesto idrogeologico, più che fornire spunto per stigmatizzare i ritardi della pubblica amministrazione nel governo del territorio, vengono collocati nel flusso principale dell'opinione dominante e raccontati come evidenze manifeste del clima che cambia. La correlazione tra inquinamento e surriscaldamento atmosferico, ossessivamente riproposta, ha soppiantato nell'immaginario collettivo quella tra inquinamento, disastri ambientali e diritto alla salute, da cui prese le mosse a partire dagli anni '70 il movimento ambientalista e a cui il partito comunista italiano prestò non poco interesse. Nei media, gli effetti patologici sulla salute umana e le contaminazioni irreversibili degli ecosistemi causati dall'industrializzazione stanno passando in secondo piano, relegati in rubriche e programmi di approfondimento. I toni allarmistici, talvolta apocalittici, utilizzati dalla stampa circa le conseguenze che subirebbe il Pianeta in mancanza dell'applicazione dell'Accordo di Parigi, appaiono il riflesso di una delle ipotesi scientifiche più accreditate, secondo cui «anche se le cause naturali delle variazioni e dei cambiamenti climatici sono senza dubbio importanti, le influenze umane sono significative e dominate dalle emissioni nell'atmosfera dei gas a effetto serra, il più importante dei quali è la CO2 [e] l'impatto negativo di questi gas sul clima regionale e globale costituisce il problema climatico principale per i prossimi decenni». Una seconda ipotesi, meno gravida di conseguenze della prima, per la quale l'incidenza antropica coinvolge «una vasta gamma di forzanti climatiche di primo ordine, inclusa, ma non limitata a, l'apporto di anidride carbonica (CO2) [... e] la maggior parte, se non tutte, di queste [...] continuerà ad essere motivo di preoccupazione per i prossimi decenni» rimane sottotraccia nella divulgazione scientifica forse perché, pur non smentendo il paradigma dominante, preclude l'uso del sensazionalismo giornalistico. Le opinioni di segno opposto, che non rimandano a scenari catastrofici o comunque negativi, sembrano infine ispirate da una terza ipotesi, a cui sono riconosciuti modesti proseliti, secondo la quale «l'influenza umana sulla variabilità e il cambiamento climatico è di minima importanza, e le cause naturali dominano le variazioni climatiche a tutte le scale temporali [dimodoché] nei prossimi decenni l'influenza umana continuerà ad essere molto piccola». Le suddette ipotesi scientifiche, al di là delle forme che assumono nelle trascrizioni giornalistiche, presentano contrasti dialettici che dovrebbero stimolare feconde discussioni critiche. Tuttavia, all'interno della comunità scientifica, la risoluzione delle dispute sulle sostanziali differenze degli assunti iniziali e degli scenari previsti, piuttosto che basarsi su criteri di attendibilità, si gioca sull'allargamento del consenso alle rispettive ipotesi, ossia di adesione degli esperti ai paradigmi. Nel dibattito pubblico viene invece valutato il livello di sensibilizzazione alla problematica, spesso tradotto in termini di "preoccupazione per le conseguenze", su cui si tende, peraltro, a misurare la credibilità degli scienziati. Il presente lavoro espone e analizza metodologie e strutture logiche utilizzate dai vari soggetti coinvolti nel dibattito sull'incidenza delle attività umane nel riscaldamento globale, con il fine di esplorare gli attuali limiti della conoscenza scientifica. L'analisi del dibattito può basarsi sull'epistemologia prefigurata da Engels.
