La redditività, se non la stessa sopravvivenza, di molte attività imprenditoriali legate agli usi tradizionali di materie prime di origine agricola è fortemente condizionata dalla capacità di (auto)rinnovamento dei modelli produttivi e dall'accesso a mercati più remunerativi. Oggi più che mai la competitività delle piccole e medie imprese rurali dipende dalle soluzioni tecnologiche che il mondo della ricerca saprà offrire in termini di miglioramento della sostenibilità e d'innovazione dei processi produttivi. Le esperienze di successo ci insegnano che non occorre rinunciare o stravolgere il "carattere identitario" di ciascun sistema produttivo, ma, viceversa, è essenziale trovare soluzioni che esaltino i legami tra prodotti, ambiente e territorio. In questo ambito, la filiera delle lane italiane costituisce indubbiamente un caso emblematico. A fronte di una produzione media annuale di circa 9 mila tonnellate di lana di pecora, appena il 5% delle lane prodotte in Italia trova una collocazione commerciale accettabile. Il resto viene svenduto, smaltito o ancora peggio abbandonato/bruciato nei campi. Nel giro di pochi decenni la lana è passata dall'essere una risorsa preziosa - fonte di reddito per tutti gli attori della filiera - a costituire un ingombrante e oneroso scarto di produzione. Le cause del tracollo, per quanto molteplici e complesse, sono fondamentalmente riconducibili all'evoluzione del settore tessile italiano che ha rappresentato, storicamente, lo "sbocco naturale" della produzione laniera, anche di quella meno pregiata. L'avvento di nuove fibre (in maggioranza sintetiche) che hanno sostituito quasi del tutto la lana di pecora e, prima ancora, la forte pressione competitiva dei grandi produttori (Australia, Cina e Nuova Zelanda concentrano oltre la metà della produzione mondiale di lana) hanno segnato, irrevocabilmente, il destino delle lane locali. La Sardegna, una regione con forti radici agro-pastorali e con circa il 45% del patrimonio ovino nazionale, non fa eccezione. Di fatto, se la tosatura non rappresentasse una pratica obbligatoria per garantire la salute e la produttività delle greggi (allevati per ricavarne latte e carne), la maggioranza degli allevatori rinuncerebbe volentieri alla produzione di lana.

Percorsi di innovazione per valorizzare le lane e i colori del Mediterraneo. Il progetto MED-Laine/MED-L@ine

Enrico Vagnoni;Elena Campus;Francesca Camilli;Pierpaolo Duce
2014

Abstract

La redditività, se non la stessa sopravvivenza, di molte attività imprenditoriali legate agli usi tradizionali di materie prime di origine agricola è fortemente condizionata dalla capacità di (auto)rinnovamento dei modelli produttivi e dall'accesso a mercati più remunerativi. Oggi più che mai la competitività delle piccole e medie imprese rurali dipende dalle soluzioni tecnologiche che il mondo della ricerca saprà offrire in termini di miglioramento della sostenibilità e d'innovazione dei processi produttivi. Le esperienze di successo ci insegnano che non occorre rinunciare o stravolgere il "carattere identitario" di ciascun sistema produttivo, ma, viceversa, è essenziale trovare soluzioni che esaltino i legami tra prodotti, ambiente e territorio. In questo ambito, la filiera delle lane italiane costituisce indubbiamente un caso emblematico. A fronte di una produzione media annuale di circa 9 mila tonnellate di lana di pecora, appena il 5% delle lane prodotte in Italia trova una collocazione commerciale accettabile. Il resto viene svenduto, smaltito o ancora peggio abbandonato/bruciato nei campi. Nel giro di pochi decenni la lana è passata dall'essere una risorsa preziosa - fonte di reddito per tutti gli attori della filiera - a costituire un ingombrante e oneroso scarto di produzione. Le cause del tracollo, per quanto molteplici e complesse, sono fondamentalmente riconducibili all'evoluzione del settore tessile italiano che ha rappresentato, storicamente, lo "sbocco naturale" della produzione laniera, anche di quella meno pregiata. L'avvento di nuove fibre (in maggioranza sintetiche) che hanno sostituito quasi del tutto la lana di pecora e, prima ancora, la forte pressione competitiva dei grandi produttori (Australia, Cina e Nuova Zelanda concentrano oltre la metà della produzione mondiale di lana) hanno segnato, irrevocabilmente, il destino delle lane locali. La Sardegna, una regione con forti radici agro-pastorali e con circa il 45% del patrimonio ovino nazionale, non fa eccezione. Di fatto, se la tosatura non rappresentasse una pratica obbligatoria per garantire la salute e la produttività delle greggi (allevati per ricavarne latte e carne), la maggioranza degli allevatori rinuncerebbe volentieri alla produzione di lana.
2014
Istituto di Biometeorologia - IBIMET - Sede Firenze
Istituto di Biometeorologia - IBIMET - Sede Firenze
Lane locali
sviluppo rurale
competenze
innovazione
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14243/261317
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