Uno dei referendum del 12 e 13 giugno 2011 ha comportato l'abrogazione popolare dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008. La disposizione abrogata proveniva da una annosa questione legislativa che ha caratterizzato la vicenda dei servizi pubblici nel nostro ordinamento, e sulla quale è più volte intervenuta la Commissione europea e, altresì, la Corte costituzionale. L'abrogazione referendaria ha azzerato però la disciplina italiana nella materia dei servizi pubblici locali sotto ogni profilo poiché l'abrogazione dell'art. 23bis non ebbe avuto come effetto la reviviscenza delle norme da questo abrogate. Di conseguenza, la lacuna creata dall'abrogazione popolare non appariva compatibile con i principi europei, per cui si può dire che la Corte costituzionale ha omesso di considerare sino in fondo l'effetto destrutturante che il referendum avrebbe avuto. Sulla base di questa considerazione e della situazione di fatto che si era venuta a creare il governo con il d.l. n. 138 del 2011, convertito in l. n. 148 del 2011, ripristinava di fatto la disciplina abrogata, escludendo il settore idrico e ritenendo così possibile ricondurre a una disciplina politicamente coerente il settore dei rimanenti servizi pubblici locali. La Corte, ritenendo nella specie soddisfatte le condizioni di ammissibilità delle censure, ha trascurato quanto in precedenza sostenuto e il regime giuridico dei servizi pubblici locali è tornato ad essere quello realizzatosi con il referendum abrogativo con tutti i limiti e le incongruenze che presentava.
Considerazioni sul regime di affidamento dei servizi pubblici locali
Stelio Mangiameli
2013
Abstract
Uno dei referendum del 12 e 13 giugno 2011 ha comportato l'abrogazione popolare dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008. La disposizione abrogata proveniva da una annosa questione legislativa che ha caratterizzato la vicenda dei servizi pubblici nel nostro ordinamento, e sulla quale è più volte intervenuta la Commissione europea e, altresì, la Corte costituzionale. L'abrogazione referendaria ha azzerato però la disciplina italiana nella materia dei servizi pubblici locali sotto ogni profilo poiché l'abrogazione dell'art. 23bis non ebbe avuto come effetto la reviviscenza delle norme da questo abrogate. Di conseguenza, la lacuna creata dall'abrogazione popolare non appariva compatibile con i principi europei, per cui si può dire che la Corte costituzionale ha omesso di considerare sino in fondo l'effetto destrutturante che il referendum avrebbe avuto. Sulla base di questa considerazione e della situazione di fatto che si era venuta a creare il governo con il d.l. n. 138 del 2011, convertito in l. n. 148 del 2011, ripristinava di fatto la disciplina abrogata, escludendo il settore idrico e ritenendo così possibile ricondurre a una disciplina politicamente coerente il settore dei rimanenti servizi pubblici locali. La Corte, ritenendo nella specie soddisfatte le condizioni di ammissibilità delle censure, ha trascurato quanto in precedenza sostenuto e il regime giuridico dei servizi pubblici locali è tornato ad essere quello realizzatosi con il referendum abrogativo con tutti i limiti e le incongruenze che presentava.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.