Funzioni ed aspetti ecologici dell'ulivo Andrea Pisanelli, Marco Lauteri Istituto di Biologia Agroambientale e Forestale, Consiglio Nazionale delle Ricerche andrea.pisanelli@ibaf.cnr.it L'ulivo è forse l'elemento più tipico e caratterizzante dell'ambiente mediterraneo, diffusamente presente in tutti i paesi che si affacciano sul Mare nostrum, dalla Spagna sino alla Turchia, dal Marocco al Medio oriente. In Italia è caratteristico degli ambienti rurali collinari caldi e soleggiati, dalla Liguria alla Sicilia, spesso ubicati in zone svantaggiate e marginali dove l'agricoltura meccanizzata non è spesso praticabile a causa della morfologia accidentata del territorio. Secondo alcune ricerche archeo-botaniche, già nel VI sec. a.C. l'ulivo era presente nel Cilento, introdotto dai Focesi. Specie longeva e di lento accrescimento, l'ulivo presenta spesso dimensioni notevoli e per questo è elemento di notevole interesse paesaggistico. Oltre che alla produzione di frutti (e olio) la pianta è tradizionalmente utilizzata in ambito cosmetico e medicinale. Inoltre, il legno fornisce ottima legna da ardere ed è impiegato in lavori di artigianato ed ebanisteria. Ma è anche pianta "artistica", ossia ispiratrice di innumerevoli opere d'arte, dalla pittura alla scrittura, dalla scultura alla musica. Scriveva Giovanni Pascoli: "Non vuole, per crescere, ch'aria, che sole che tempo l'ulivo! Nei massi le barbe, e nel cielo le piccole foglie d'argento!". L'Italia è il secondo paese europeo per superficie e produzione, inferiore solo alla Spagna, e contribuisce per oltre il 30% alla produzione europea di olio (circa 542.000 t/anno). A livello nazionale la maggior produzione è concentrata nelle regioni meridionali: Puglia, Calabria e Sicilia. In Campania la superficie olivicola occupa circa 70.000 ha e contribuisce per quasi il 6% alla produzione nazionale. La coltivazione si riscontra infatti nell'80% dei comuni campani e circa 90.000 aziende sono coinvolte nella filiera olivicola. A livello regionale, i territori maggiormente vocati alla coltivazione dell'ulivo sono ubicati in provincia di Salerno (39.000 ha, pari al 56% della superficie regionale) che coprono circa il 62% della produzione regionale. La ricchezza dell'olivicoltura campana, non è data tanto dall'estensione e dalla produzione degli impianti, quanto dalla ricchezza del patrimonio varietale. Infatti, nella regione, sono state catalogate e descritte oltre 60 varietà autoctone delle quali le più rappresentative sono: Sessana e Caiazzana nella provincia di Caserta; Ortice, Ortolana e Racioppella nella provincia di Benevento; Ogliarola e Ravece nella provincia di Avellino; Olivo da olio nella penisola Sorrentina; Pisciottana e Rotondella nella provincia di Salerno. Per queste peculiarità, tre oli campani hanno rievuto il riconoscimento comunitario DOP (Denominazione di Origine Protetta): l'olio "Cilento", l'olio "Penisola Sorrentina" e l'olio "Colline Salernitane". Altri tre oli sono in corso di riconoscimento: l'olio delle "Colline Beneventane", e gli oli "Colline dell'Ufita" e "Sannio Caudino Telesino" dell'irpinia. Considerando i territori in cui sono prodotti gli oli DOP (colline Salernitane, Penisola Sorrentina e Cilento), globalmente l'olivicoltura interessa circa 48.000 aziende ed investe una superficie di circa 38.500 ha. Di queste, solo una piccola percentuale nell'annata olearia 2005-06 è risultata iscritta alla DOP (1307 aziende su una superficie di 3787 ha che hanno dato luogo ad una produzione di quasi 100.000 litri di olio). Il dato che emerge è quindi la frammentazione aziendale delle aziende olivicole (superficie media ad ulivo inferiore ad 1 ha), elemento peraltro tipico dell'agricoltura italiana. Inoltre, la maggior parte degli uliveti non è gestita secondo i principi della coltura specializzata ma promiscua (consociazione con altre specie e/o attività agricole). Se questo può rappresentare un limite per quel che riguarda la produzione, perlomeno in termini quantitativi, rappresenta un punto di forza dato dalla qualità dell'ambiente e del paesaggio (riduzione delle lavorazioni del suolo e, quindi, minor emissioni di carbonio nell'atmosfera, mitigazione dei cambiamenti climatici e tutela idrogeologica del territorio). Nell'area