Nella Puglia murgiana e salentina, la prevalenza di rocce calcaree particolarmente sensibili alle azioni chimiche e fisiche delle acque, determina paesaggi analoghi a quelli istriani e sloveni del Carso e, perciò, correntemente qualificati come "carsici". Qui, nel primo millennio a. C., civiltà indigene convissero e rivaleggiarono con città della Magna Grecia per poi essere, infine, conquistate da Roma. Altre civiltà si svilupparono su territori carsici, fra cui quella greca, che li preferì anche per la scelta degli insediamenti coloniali e, probabilmente, per la stessa antica Taras. L'incidenza del carsismo sui processi di urbanizzazione dell'Antica Grecia è tenuta nella dovuta considerazione, mentre sulle civiltà apule, specie quella messapica, essa attende un'adeguata trattazione. I messapi furono artefici del passaggio da un sistema insediativo di villaggi rurali ad un altro più evoluto, di centri fortificati, durante un intervallo di tempo fondamentale nell'evoluzione dagli usi diretti e spontanei delle risorse idriche superficiali, propri della preistoria e della protostoria, alla costruzione delle imponenti opere acquedottistiche delle Grandi Civiltà. In tale periodo si consolidarono i metodi di raccolta e conservazione delle acque piovane e vennero messe a punto le tecniche di scavo dei pozzi per la captazione ed attingimento delle acque sotterranee. Ed è proprio nella terra dei Messapi, ed in particolare presso l'insediamento di Rocavecchia, che si ha notizia di uno dei pozzi più antichi di tutto il Mediterraneo, la cui realizzazione precede almeno di ben cinque secoli quella dei primi pozzi dell'urbe romana. Elementi chiave per la definizione della geografia degli insediamenti del primo millennio a. C., furono la disponibilità e accessibilità alle risorse idriche, essendo la Puglia centro meridionale una regione tendenzialmente soggetta all'inaridimento dei suoli a causa delle condizioni geologiche e climatiche che determinano alte percentuali, rispettivamente, di infiltrazione di acqua nel sottosuolo e di evaporazione. L'argomento richiede sia la sintesi delle molteplici relazioni tra le componenti antropiche e naturali, che l'analisi di indicatori delle relazioni tra ambiente ed attività umane, come l'uso delle forme del paesaggio. Un uso inteso in senso idrologico, ossia relativo agli adattamenti delle forme carsiche ai fini della regimazione delle acque superficiali e dell'approvvigionamento idrico delle comunità. L'uomo che interviene quindi scientemente sui paesaggi per modificare a proprio vantaggio le relazioni tra la roccia e l'acqua. Relazioni già mutevoli nello spazio e nel tempo e che richiesero spesso continue verifiche ed adattamenti, come nei centri messapici di Egnazia e Cavallino. La piana costiera di Egnazia e la depressione prospiciente l'insediamento di Cavallino (la Cupina), devono aver costituito nella preistoria luoghi idonei allo sviluppo dell'agricoltura e della pastorizia, in virtù delle rispettive condizioni geologiche ed ambientali. In questi territori si riscontrano, infatti, condizioni favorevoli per la conservazione dell'umidità dei suoli. Le caratteristiche idrologiche di alcune forme carsiche superficiali, ad esempio microsolchi tributari di vaschette di corrosione, potrebbero aver suggerito un loro uso per primordiali raccolte di acque piovane. In altre parole, le prime cisterne potrebbero essere state realizzate approfondendo e ampliando vaschette e pozzetti carsici probabilmente già prima dell'avvento della civiltà messapica. La necessità di disporre di riserve d'acqua poteva essere in relazioni sia con accresciute esigenze delle comunità che con sfavorevoli condizioni climatiche. Sarebbe quindi necessario poter disporre di dettagliate ricostruzioni paleoclimatiche per poter verificare le ipotesi di ricerca. Tuttavia, le basi della