Le istruzioni del 1812 del ministro dell'Interno Zurlo sulla necessità di restituire agli "stabilimenti di beneficenza" la loro funzione originaria, sottolineano quanto e come nel Mezzogiorno napoleonico fosse avvertita l'urgenza di una riforma della carità e dell'assistenza. Compito del governo centrale sarebbe stato quello di vigilare e razionalizzare la gestione, ostacolando ogni tentativo di dirottamento dei fondi in ambiti diversi dal soccorso, dalla cura e da quanto previsto dalle disposizioni testamentarie. In verità il programma avviato da Giuseppe Bonaparte (1806-1808) e ancor più da Gioacchino Murat (1808-1815), s'inserisce in un piano di più lungo periodo. Risalgono infatti all'epoca di Carlo di Borbone (1734-59) e, soprattutto, di suo figlio Ferdinando, i primi passi verso una centralizzazione dei soccorsi. In quegli anni si intensificarono i controlli sull'amministrazione, si denunciarono gli sprechi, si mise l'accento sull'isolamento delle periferie del Regno e si sollecitò la nascita di una rete di aiuti a supporto di poveri e di inabili al lavoro e soprattutto a garanzia dell'ordine pubblico. Nella pubblicistica a cavallo tra sette e ottocentesco si ritrovano su questi temi inchieste, pamphlets, concorsi letterari, e non mancano statistiche sulle urgenze dei malati, dei poveri, sui principi di solidarietà sociale, ma anche sulla repressione e sui controlli. E' dunque con il Secolo dei Lumi che cominciano gli interventi diretti a rivedere i cardini della carità privata, puntando su di un modello di beneficenza e di cura pubblico, in senso lato, non di certo equanime ma almeno più sicuro e meno dispendioso. Fino ad allora, era stato proprio il "patrimonio del povero", accumulato nelle casse dei luoghi pii laicali, a contribuire alla costruzione di un sistema finanziario in grado di condizionare la politica economica e creditizia ma anche sociale del Mezzogiorno. Fu proprio grazie a quello stesso "patrimonio del povero" che si realizzò un modello di aiuti a maglie larghe che consentì a una città come Napoli di non condividere il progetto di reclusione dei poveri adottato da tempo in molti stati. Alla metà del Settecento, per ragioni politiche ma anche finanziarie, quel sistema di gestione entrò in crisi. E mentre i luoghi pii laicali lamentavano una deficienza di fondi, i poveri e gli indigenti diventavano, nel Regno delle Due Sicilie, così come in ogni parte dell'Europa, una questione di Stato. In questo quadro di diffuso disagio sia per la domanda sia per l'offerta di soccorso, s'inserisce la riforma della beneficenza avviata dai Francesi. Una riforma diventata peraltro una necessità in seguito all'abolizione degli arrendamenti che, non solo ridimensionarono la forza contrattuale dei maggiori luoghi pii laicali della capitale e del Regno, divenuti nei secoli vere e proprie "aziende feudali", ma ne imposero la trasformazione. Agli studi apparsi in questi anni va il merito di aver chiarito: 1)le principali tappe di una riorganizzazione delle strutture sanitarie; 2) individuato le trasformazioni introdotte nell'amministrazione, nella contabilità; 3) approfondito il ruolo assunto della chiesa ; 4) ricostruito il quadro legislativo. Ciononostante permangono zone d'ombra sul peso economico e la nuova identità attribuita a quel fitto reticolo di istituzioni laiche per i soccorsi, gli aiuti e le cure agli indigenti, svincolate dall'Ecclesiastico e dal Tribunale Misto, che affollavano le nostre province ; sugli effetti che la riforma ebbe sulla gestione ordinaria, sui costi, sul personale medico ed amministrativo. Altro aspetto che rimane ancora da spiegare riguarda il persistere di un doppio canale ovvero di stretti rapporti tra la beneficenza privata e pubblica. Infine nulla è stato scritto sugli uomini, già impegnati nella vita politica e finanziaria della capitale, cui il governo francese affidò il compito di seguire da vicino la riforma dell'assistenza. In questo intervento ci si soffermerà su alcuni di questi aspetti e sugli effetti delle misure avviate al tempo di Giuseppe Bonaparte, ma in concreto attuate dai ministri di Murat, sull'amministrazione degli enti e dell'intero impianto della beneficenza pubblica e privata della capitale del Regno. L'obiettivo sarà dunque di capire come, pur persistendo il modello caritativo di antico regime, i Francesi imposero un nuovo sistema di aiuti, in una dialettica tra poteri che vide l'affermarsi di una struttura statale che rivendicava un proprio ruolo, con una penetrazione in settori alleati e allineati nella lotta al pauperismo ma ormai inaffidabili e inefficienti, secondo un'accezione economica ma soprattutto caritativa. In tale situazione un ruolo di primo piano fu attribuito a un nuovo attore istituzionale, il Ministro degli Interni, chiamato a giocare una partita che aprirà la strada a una rivoluzionaria formula di amministrazione degli affari di stato.