Dialettica del consenso sulle cause del riscaldamento globale
Marco Delle Rose
2018
Abstract
I media nazionali hanno riservato particolare attenzione alla ratifica dell'Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici da parte del Senato della Repubblica. Ancor più interesse ha suscitato l'altalenante atteggiamento degli USA, che ha comunque offerto motivo per arricchire il dibattito sui cambiamenti climatici di pareri, anche autorevoli, in controtendenza. In contrasto quindi con l'ineluttabilità delle previsioni catastrofiche sul futuro prossimo venturo del Pianeta, è emersa la soggettività del parere degli scienziati circa la reale incidenza sul clima delle "emissioni ad effetto serra". Caratteristica peculiare dell'odierna divulgazione scientifica è la tendenza a ricondurre ai cambiamenti climatici ogni evento atmosferico che cagioni, direttamente o indirettamente, danni economici. A causa del mutamento del clima, in Italia, aumenterebbero tanto le ondate di calore e la desertificazione quanto le frane e le inondazioni. Episodi di dissesto idrogeologico, più che fornire spunto per stigmatizzare i ritardi della pubblica amministrazione nel governo del territorio, vengono collocati nel flusso principale dell'opinione dominante e raccontati come evidenze manifeste del clima che cambia. La correlazione tra inquinamento e surriscaldamento atmosferico, ossessivamente riproposta, ha soppiantato nell'immaginario collettivo quella tra inquinamento, disastri ambientali e diritto alla salute, da cui prese le mosse a partire dagli anni '70 il movimento ambientalista e a cui il partito comunista italiano prestò non poco interesse. Nei media, gli effetti patologici sulla salute umana e le contaminazioni irreversibili degli ecosistemi causati dall'industrializzazione stanno passando in secondo piano, relegati in rubriche e programmi di approfondimento. I toni allarmistici, talvolta apocalittici, utilizzati dalla stampa circa le conseguenze che subirebbe il Pianeta in mancanza dell'applicazione dell'Accordo di Parigi, appaiono il riflesso di una delle ipotesi scientifiche più accreditate, secondo cui «anche se le cause naturali delle variazioni e dei cambiamenti climatici sono senza dubbio importanti, le influenze umane sono significative e dominate dalle emissioni nell'atmosfera dei gas a effetto serra, il più importante dei quali è la CO2 [e] l'impatto negativo di questi gas sul clima regionale e globale costituisce il problema climatico principale per i prossimi decenni». Una seconda ipotesi, meno gravida di conseguenze della prima, per la quale l'incidenza antropica coinvolge «una vasta gamma di forzanti climatiche di primo ordine, inclusa, ma non limitata a, l'apporto di anidride carbonica (CO2) [... e] la maggior parte, se non tutte, di queste [...] continuerà ad essere motivo di preoccupazione per i prossimi decenni» rimane sottotraccia nella divulgazione scientifica forse perché, pur non smentendo il paradigma dominante, preclude l'uso del sensazionalismo giornalistico. Le opinioni di segno opposto, che non rimandano a scenari catastrofici o comunque negativi, sembrano infine ispirate da una terza ipotesi, a cui sono riconosciuti modesti proseliti, secondo la quale «l'influenza umana sulla variabilità e il cambiamento climatico è di minima importanza, e le cause naturali dominano le variazioni climatiche a tutte le scale temporali [dimodoché] nei prossimi decenni l'influenza umana continuerà ad essere molto piccola». Le suddette ipotesi scientifiche, al di là delle forme che assumono nelle trascrizioni giornalistiche, presentano contrasti dialettici che dovrebbero stimolare feconde discussioni critiche. Tuttavia, all'interno della comunità scientifica, la risoluzione delle dispute sulle sostanziali differenze degli assunti iniziali e degli scenari previsti, piuttosto che basarsi su criteri di attendibilità, si gioca sull'allargamento del consenso alle rispettive ipotesi, ossia di adesione degli esperti ai paradigmi. Nel dibattito pubblico viene invece valutato il livello di sensibilizzazione alla problematica, spesso tradotto in termini di "preoccupazione per le conseguenze", su cui si tende, peraltro, a misurare la credibilità degli scienziati. Il presente lavoro espone e analizza metodologie e strutture logiche utilizzate dai vari soggetti coinvolti nel dibattito sull'incidenza delle attività umane nel riscaldamento globale, con il fine di esplorare gli attuali limiti della conoscenza scientifica. L'analisi del dibattito può basarsi sull'epistemologia prefigurata da Engels.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.