letteratura paleoclimatologica si riferiscono in larga misura a regioni del Nord Europa con caratteristiche climatiche, quindi, marcatamente differenti da quelle mediterranee. Inoltre, i passaggi da fasi aride a fasi umide, e viceversa, potrebbero essere avvenuti con modalità e tempi differenti anche in regioni contigue ma con diverse condizioni geografiche locali quali, ad esempio, altitudini medie, distanza dal mare, ecc.. Nonostante tali limitazioni, un alternarsi di periodi prevalentemente caldi e secchi e periodi relativamente più freddi ed umidi, è stato ipotizzato per la Puglia tra l'età del Bronzo e l'inizio del primo millennio d. C.. Alcuni fasi sembrano trovare conferme in ricerche di carattere stratigrafico-geomorfologico e palinologico condotti nella Puglia centro meridionale. Con riferimento alla suddetta ricostruzione, il periodo di maggior splendore e l'abbandono dell'abitato messapico di Cavallino sarebbero avvenuti durante una fase fredda e con piogge abbondanti, mentre il periodo del probabile uso simultaneo di pozzi e cisterne ad Egnazia si collocherebbe al passaggio con una fase di aridità culminata nel II sec. d. C. In quest'ottica, tra l'altro, troverebbe probabilmente una idonea collocazione anche la celeberrima definizione oraziana della Puglia quale regione siticulosa. Altri riscontri sono ovviamente necessari per verificare queste ipotesi, estendendo le ricerche ad altri centri messapici. In ogni caso, la presunta perdita della potabilità della falda di Egnazia nel III sec. a. C. potrebbe essere stata determinata anche dall'innalzamento del livello marino. Non si può escludere, infine, una sinergia tra i due fenomeni. L'ipotetico avvento di condizioni aride potrebbe aver avuto un ruolo anche nella mancata ricostruzione della Cavallino messapica dopo la distruzione del V sec. a. C., provocando un approfondimento della superficie piezometrica della falda oltre che diminuire le potenzialità di immagazzinare acqua in cisterne. Il vicino centro di Rudiae, che prosperò sino al Medioevo, poté meglio fronteggiare tali cambiamenti forse perché ubicato in prossimità di una falda mantenuta a pochi metri di profondità da un livello argilloso. Questa falda, oggi seriamente inquinata, era utilizzata sino a pochi anni or sono per mezzo di decine di pozzi a scavo. In condizioni climatiche favorevoli, essa determinava la formazione di trabocchi idrici, come descritto alla fine del XIX, in guisa di "piccole sorgenti ...una di queste è la cosiddetta Fontana che si incontra sulla via da Lecce a S. Pietro in Lama, dopo traversata la Cupa, ...Quivi, nel mezzo della via, scorre anche d'estate un piccolo rigagnolo che ha origine da due polle che trovansi sul piano dell'argilla sottostante ai sabbioni". Gli elementi raccolti consentono, infine, di tracciare le principali tappe d'uso delle doline Anfiteatro e Cupa. Per ciò che attiene alla dolina denominata Anfiteatro, la costruzione della recinzione costituisce un termine post quem per la sua presenza certa. In mancanza di studi specifici, non vi è la possibilità di accertarne la presenza in epoche anteriori. Sulla base dei livelli del mare e del tipo di sistema carsico costiero, tale dolina, se esistente in epoca messapica, non doveva essere invasa dalle acque, almeno in modo perenne, e forse colonizzata da vegetazione probabilmente più idrofila rispetto a quella circostante. In ogni caso, se utilizzata per opere di bonifica, avrebbe comunque assolto bene la funzione di smaltire in profondità le acque superficiali. In epoca romana il contorno della dolina fu dapprima delimitato da un recinto al fine di definire uno spazio con funzioni pubbliche, per finire in disuso nel V-VI sec. d. C. A Cavallino, nel VI sec. a. C. la Cupa fu probabilmente destinata a fungere da recapito di un sistema di canalette per la regimazione delle acque