Abstract. Le belle case per li poveri sono quelle, in cui si lavora; ove imparano un mestiere, la religione e la buona morale; ove si provvede coll'educazione de' fanciulli a formare buoni cittadini . Così Giuseppe Maria Galanti a fine Settecento nell'esaltare il progetto dell'Albergo dei Poveri di Napoli sintetizzava il suo pensiero sulla lotta al pauperismo con un piano che andasse oltre l'assistenza attraverso il ricorso all'educazione, alla formazione professionale ma soprattutto al lavoro. Sulla necessità d'intervenire c'erano le testimonianze dei contemporanei che descrivono una capitale con grandi e piccoli poveri, mendicanti, vagabondi, lazzari, una "corte dei miracoli" . Questa situazione non indifferenti i governi: e così nel 1724 con gli austriaci e poi nel 1751 con Carlo di Borbone fu ripubblicata le prammatica che condannava i falsi mendicanti in abito da pellegrino, gli oziosi, i vagabondi, i forestieri che per la vaghezza e fertilità del sito, e per l'abbondanza de' viveri sono allettati a concorrervi e farci dimora. La prammatica di Carlo III era l'ultima della lunga serie De vagabundis seu erronibus che richiamava e confermava un divieto introdotto per la prima volta alla metà del Cinquecento. Studiando il suo contenuto si osserva che per due secoli erano immutate le paure e le esortazioni e cioè incarcerare gli oziosi e scacciare i vagabondi forestieri. A nulla valse precisare che solo il lavoro stabile in una bottega avrebbe potuto evitare la detenzione o l'espulsione dal regno. In definitiva il Regno aveva da sempre condannato vagabundi, erroni, birboni, ganeoni, nebuloni, cingani e mendicanti ma come ribadirà più tardi nel 1832 De Sterlich il fenomeno non andava inquadrato solo in chiave di polizia e di repressione . Alla metà del Settecento lo Stato decise un intervento di carattere diverso in materia di poveri e lavoro. Per una serie di ragioni quali l'incremento demografico, la crisi finanziaria della fine del periodo carolino e le sollecitazioni degli illuministi il povero diventava una risorsa al servizio dello Stato dentro e fuori i reclusori e convitti reali . Sull'esempio di quanto avevano avviato da tempo i conservatori femminili e maschili ci si prefiggeva di combattere l'ozio dilagante con il lavoro. In un contesto di destrutturazione dell'apparato manifatturiero della capitale e con un parallelo affermarsi di una perifericità produttiva lo Stato pensò a un circuito di manifatture protette con beni di largo consumo, a basso costo, un circuito alimentato soprattutto dalle commesse statali. Nacquero così reclusori e case di educazione per una manodopera a buon mercato formata per imprenditori, non di rado stranieri, dentro e fuori le scuole del re. I settori di produzione prescelti per la capitale riguardarono sostanzialmente le cosiddette arti meccaniche e tessili, furono escluse l'agricoltura e le arti annonarie. Parteciparono a questo piano per il lavoro le donne già impegnate da tempo a lavorare nei conservatori e nei convitti alla tessitura e filatura di cotone, lino e canapa, alla lavorazione della lana e soprattutto al rilancio della seta introdotta al Carminiello e a San Leucio. La manodopera maschile fu, invece, impiegata nelle arti meccaniche compresa la realizzazione di chiodi, di strumenti musicali oltre che nella nobile arte della navigazione, riparazione e costruzione delle navi. Dalla metà del Settecento e fino all'arrivo dei Napoleonidi, (1806-1815) lo Stato prima "borbonico" poi "francese", partecipò a un piano per un lavoro "protetto" per i poveri.
Da opifici a scuole. L'Albergo dei Poveri di Napoli e il conservatorio del Carminiello (sec.XVIII-XIX)
Raffaella Salvemini
2014
Abstract
Abstract. Le belle case per li poveri sono quelle, in cui si lavora; ove imparano un mestiere, la religione e la buona morale; ove si provvede coll'educazione de' fanciulli a formare buoni cittadini . Così Giuseppe Maria Galanti a fine Settecento nell'esaltare il progetto dell'Albergo dei Poveri di Napoli sintetizzava il suo pensiero sulla lotta al pauperismo con un piano che andasse oltre l'assistenza attraverso il ricorso all'educazione, alla formazione professionale ma soprattutto al lavoro. Sulla necessità d'intervenire c'erano le testimonianze dei contemporanei che descrivono una capitale con grandi e piccoli poveri, mendicanti, vagabondi, lazzari, una "corte dei miracoli" . Questa situazione non indifferenti i governi: e così nel 1724 con gli austriaci e poi nel 1751 con Carlo di Borbone fu ripubblicata le prammatica che condannava i falsi mendicanti in abito da pellegrino, gli oziosi, i vagabondi, i forestieri che per la vaghezza e fertilità del sito, e per l'abbondanza de' viveri sono allettati a concorrervi e farci dimora. La prammatica di Carlo III era l'ultima della lunga serie De vagabundis seu erronibus che richiamava e confermava un divieto introdotto per la prima volta alla metà del Cinquecento. Studiando il suo contenuto si osserva che per due secoli erano immutate le paure e le esortazioni e cioè incarcerare gli oziosi e scacciare i vagabondi forestieri. A nulla valse precisare che solo il lavoro stabile in una bottega avrebbe potuto evitare la detenzione o l'espulsione dal regno. In definitiva il Regno aveva da sempre condannato vagabundi, erroni, birboni, ganeoni, nebuloni, cingani e mendicanti ma come ribadirà più tardi nel 1832 De Sterlich il fenomeno non andava inquadrato solo in chiave di polizia e di repressione . Alla metà del Settecento lo Stato decise un intervento di carattere diverso in materia di poveri e lavoro. Per una serie di ragioni quali l'incremento demografico, la crisi finanziaria della fine del periodo carolino e le sollecitazioni degli illuministi il povero diventava una risorsa al servizio dello Stato dentro e fuori i reclusori e convitti reali . Sull'esempio di quanto avevano avviato da tempo i conservatori femminili e maschili ci si prefiggeva di combattere l'ozio dilagante con il lavoro. In un contesto di destrutturazione dell'apparato manifatturiero della capitale e con un parallelo affermarsi di una perifericità produttiva lo Stato pensò a un circuito di manifatture protette con beni di largo consumo, a basso costo, un circuito alimentato soprattutto dalle commesse statali. Nacquero così reclusori e case di educazione per una manodopera a buon mercato formata per imprenditori, non di rado stranieri, dentro e fuori le scuole del re. I settori di produzione prescelti per la capitale riguardarono sostanzialmente le cosiddette arti meccaniche e tessili, furono escluse l'agricoltura e le arti annonarie. Parteciparono a questo piano per il lavoro le donne già impegnate da tempo a lavorare nei conservatori e nei convitti alla tessitura e filatura di cotone, lino e canapa, alla lavorazione della lana e soprattutto al rilancio della seta introdotta al Carminiello e a San Leucio. La manodopera maschile fu, invece, impiegata nelle arti meccaniche compresa la realizzazione di chiodi, di strumenti musicali oltre che nella nobile arte della navigazione, riparazione e costruzione delle navi. Dalla metà del Settecento e fino all'arrivo dei Napoleonidi, (1806-1815) lo Stato prima "borbonico" poi "francese", partecipò a un piano per un lavoro "protetto" per i poveri.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.