del Parco del Cilento, le varietà autoctone maggiormente rappresentative sono date dalla Nostrale, Rotondella e Carpellese nella parte settentrionale (area Monti Alburni-Calore), Rotondella e Salella nell'area Occidentale (area Monte Gelbison-Bulgheria) e Pisciottana nella parte più meridionale (area Monte Stella-Alento). In definitiva, la ricchezza del patrimonio varietale permette la coltivazione dell'olivo in diverse aree agro-ecologiche (diverse condizioni climatiche ed edafiche), a sottolineare le potenzialità della coltura il cui olio è stato riconosciuto DOP nel 1998 mediante un apposito disciplinare che ne identifica le varietà da impiegare, le zone di produzione (in pratica tutta l'area del Parco), le tecniche di coltivazione che devono essere tradizionali, l'oleificazione che deve avvenire nell'ambito del territorio e le specifiche caratteristiche organolettiche che deve avere il prodotto finito al consumo. La ricchezza del patrimonio varietale rappresenta il vero punto di forza dell'olivicoltura campana: la diversità genetica delle cultivar consente la coltivazione dell'ulivo in ambienti diversi per condizioni ambientali permettendo la produzione di un olio di pregio e di qualità. Ciò riveste anche un notevole significato economico, anche a livello di piccola azienda a conduzione famigliare, nonostante l'enorme lavoro dedicato alla coltura. L'ulivo è infatti una specie tipicamente agroforestale che ben si presta ad essere coltivato in consociazione con altre colture agrarie e/o con il pascolo, sia bovino, sia ovino. Si tratta cioè di un tipico esempio di agricoltura multifunzionale dal punto di vista sia economico, sia ambientale. Infatti, la possibilità di abbinare l'olivicoltura con altre colture agrarie (cerealicole e/o foraggere) permette la diversificazione e l'integrazione delle produzioni e dei redditi a livello di azienda. I vantaggi ambientali sono dati dal controllo dell'erosione del suolo, dalla conservazione della biodiversità e dalla mitigazione dei cambiamenti climatici. Dal punto di vista paesaggistico, è evidente l'enorme valore estetico dato dalla presenza di piante spesso secolari ubicate in zone spesso non destinabili ad altre colture agrarie. Ciò consente anche il mantenimento del presidio antropico in aree marginali che alternativamente sarebbero destinate ad essere abbandonate, con evidenti conseguenze negative sulla tutela idrogeologica del territorio. Per queste caratteristiche il modello colturale dell'olivicoltura tradizionale necessità di essere conservato in quanto risponde pienamente alle principali esigenze ambientali che affliggono la nostra società: necessità di promuovere lo sviluppo sostenibile come indicato dalla Conferenza di Rio de Janeiro, 1992 e dalla Conferenza di Lisbona, 1996; necessità di combattere la desertificazione come evidenziato dalla Convenzione delle Nazioni Unite, 1996; necessità di mitigare i cambiamenti climatici come indicato dal Protocollo di Kyoto, 1996; necessità di fermare il declino della biodiversità come stabilito dal Summit di Gothenburg, 2001. Ma vi è anche la necessità di sviluppare cercando di facilitare il ricambio generazionale degli agricoltori, di migliorare le condizioni di accesso al mercato promovendo anche iniziative di marketing, di promuovere le produzioni tipiche locali abbinando l'olio ad altri prodotti quali il vino e i formaggi. In definitiva occorre mettere a punto strategie di sviluppo integrate in cui la filiera dell'olio ne è una componente essenziale. Tali strategie devono essere condivise dagli attori che vivono nel territorio ai quali deve essere data la possibilità di partecipare ai processi decisionali. Ciò si realizza mediante l'adozione di un approccio partecipativo alla programmazione ed attuazione dello sviluppo territoriale in base al quale tutte le figure interessate (amministratori, agricoltori, sistema ricerca, fruitori del territorio, ecc.) hanno la possibilità di manifestare le proprie idee, riguardo una problematica, in ragione delle proprie esigenze e prospettive. L'obiettivo comune è trovare soluzioni consensuali a problematiche comuni mediante l'integrazione di diversi punti di vista attorno ad uno stesso problema.

Funzioni ed aspetti ecologici dell 'ulivo.