superficiali. Le condizioni geologiche e ambientali avrebbero permesso accumuli d'acqua almeno temporanei. La già scarsa permeabilità della Pietra Leccese sarebbe stata infatti ulteriormente ridotta dall'aumento del contenuto d'acqua nei pori, avente all'origine la presunta notevole piovosità del periodo; inoltre le basse temperature avrebbero ridotto al minimo anche l'evaporazione. Tuttavia, durante stagioni relativamente meno umide e senza adeguati adattamenti antropici, limitati volumi di acque convogliate nella Cupa non avrebbero potuto perdurare a lungo. E' in ogni caso significativo osservare che, come testimoniato dai depositi di riempimento, la dolina non era soggetta, almeno limitatamente alla parte nord occidentale, ad interramento per opera della decantazione dei fanghi trasportati dalle acque. Ciò potrebbe forse indicare specifiche opere di manutenzione; in tale logica il limitrofo scavo artificiale avrebbe potuto svolgere funzione di vasca di decantazione. Dopo la distruzione dell'insediamento del V sec. a. C., e forse ancora nell'Evo Antico, iniziò il progressivo accumulo a opera dell'uomo di una "specchia" pietrosa attorno alla Cupa che, condensando l'umidità dell'area, contribuì ad aumentare il contenuto d'acqua del suolo facendone così un fertile appezzamento di terreno. L'ipogeo artificiale realizzato a lato della Cupa probabilmente nel Medio Evo, poteva essere legato proprio alle particolari condizioni della depressione. Cumuli di pietre sono stati infatti realizzati in molte zone aride e sub aride, ed in diverse epoche per favorire la raccolta delle acque. Esempi di adattamenti delle doline a tali fini sono molto frequenti in varie regioni carsiche del Mediterraneo, e ancora oggi è possibile osservarne alcune anche nel nostro territorio. Tristi reliquie di un arcaico rapporto tra uomo e natura.
Uso idrogeologico di forme carsiche nei centri messapici di Egnazia e Cavallino
Delle Rose M
2004
Abstract
Nella Puglia murgiana e salentina, la prevalenza di rocce calcaree particolarmente sensibili alle azioni chimiche e fisiche delle acque, determina paesaggi analoghi a quelli istriani e sloveni del Carso e, perciò, correntemente qualificati come "carsici". Qui, nel primo millennio a. C., civiltà indigene convissero e rivaleggiarono con città della Magna Grecia per poi essere, infine, conquistate da Roma. Altre civiltà si svilupparono su territori carsici, fra cui quella greca, che li preferì anche per la scelta degli insediamenti coloniali e, probabilmente, per la stessa antica Taras. L'incidenza del carsismo sui processi di urbanizzazione dell'Antica Grecia è tenuta nella dovuta considerazione, mentre sulle civiltà apule, specie quella messapica, essa attende un'adeguata trattazione. I messapi furono artefici del passaggio da un sistema insediativo di villaggi rurali ad un altro più evoluto, di centri fortificati, durante un intervallo di tempo fondamentale nell'evoluzione dagli usi diretti e spontanei delle risorse idriche superficiali, propri della preistoria e della protostoria, alla costruzione delle imponenti opere acquedottistiche delle Grandi Civiltà. In tale periodo si consolidarono i metodi di raccolta e conservazione delle acque piovane e vennero messe a punto le tecniche di scavo dei pozzi per la captazione ed attingimento delle acque sotterranee. Ed è proprio nella terra dei Messapi, ed in particolare presso l'insediamento di Rocavecchia, che si ha notizia di uno dei pozzi più antichi di tutto il Mediterraneo, la cui realizzazione precede almeno di ben cinque secoli quella dei primi pozzi dell'urbe romana. Elementi chiave per la definizione della geografia degli insediamenti del primo millennio a. C., furono la disponibilità e accessibilità alle risorse idriche, essendo la Puglia centro meridionale una regione tendenzialmente soggetta all'inaridimento dei