"Il governo della pubblica beneficenza" a Napoli nel Decennio francese

Raffaella SALVEMINI
2008

Abstract

Le istruzioni del 1812 del ministro dell'Interno Zurlo sulla necessità di restituire agli "stabilimenti di beneficenza" la loro funzione originaria, sottolineano quanto e come nel Mezzogiorno napoleonico fosse avvertita l'urgenza di una riforma della carità e dell'assistenza. Compito del governo centrale sarebbe stato quello di vigilare e razionalizzare la gestione, ostacolando ogni tentativo di dirottamento dei fondi in ambiti diversi dal soccorso, dalla cura e da quanto previsto dalle disposizioni testamentarie. In verità il programma avviato da Giuseppe Bonaparte (1806-1808) e ancor più da Gioacchino Murat (1808-1815), s'inserisce in un piano di più lungo periodo. Risalgono infatti all'epoca di Carlo di Borbone (1734-59) e, soprattutto, di suo figlio Ferdinando, i primi passi verso una centralizzazione dei soccorsi. In quegli anni si intensificarono i controlli sull'amministrazione, si denunciarono gli sprechi, si mise l'accento sull'isolamento delle periferie del Regno e si sollecitò la nascita di una rete di aiuti a supporto di poveri e di inabili al lavoro e soprattutto a garanzia dell'ordine pubblico. Nella pubblicistica a cavallo tra sette e ottocentesco si ritrovano su questi temi inchieste, pamphlets, concorsi letterari, e non mancano statistiche sulle urgenze dei malati, dei poveri, sui principi di solidarietà sociale, ma anche sulla repressione e sui controlli. E' dunque con il Secolo dei Lumi che cominciano gli interventi diretti a rivedere i cardini della carità privata, puntando su di un modello di beneficenza e di cura pubblico, in senso lato, non di certo equanime ma almeno più sicuro e meno dispendioso. Fino ad allora, era stato proprio il "patrimonio del povero", accumulato nelle casse dei luoghi pii laicali, a contribuire alla costruzione di un sistema finanziario in grado di condizionare la politica economica e creditizia ma anche sociale del Mezzogiorno. Fu proprio grazie a quello stesso "patrimonio del povero" che si realizzò un modello di aiuti a maglie larghe che consentì a una città come Napoli di non condividere il progetto di reclusione dei poveri adottato da tempo in molti stati. Alla metà del Settecento, per ragioni politiche ma anche finanziarie, quel sistema di gestione entrò in crisi. E mentre i luoghi pii laicali lamentavano una deficienza di fondi, i poveri e gli indigenti diventavano, nel Regno delle Due Sicilie, così come in ogni parte dell'Europa, una questione di Stato. In questo quadro di diffuso disagio sia per la domanda sia per l'offerta di soccorso, s'inserisce la riforma della beneficenza avviata dai Francesi. Una riforma diventata peraltro una necessità in seguito all'abolizione degli arrendamenti che, non solo ridimensionarono la forza contrattuale dei maggiori luoghi pii laicali della capitale e del Regno, divenuti nei secoli vere e proprie "aziende feudali", ma ne imposero la trasformazione. Agli studi apparsi in questi anni va il merito di aver chiarito: 1)le principali tappe di una riorganizzazione delle strutture sanitarie; 2) individuato le trasformazioni introdotte nell'amministrazione, nella contabilità; 3) approfondito il ruolo assunto della chiesa ; 4) ricostruito il quadro legislativo. Ciononostante permangono zone d'ombra sul peso economico e la nuova identità attribuita a quel fitto reticolo di istituzioni laiche per i soccorsi, gli aiuti e le cure agli indigenti, svincolate dall'Ecclesiastico e dal Tribunale Misto, che affollavano le nostre province ; sugli effetti che la riforma ebbe sulla gestione ordinaria, sui costi, sul personale medico ed amministrativo. Altro aspetto che rimane ancora da spiegare riguarda il persistere di un doppio canale ovvero di stretti rapporti tra la beneficenza privata e pubblica. Infine nulla è stato scritto sugli uomini, già impegnati nella vita politica e finanziaria della capitale, cui il governo francese affidò il compito di seguire da vicino la riforma dell'assistenza. In questo intervento ci si soffermerà su alcuni di questi aspetti e sugli effetti delle misure avviate al tempo di Giuseppe Bonaparte, ma in concreto attuate dai ministri di Murat, sull'amministrazione degli enti e dell'intero impianto della beneficenza pubblica e privata della capitale del Regno. L'obiettivo sarà dunque di capire come, pur persistendo il modello caritativo di antico regime, i Francesi imposero un nuovo sistema di aiuti, in una dialettica tra poteri che vide l'affermarsi di una struttura statale che rivendicava un proprio ruolo, con una penetrazione in settori alleati e allineati nella lotta al pauperismo ma ormai inaffidabili e inefficienti, secondo un'accezione economica ma soprattutto caritativa. In tale situazione un ruolo di primo piano fu attribuito a un nuovo attore istituzionale, il Ministro degli Interni, chiamato a giocare una partita che aprirà la strada a una rivoluzionaria formula di amministrazione degli affari di stato.
2008
Istituto di Studi sul Mediterraneo - ISMed
978-88-8080-097-2
assistenza
luoghi pii
Mezzogiorno
economia
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14243/167977
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