Andrea Pisanelli;Marco Lauteri
2008

Abstract

Funzioni ed aspetti ecologici dell'ulivo Andrea Pisanelli, Marco Lauteri Istituto di Biologia Agroambientale e Forestale, Consiglio Nazionale delle Ricerche andrea.pisanelli@ibaf.cnr.it L'ulivo è forse l'elemento più tipico e caratterizzante dell'ambiente mediterraneo, diffusamente presente in tutti i paesi che si affacciano sul Mare nostrum, dalla Spagna sino alla Turchia, dal Marocco al Medio oriente. In Italia è caratteristico degli ambienti rurali collinari caldi e soleggiati, dalla Liguria alla Sicilia, spesso ubicati in zone svantaggiate e marginali dove l'agricoltura meccanizzata non è spesso praticabile a causa della morfologia accidentata del territorio. Secondo alcune ricerche archeo-botaniche, già nel VI sec. a.C. l'ulivo era presente nel Cilento, introdotto dai Focesi. Specie longeva e di lento accrescimento, l'ulivo presenta spesso dimensioni notevoli e per questo è elemento di notevole interesse paesaggistico. Oltre che alla produzione di frutti (e olio) la pianta è tradizionalmente utilizzata in ambito cosmetico e medicinale. Inoltre, il legno fornisce ottima legna da ardere ed è impiegato in lavori di artigianato ed ebanisteria. Ma è anche pianta "artistica", ossia ispiratrice di innumerevoli opere d'arte, dalla pittura alla scrittura, dalla scultura alla musica. Scriveva Giovanni Pascoli: "Non vuole, per crescere, ch'aria, che sole che tempo l'ulivo! Nei massi le barbe, e nel cielo le piccole foglie d'argento!". L'Italia è il secondo paese europeo per superficie e produzione, inferiore solo alla Spagna, e contribuisce per oltre il 30% alla produzione europea di olio (circa 542.000 t/anno). A livello nazionale la maggior produzione è concentrata nelle regioni meridionali: Puglia, Calabria e Sicilia. In Campania la superficie olivicola occupa circa 70.000 ha e contribuisce per quasi il 6% alla produzione nazionale. La coltivazione si riscontra infatti nell'80% dei comuni campani e circa 90.000 aziende sono coinvolte nella filiera olivicola. A livello regionale, i territori maggiormente vocati alla coltivazione dell'ulivo sono ubicati in provincia di Salerno (39.000 ha, pari al 56% della superficie regionale) che coprono circa il 62% della produzione regionale. La ricchezza dell'olivicoltura campana, non è data tanto dall'estensione e dalla produzione degli impianti, quanto dalla ricchezza del patrimonio varietale. Infatti, nella regione, sono state catalogate e descritte oltre 60 varietà autoctone delle quali le più rappresentative sono: Sessana e Caiazzana nella provincia di Caserta; Ortice, Ortolana e Racioppella nella provincia di Benevento; Ogliarola e Ravece nella provincia di Avellino; Olivo da olio nella penisola Sorrentina; Pisciottana e Rotondella nella provincia di Salerno. Per queste peculiarità, tre oli campani hanno rievuto il riconoscimento comunitario DOP (Denominazione di Origine Protetta): l'olio "Cilento", l'olio "Penisola Sorrentina" e l'olio "Colline Salernitane". Altri tre oli sono in corso di riconoscimento: l'olio delle "Colline Beneventane", e gli oli "Colline dell'Ufita" e "Sannio Caudino Telesino" dell'irpinia. Considerando i territori in cui sono prodotti gli oli DOP (colline Salernitane, Penisola Sorrentina e Cilento), globalmente l'olivicoltura interessa circa 48.000 aziende ed investe una superficie di circa 38.500 ha. Di queste, solo una piccola percentuale nell'annata olearia 2005-06 è risultata iscritta alla DOP (1307 aziende su una superficie di 3787 ha che hanno dato luogo ad una produzione di quasi 100.000 litri di olio). Il dato che emerge è quindi la frammentazione aziendale delle aziende olivicole (superficie media ad ulivo inferiore ad 1 ha), elemento peraltro tipico dell'agricoltura italiana. Inoltre, la maggior parte degli uliveti non è gestita secondo i principi della coltura specializzata ma promiscua (consociazione con altre specie e/o attività agricole). Se questo può rappresentare un limite per quel che riguarda la produzione, perlomeno in termini quantitativi, rappresenta un punto di forza dato dalla qualità dell'ambiente e del paesaggio (riduzione delle lavorazioni del suolo e, quindi, minor emissioni di carbonio nell'atmosfera, mitigazione dei cambiamenti climatici e tutela idrogeologica del territorio). Nell'area del Parco del Cilento, le varietà autoctone maggiormente