suoli a causa delle condizioni geologiche e climatiche che determinano alte percentuali, rispettivamente, di infiltrazione di acqua nel sottosuolo e di evaporazione. L'argomento richiede sia la sintesi delle molteplici relazioni tra le componenti antropiche e naturali, che l'analisi di indicatori delle relazioni tra ambiente ed attività umane, come l'uso delle forme del paesaggio. Un uso inteso in senso idrologico, ossia relativo agli adattamenti delle forme carsiche ai fini della regimazione delle acque superficiali e dell'approvvigionamento idrico delle comunità. L'uomo che interviene quindi scientemente sui paesaggi per modificare a proprio vantaggio le relazioni tra la roccia e l'acqua. Relazioni già mutevoli nello spazio e nel tempo e che richiesero spesso continue verifiche ed adattamenti, come nei centri messapici di Egnazia e Cavallino. La piana costiera di Egnazia e la depressione prospiciente l'insediamento di Cavallino (la Cupina), devono aver costituito nella preistoria luoghi idonei allo sviluppo dell'agricoltura e della pastorizia, in virtù delle rispettive condizioni geologiche ed ambientali. In questi territori si riscontrano, infatti, condizioni favorevoli per la conservazione dell'umidità dei suoli. Le caratteristiche idrologiche di alcune forme carsiche superficiali, ad esempio microsolchi tributari di vaschette di corrosione, potrebbero aver suggerito un loro uso per primordiali raccolte di acque piovane. In altre parole, le prime cisterne potrebbero essere state realizzate approfondendo e ampliando vaschette e pozzetti carsici probabilmente già prima dell'avvento della civiltà messapica. La necessità di disporre di riserve d'acqua poteva essere in relazioni sia con accresciute esigenze delle comunità che con sfavorevoli condizioni climatiche. Sarebbe quindi necessario poter disporre di dettagliate ricostruzioni paleoclimatiche per poter verificare le ipotesi di ricerca. Tuttavia, le basi della letteratura paleoclimatologica si riferiscono in larga misura a regioni del Nord Europa con caratteristiche climatiche, quindi, marcatamente differenti da quelle mediterranee. Inoltre, i passaggi da fasi aride a fasi umide, e viceversa, potrebbero essere avvenuti con modalità e tempi differenti anche in regioni contigue ma con diverse condizioni geografiche locali quali, ad esempio, altitudini medie, distanza dal mare, ecc.. Nonostante tali limitazioni, un alternarsi di periodi prevalentemente caldi e secchi e periodi relativamente più freddi ed umidi, è stato ipotizzato per la Puglia tra l'età del Bronzo e l'inizio del primo millennio d. C.. Alcuni fasi sembrano trovare conferme in ricerche di carattere stratigrafico-geomorfologico e palinologico condotti nella Puglia centro meridionale. Con riferimento alla suddetta ricostruzione, il periodo di maggior splendore e l'abbandono dell'abitato messapico di Cavallino sarebbero avvenuti durante una fase fredda e con piogge abbondanti, mentre il periodo del probabile uso simultaneo di pozzi e cisterne ad Egnazia si collocherebbe al passaggio con una fase di aridità culminata nel II sec. d. C. In quest'ottica, tra l'altro, troverebbe probabilmente una idonea collocazione anche la celeberrima definizione oraziana della Puglia quale regione siticulosa. Altri riscontri sono ovviamente necessari per verificare queste ipotesi, estendendo le ricerche ad altri centri messapici. In ogni caso, la presunta perdita della potabilità della falda di Egnazia nel III sec. a. C. potrebbe essere stata determinata anche dall'innalzamento del livello marino. Non si può escludere, infine, una sinergia tra i due fenomeni. L'ipotetico avvento di condizioni aride potrebbe aver avuto un ruolo anche nella mancata ricostruzione della Cavallino messapica dopo la distruzione del V sec. a. C., provocando un approfondimento della superficie piezometrica della