«Difatti, così come essa è, ha un suo carattere quasi regionale, da una parte, dall'altra un culto che ha del mistico per l'antico, e così questo come quello possono apparire non opportuni come per lo innanzi, oggi che l'Italia, una, quasi non scorge più nel suo bel corpo le saldature che per l'unità occorsero e nel culto del suo passato letterario non ha più ragione di raccogliersi come su suo unico possibile vanto». Con queste parole, nel 1921, la Relazione della Commissione ministeriale per la riforma dell'Accademia della Crusca, stesa da Cesare De Lollis, Giovanni Gentile e Vittorio Rossi (ma in gran parte ispirata dal filologo abruzzese) saldava inscindibilmente il fallimento, sia progettuale sia pratico, della quinta impressione del Vocabolario degli Accademici della Crusca all'avvenuta Unità d'Italia. La quinta Crusca era, effettivamente, partita per costruire un «nuovo Vocabolario Italiano, che è il gran libro della Nazione» e aveva in realtà anche provato a collegare il Risorgimento della nazione con il «risorgimento» dell'Accademia stessa, cominciato con la ricostituzione della Crusca per volontà di Napoleone (anch'egli indicato come «re d'Italia»). Tuttavia, la scelta conseguente -- dal punto di vista lessicografico -- fu verso un'opzione essenzialmente puristica, dichiarata, neanche troppo tra le righe, nella stessa Dedica al Sovrano: «i nostri cittadini [...] lasciaronsi andare per un tempo alla servile imitazione del forestiero, prima cagione del guasto e della contaminazione della lor favella; altrettanto ora, rialzati dal vostro braccio, se ne mostreranno schivi, e torneranno coll'amore e con lo studio a ricercare nei monumenti del genio dei padri loro il pensiero e la parola». Si analizza dunque la posizione dei compilatori della quinta Crusca di fronte al problema dell'unità linguistica e politica, con particolare attenzione al dibattito interno all'Accademia (suscitato in particolare da Pasquale Villari) sulla necessità di uno strumento lessicografico nuovo e diverso, che troverà però la sua prima realizzazione solo nell'incompiuto dizionario della Reale Accademia d'Italia.
La lingua del diavolo va tutta in Crusca
Giulio Vaccaro
2012
Abstract
«Difatti, così come essa è, ha un suo carattere quasi regionale, da una parte, dall'altra un culto che ha del mistico per l'antico, e così questo come quello possono apparire non opportuni come per lo innanzi, oggi che l'Italia, una, quasi non scorge più nel suo bel corpo le saldature che per l'unità occorsero e nel culto del suo passato letterario non ha più ragione di raccogliersi come su suo unico possibile vanto». Con queste parole, nel 1921, la Relazione della Commissione ministeriale per la riforma dell'Accademia della Crusca, stesa da Cesare De Lollis, Giovanni Gentile e Vittorio Rossi (ma in gran parte ispirata dal filologo abruzzese) saldava inscindibilmente il fallimento, sia progettuale sia pratico, della quinta impressione del Vocabolario degli Accademici della Crusca all'avvenuta Unità d'Italia. La quinta Crusca era, effettivamente, partita per costruire un «nuovo Vocabolario Italiano, che è il gran libro della Nazione» e aveva in realtà anche provato a collegare il Risorgimento della nazione con il «risorgimento» dell'Accademia stessa, cominciato con la ricostituzione della Crusca per volontà di Napoleone (anch'egli indicato come «re d'Italia»). Tuttavia, la scelta conseguente -- dal punto di vista lessicografico -- fu verso un'opzione essenzialmente puristica, dichiarata, neanche troppo tra le righe, nella stessa Dedica al Sovrano: «i nostri cittadini [...] lasciaronsi andare per un tempo alla servile imitazione del forestiero, prima cagione del guasto e della contaminazione della lor favella; altrettanto ora, rialzati dal vostro braccio, se ne mostreranno schivi, e torneranno coll'amore e con lo studio a ricercare nei monumenti del genio dei padri loro il pensiero e la parola». Si analizza dunque la posizione dei compilatori della quinta Crusca di fronte al problema dell'unità linguistica e politica, con particolare attenzione al dibattito interno all'Accademia (suscitato in particolare da Pasquale Villari) sulla necessità di uno strumento lessicografico nuovo e diverso, che troverà però la sua prima realizzazione solo nell'incompiuto dizionario della Reale Accademia d'Italia.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
prod_275754-doc_91647.pdf
accesso aperto
Descrizione: Torino
Dimensione
4.3 MB
Formato
Adobe PDF
|
4.3 MB | Adobe PDF | Visualizza/Apri |
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.