rappresentative sono date dalla Nostrale, Rotondella e Carpellese nella parte settentrionale (area Monti Alburni-Calore), Rotondella e Salella nell'area Occidentale (area Monte Gelbison-Bulgheria) e Pisciottana nella parte più meridionale (area Monte Stella-Alento). In definitiva, la ricchezza del patrimonio varietale permette la coltivazione dell'olivo in diverse aree agro-ecologiche (diverse condizioni climatiche ed edafiche), a sottolineare le potenzialità della coltura il cui olio è stato riconosciuto DOP nel 1998 mediante un apposito disciplinare che ne identifica le varietà da impiegare, le zone di produzione (in pratica tutta l'area del Parco), le tecniche di coltivazione che devono essere tradizionali, l'oleificazione che deve avvenire nell'ambito del territorio e le specifiche caratteristiche organolettiche che deve avere il prodotto finito al consumo. La ricchezza del patrimonio varietale rappresenta il vero punto di forza dell'olivicoltura campana: la diversità genetica delle cultivar consente la coltivazione dell'ulivo in ambienti diversi per condizioni ambientali permettendo la produzione di un olio di pregio e di qualità. Ciò riveste anche un notevole significato economico, anche a livello di piccola azienda a conduzione famigliare, nonostante l'enorme lavoro dedicato alla coltura. L'ulivo è infatti una specie tipicamente agroforestale che ben si presta ad essere coltivato in consociazione con altre colture agrarie e/o con il pascolo, sia bovino, sia ovino. Si tratta cioè di un tipico esempio di agricoltura multifunzionale dal punto di vista sia economico, sia ambientale. Infatti, la possibilità di abbinare l'olivicoltura con altre colture agrarie (cerealicole e/o foraggere) permette la diversificazione e l'integrazione delle produzioni e dei redditi a livello di azienda. I vantaggi ambientali sono dati dal controllo dell'erosione del suolo, dalla conservazione della biodiversità e dalla mitigazione dei cambiamenti climatici. Dal punto di vista paesaggistico, è evidente l'enorme valore estetico dato dalla presenza di piante spesso secolari ubicate in zone spesso non destinabili ad altre colture agrarie. Ciò consente anche il mantenimento del presidio antropico in aree marginali che alternativamente sarebbero destinate ad essere abbandonate, con evidenti conseguenze negative sulla tutela idrogeologica del territorio. Per queste caratteristiche il modello colturale dell'olivicoltura tradizionale necessità di essere conservato in quanto risponde pienamente alle principali esigenze ambientali che affliggono la nostra società: necessità di promuovere lo sviluppo sostenibile come indicato dalla Conferenza di Rio de Janeiro, 1992 e dalla Conferenza di Lisbona, 1996; necessità di combattere la desertificazione come evidenziato dalla Convenzione delle Nazioni Unite, 1996; necessità di mitigare i cambiamenti climatici come indicato dal Protocollo di Kyoto, 1996; necessità di fermare il declino della biodiversità come stabilito dal Summit di Gothenburg, 2001. Ma vi è anche la necessità di sviluppare cercando di facilitare il ricambio generazionale degli agricoltori, di migliorare le condizioni di accesso al mercato promovendo anche iniziative di marketing, di promuovere le produzioni tipiche locali abbinando l'olio ad altri prodotti quali il vino e i formaggi. In definitiva occorre mettere a punto strategie di sviluppo integrate in cui la filiera dell'olio ne è una componente essenziale. Tali strategie devono essere condivise dagli attori che vivono nel territorio ai quali deve essere data la possibilità di partecipare ai processi decisionali. Ciò si realizza mediante l'adozione di un approccio partecipativo alla programmazione ed attuazione dello sviluppo territoriale in base al quale tutte le figure interessate (amministratori, agricoltori, sistema ricerca, fruitori del territorio, ecc.) hanno la possibilità di manifestare le proprie idee, riguardo una problematica, in ragione delle proprie esigenze e prospettive. L'obiettivo comune è trovare soluzioni consensuali a problematiche comuni mediante l'integrazione di diversi punti di vista attorno ad uno stesso problema.
2008
Istituto di Biologia Agro-ambientale e Forestale - IBAF - Sede Porano
Olea europaea
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14243/106159
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