falda oltre che diminuire le potenzialità di immagazzinare acqua in cisterne. Il vicino centro di Rudiae, che prosperò sino al Medioevo, poté meglio fronteggiare tali cambiamenti forse perché ubicato in prossimità di una falda mantenuta a pochi metri di profondità da un livello argilloso. Questa falda, oggi seriamente inquinata, era utilizzata sino a pochi anni or sono per mezzo di decine di pozzi a scavo. In condizioni climatiche favorevoli, essa determinava la formazione di trabocchi idrici, come descritto alla fine del XIX, in guisa di "piccole sorgenti ...una di queste è la cosiddetta Fontana che si incontra sulla via da Lecce a S. Pietro in Lama, dopo traversata la Cupa, ...Quivi, nel mezzo della via, scorre anche d'estate un piccolo rigagnolo che ha origine da due polle che trovansi sul piano dell'argilla sottostante ai sabbioni". Gli elementi raccolti consentono, infine, di tracciare le principali tappe d'uso delle doline Anfiteatro e Cupa. Per ciò che attiene alla dolina denominata Anfiteatro, la costruzione della recinzione costituisce un termine post quem per la sua presenza certa. In mancanza di studi specifici, non vi è la possibilità di accertarne la presenza in epoche anteriori. Sulla base dei livelli del mare e del tipo di sistema carsico costiero, tale dolina, se esistente in epoca messapica, non doveva essere invasa dalle acque, almeno in modo perenne, e forse colonizzata da vegetazione probabilmente più idrofila rispetto a quella circostante. In ogni caso, se utilizzata per opere di bonifica, avrebbe comunque assolto bene la funzione di smaltire in profondità le acque superficiali. In epoca romana il contorno della dolina fu dapprima delimitato da un recinto al fine di definire uno spazio con funzioni pubbliche, per finire in disuso nel V-VI sec. d. C. A Cavallino, nel VI sec. a. C. la Cupa fu probabilmente destinata a fungere da recapito di un sistema di canalette per la regimazione delle acque superficiali. Le condizioni geologiche e ambientali avrebbero permesso accumuli d'acqua almeno temporanei. La già scarsa permeabilità della Pietra Leccese sarebbe stata infatti ulteriormente ridotta dall'aumento del contenuto d'acqua nei pori, avente all'origine la presunta notevole piovosità del periodo; inoltre le basse temperature avrebbero ridotto al minimo anche l'evaporazione. Tuttavia, durante stagioni relativamente meno umide e senza adeguati adattamenti antropici, limitati volumi di acque convogliate nella Cupa non avrebbero potuto perdurare a lungo. E' in ogni caso significativo osservare che, come testimoniato dai depositi di riempimento, la dolina non era soggetta, almeno limitatamente alla parte nord occidentale, ad interramento per opera della decantazione dei fanghi trasportati dalle acque. Ciò potrebbe forse indicare specifiche opere di manutenzione; in tale logica il limitrofo scavo artificiale avrebbe potuto svolgere funzione di vasca di decantazione. Dopo la distruzione dell'insediamento del V sec. a. C., e forse ancora nell'Evo Antico, iniziò il progressivo accumulo a opera dell'uomo di una "specchia" pietrosa attorno alla Cupa che, condensando l'umidità dell'area, contribuì ad aumentare il contenuto d'acqua del suolo facendone così un fertile appezzamento di terreno. L'ipogeo artificiale realizzato a lato della Cupa probabilmente nel Medio Evo, poteva essere legato proprio alle particolari condizioni della depressione. Cumuli di pietre sono stati infatti realizzati in molte zone aride e sub aride, ed in diverse epoche per favorire la raccolta delle acque. Esempi di adattamenti delle doline a tali fini sono molto frequenti in varie regioni carsiche del Mediterraneo, e ancora oggi è possibile osservarne alcune anche nel nostro territorio. Tristi reliquie di un arcaico rapporto tra uomo e natura.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


