Il tentativo di individuare la disciplina dei rapporti personali nelle convivenze extramatrimoniali deve fare i conti con il dato oggettivo della loro profonda disomogeneità, atteso che nelle stesse sono ricompresi i conviventi in maniera stabile, con o senza prole, i gruppi costituiti da un singolo genitore e dai figli riconosciuti e quelli composti da coppie omosessuali. Le soluzioni prospettate in dottrina sono spesso tra loro dissonanti. Da una parte, si pongono coloro i quali ritengono che i rapporti personali debbano essere sottratti a qualsivoglia forma di autoregolamentazione: per un verso, perché si tratterebbe di accordi che, in quanto limitativi della libertà dell'individuo, sarebbero affetti da nullità; per l'altro, per l'impossibilità (ex art. 1321 c.c.) di dedurre comportamenti personali all'interno di un contratto, non essendo soddisfatti i requisiti idonei a costituire prestazione ai sensi dell'art. 1174 c.c. Dall'altra parte, si pone quella dottrina secondo la quale, fatto salvo il limite della non contrarietà all'ordine pubblico, non può essere del tutto esclusa la possibilità di attribuire rilievo sul piano negoziale ad aspetti di carattere personale. Molto intenso è il dibattito intorno alla possibilità di applicare analogicamente la disciplina dettata per la famiglia matrimoniale alle convivenze non fondate sul matrimonio. La risposta a tale interrogativo passa attraverso la valutazione della possibilità di attribuire alla autonomia privata il potere di disciplinare convenzionalmente comportamenti di natura personale che, pur essendo esclusivi di un rapporto di coniugio, possono rinvenirsi anche nell'àmbito della convivenza.
Dei rapporti personali nelle convivenze non patrimoniali
Fabio Fortinguerra
2009
Abstract
Il tentativo di individuare la disciplina dei rapporti personali nelle convivenze extramatrimoniali deve fare i conti con il dato oggettivo della loro profonda disomogeneità, atteso che nelle stesse sono ricompresi i conviventi in maniera stabile, con o senza prole, i gruppi costituiti da un singolo genitore e dai figli riconosciuti e quelli composti da coppie omosessuali. Le soluzioni prospettate in dottrina sono spesso tra loro dissonanti. Da una parte, si pongono coloro i quali ritengono che i rapporti personali debbano essere sottratti a qualsivoglia forma di autoregolamentazione: per un verso, perché si tratterebbe di accordi che, in quanto limitativi della libertà dell'individuo, sarebbero affetti da nullità; per l'altro, per l'impossibilità (ex art. 1321 c.c.) di dedurre comportamenti personali all'interno di un contratto, non essendo soddisfatti i requisiti idonei a costituire prestazione ai sensi dell'art. 1174 c.c. Dall'altra parte, si pone quella dottrina secondo la quale, fatto salvo il limite della non contrarietà all'ordine pubblico, non può essere del tutto esclusa la possibilità di attribuire rilievo sul piano negoziale ad aspetti di carattere personale. Molto intenso è il dibattito intorno alla possibilità di applicare analogicamente la disciplina dettata per la famiglia matrimoniale alle convivenze non fondate sul matrimonio. La risposta a tale interrogativo passa attraverso la valutazione della possibilità di attribuire alla autonomia privata il potere di disciplinare convenzionalmente comportamenti di natura personale che, pur essendo esclusivi di un rapporto di coniugio, possono rinvenirsi anche nell'àmbito della convivenza.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.