L'antico acquedotto del Triglio costituisce un'opera idraulica di notevole significato storico ed ingegneristico. Esso è esteso circa 15 km, considerando sia le strutture di presa e raccolta delle acque che quelle di smistamento. Per un lungo lasso di tempo, a partire dall'epoca Romana o dal Medio Evo, l'acquedotto ha rifornito d'acqua gli abitanti della città di Taranto, per essere infine dismesso solo nel secolo scorso. Negli ultimi 50 anni, l'opera è stata pressoché dimenticata da tutti, ad eccezione di gruppi di speleologici, che ne hanno fatto una delle principali cavità artificiali esplorate del sud Italia, e di archeologi, che ne hanno analizzato alcune parti. La definizione dell'assetto idrogeologico dell'acquifero, unitamente ad una maggiore tutela dalle fonti di inquinamento, potrebbero tuttavia restituire all'opera idraulica la sua originaria funzione dispensatrice della risorsa più preziosa. A dispetto dell'uso plurisecolare dell'acquifero, le condizioni geologiche che ne consentono l'esistenza non sono, infatti, note con sufficiente dettaglio. A tale fine sono state condotte ricerche strutturali e stratigrafiche, avvalendosi oltre che delle consuete tecniche geologiche, anche di quelle di progressione speleologica nelle condotte d'acqua. I primi risultati ottenuti indicano una particolare influenza dei caratteri sedimentologici della serie stratigrafica sulle condizioni locali di circolazione delle acque nel sottosuolo. Il regime dell'acquifero, in via di definizione, appare significativamente influenzabile dalle variazioni delle quantità di piogge alimentanti. Per tale aspetto, imprescindibili appaiono le indicazioni fornite da ricerche archeologiche, specie in merito ai tempi di costruzione e di uso delle varie parti dell'opera, nonché da ricostruzioni di carattere paleoclimatico.
Assetto tettono - stratigrafico dell'acquifero e strutture archeologiche dell'acquedotto del Triglio (Taranto)
Delle Rose M;
2004
Abstract
L'antico acquedotto del Triglio costituisce un'opera idraulica di notevole significato storico ed ingegneristico. Esso è esteso circa 15 km, considerando sia le strutture di presa e raccolta delle acque che quelle di smistamento. Per un lungo lasso di tempo, a partire dall'epoca Romana o dal Medio Evo, l'acquedotto ha rifornito d'acqua gli abitanti della città di Taranto, per essere infine dismesso solo nel secolo scorso. Negli ultimi 50 anni, l'opera è stata pressoché dimenticata da tutti, ad eccezione di gruppi di speleologici, che ne hanno fatto una delle principali cavità artificiali esplorate del sud Italia, e di archeologi, che ne hanno analizzato alcune parti. La definizione dell'assetto idrogeologico dell'acquifero, unitamente ad una maggiore tutela dalle fonti di inquinamento, potrebbero tuttavia restituire all'opera idraulica la sua originaria funzione dispensatrice della risorsa più preziosa. A dispetto dell'uso plurisecolare dell'acquifero, le condizioni geologiche che ne consentono l'esistenza non sono, infatti, note con sufficiente dettaglio. A tale fine sono state condotte ricerche strutturali e stratigrafiche, avvalendosi oltre che delle consuete tecniche geologiche, anche di quelle di progressione speleologica nelle condotte d'acqua. I primi risultati ottenuti indicano una particolare influenza dei caratteri sedimentologici della serie stratigrafica sulle condizioni locali di circolazione delle acque nel sottosuolo. Il regime dell'acquifero, in via di definizione, appare significativamente influenzabile dalle variazioni delle quantità di piogge alimentanti. Per tale aspetto, imprescindibili appaiono le indicazioni fornite da ricerche archeologiche, specie in merito ai tempi di costruzione e di uso delle varie parti dell'opera, nonché da ricostruzioni di carattere paleoclimatico.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.