Le barriere artificiali sono corpi naturali o artificiali deposti dall'uomo sul fondo marino per riprodurre alcune caratteristiche degli habitat rocciosi naturali. Inizialmente utilizzate per favorire la pesca tramite la semplice aggregazione di specie ittiche in determinate aree, negli ultimi decenni il loro uso si è notevolmente ampliato e, attualmente, in diversi Paesi vengono impiegate come interventi di tecnologia morbida volti a: a) proteggere habitat ecologicamente importanti per la riproduzione e il primo accrescimento di specie ittiche; b) introdurre nuovi habitat per favorire lo sviluppo di specie target; c) creare aree controllate di pesca e di acquacoltura estensiva sostenute, ove necessario, da impianti di riproduzione a terra. Gli scopi sono incrementare la produttività dell'ambiente acquatico e trasformare la pesca tradizionale, basata esclusivamente sul prelievo di organismi, in un'attività mirata alla gestione del ciclo vitale delle specie di interesse commerciale. Questo approccio, ampiamente sviluppato in Giappone, è stato applicato anche in Italia, dove la costruzione di barriere artificiali "a fini multipli" o "polivalenti" ha portato, in Adriatico centro-settentrionale, alla creazione di zone in cui la piccola pesca si coniuga a forme di maricoltura di tipo sia estensivo che intensivo. Inoltre, da un punto di vista gestionale, le barriere artificiali possono rappresentare un valido strumento per ridistribuire le risorse, influenzare l'uso degli attrezzi e indirizzare le catture sia in termini di specie che di taglia degli esemplari. In un approccio corretto esse dovrebbero essere incluse in un piano globale che consideri gli aspetti ambientali, biologici e socio-economici del tratto di mare interessato e che preveda misure specifiche volte ad evitare l'insorgere di situazioni di overfishing e di conflittualità tra i potenziali fruitori delle barriere stesse.
Le barriere artificiali
Fabi G;Spagnolo A
2001
Abstract
Le barriere artificiali sono corpi naturali o artificiali deposti dall'uomo sul fondo marino per riprodurre alcune caratteristiche degli habitat rocciosi naturali. Inizialmente utilizzate per favorire la pesca tramite la semplice aggregazione di specie ittiche in determinate aree, negli ultimi decenni il loro uso si è notevolmente ampliato e, attualmente, in diversi Paesi vengono impiegate come interventi di tecnologia morbida volti a: a) proteggere habitat ecologicamente importanti per la riproduzione e il primo accrescimento di specie ittiche; b) introdurre nuovi habitat per favorire lo sviluppo di specie target; c) creare aree controllate di pesca e di acquacoltura estensiva sostenute, ove necessario, da impianti di riproduzione a terra. Gli scopi sono incrementare la produttività dell'ambiente acquatico e trasformare la pesca tradizionale, basata esclusivamente sul prelievo di organismi, in un'attività mirata alla gestione del ciclo vitale delle specie di interesse commerciale. Questo approccio, ampiamente sviluppato in Giappone, è stato applicato anche in Italia, dove la costruzione di barriere artificiali "a fini multipli" o "polivalenti" ha portato, in Adriatico centro-settentrionale, alla creazione di zone in cui la piccola pesca si coniuga a forme di maricoltura di tipo sia estensivo che intensivo. Inoltre, da un punto di vista gestionale, le barriere artificiali possono rappresentare un valido strumento per ridistribuire le risorse, influenzare l'uso degli attrezzi e indirizzare le catture sia in termini di specie che di taglia degli esemplari. In un approccio corretto esse dovrebbero essere incluse in un piano globale che consideri gli aspetti ambientali, biologici e socio-economici del tratto di mare interessato e che preveda misure specifiche volte ad evitare l'insorgere di situazioni di overfishing e di conflittualità tra i potenziali fruitori delle barriere stesse.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.