L'introduzione di molti marmi forestieri in Roma risale già alla fine della Repubblica: nella ricerca di questi materiali lapidei, ogni regione del vasto territorio di dominio fu sottoposta a perduranti operazioni di prelievo. Fra quei marmi cosiddetti forestieri è da mettere in evidenza il marmo di Numidia o Giallo Antico, introdotto a Roma nel II secolo a.C., il marmo Luculleo o Africano, che prende appunto il nome di Lucullo che primo lo apprezzò ed importò, il marmo di Frigia, Pavonazzetto, e quello di Chio, Portasanta. Altri marmi, che compaiono in età augustea, sono il Tenario, Rosso Antico, la Lumachella Orientale, il marmo di Caristo, Cipollino, e numerosi altri di più rara occorrenza. Al II secolo a.C. risalgono i primi esempi di impiego di marmo di Luni importato a Roma, mentre un posto a sé lo occupano le pietre provenienti dall'Egitto, impiegate soprattutto negli edifici pubblici e ad uso della casa imperiale. La più importante di esse è di gran lunga il Porfido Rosso, di cui parlerò approfonditamente di seguito, che diventerà più tardi il simbolo stesso del potere imperiale. I materiali lapidei colorati, dalle provenienze più diverse, incontrano decisamente il favore dei ceti abbienti romani, raggiungendo il suo apice in età flavia. Sovente, infatti, i pavimenti di certi ambienti dell'epoca costituiscono vere e proprie "sillogi marmoree", contenendo tutte le pietre che allora offriva il mercato dei commerci. È noto, storicamente, che il primo romano che osò adornare la sua casa di marmi stranieri fu Quinto Metello Macedonio, il quale fu chiamato, anche per ciò, l'introduttore del lusso a Roma. Marco Lepido, invece, volle il marmo di Numidia o Giallo Antico che, secondo Plinio, fece la sua prima comparsa a Roma nel 78 a.C. Prima di Marco Lepido, Lucio Crasso, console dal 95 a.C., introdusse a Roma colonne di marmi stranieri e le collocò nel Palatino. Infatti, tale circostanza sarà più marcata negli anni a venire. Nel mondo romano l'uso del marmo colorato non è limitato alla decorazione delle superfici, ma si afferma largamente anche nelle strutture portanti, esterne ed interne, come colonne, capitelli, pilastri, lesene, cornici, anche di dimensioni enormi. Nella progettazione e costruzione di un edificio questi erano, anzi, gli elementi che prima di tutto occorreva procacciarsi e che governavano tutto il successivo sviluppo della fabbrica. Basti qui pensare (quanto alle dimensioni) alle colonne di Africano, ora nell'atrio di San Pietro, che misurano più di un metro e mezzo di diametro, o anche a quelle di granito del Mons Claudianus del Pantheon, o ancora a quelle, più grandi, del tempio di Traiano, che misurano poco meno di due metri di diametro per diciotto di lunghezza. Per circa mezzo millennio, dal I secolo a.C. al V d.C., spedizioni continue garantivano l'approvvigionamento dell'architettura dell'Urbe con svariate tipologie di marmi forestieri, nonché, dal lato quantitativo, di moltissimi pezzi. Peraltro, più tardi, la stessa Roma si trasformò in una sorta di cava di marmi, non solo per uso dei Romani, ma anche di numerose città d'Italia e fuori territorio italico.

Marmi antichi nel castello federiciano di Oria

Maurizio Delli Santi
2015

Abstract

L'introduzione di molti marmi forestieri in Roma risale già alla fine della Repubblica: nella ricerca di questi materiali lapidei, ogni regione del vasto territorio di dominio fu sottoposta a perduranti operazioni di prelievo. Fra quei marmi cosiddetti forestieri è da mettere in evidenza il marmo di Numidia o Giallo Antico, introdotto a Roma nel II secolo a.C., il marmo Luculleo o Africano, che prende appunto il nome di Lucullo che primo lo apprezzò ed importò, il marmo di Frigia, Pavonazzetto, e quello di Chio, Portasanta. Altri marmi, che compaiono in età augustea, sono il Tenario, Rosso Antico, la Lumachella Orientale, il marmo di Caristo, Cipollino, e numerosi altri di più rara occorrenza. Al II secolo a.C. risalgono i primi esempi di impiego di marmo di Luni importato a Roma, mentre un posto a sé lo occupano le pietre provenienti dall'Egitto, impiegate soprattutto negli edifici pubblici e ad uso della casa imperiale. La più importante di esse è di gran lunga il Porfido Rosso, di cui parlerò approfonditamente di seguito, che diventerà più tardi il simbolo stesso del potere imperiale. I materiali lapidei colorati, dalle provenienze più diverse, incontrano decisamente il favore dei ceti abbienti romani, raggiungendo il suo apice in età flavia. Sovente, infatti, i pavimenti di certi ambienti dell'epoca costituiscono vere e proprie "sillogi marmoree", contenendo tutte le pietre che allora offriva il mercato dei commerci. È noto, storicamente, che il primo romano che osò adornare la sua casa di marmi stranieri fu Quinto Metello Macedonio, il quale fu chiamato, anche per ciò, l'introduttore del lusso a Roma. Marco Lepido, invece, volle il marmo di Numidia o Giallo Antico che, secondo Plinio, fece la sua prima comparsa a Roma nel 78 a.C. Prima di Marco Lepido, Lucio Crasso, console dal 95 a.C., introdusse a Roma colonne di marmi stranieri e le collocò nel Palatino. Infatti, tale circostanza sarà più marcata negli anni a venire. Nel mondo romano l'uso del marmo colorato non è limitato alla decorazione delle superfici, ma si afferma largamente anche nelle strutture portanti, esterne ed interne, come colonne, capitelli, pilastri, lesene, cornici, anche di dimensioni enormi. Nella progettazione e costruzione di un edificio questi erano, anzi, gli elementi che prima di tutto occorreva procacciarsi e che governavano tutto il successivo sviluppo della fabbrica. Basti qui pensare (quanto alle dimensioni) alle colonne di Africano, ora nell'atrio di San Pietro, che misurano più di un metro e mezzo di diametro, o anche a quelle di granito del Mons Claudianus del Pantheon, o ancora a quelle, più grandi, del tempio di Traiano, che misurano poco meno di due metri di diametro per diciotto di lunghezza. Per circa mezzo millennio, dal I secolo a.C. al V d.C., spedizioni continue garantivano l'approvvigionamento dell'architettura dell'Urbe con svariate tipologie di marmi forestieri, nonché, dal lato quantitativo, di moltissimi pezzi. Peraltro, più tardi, la stessa Roma si trasformò in una sorta di cava di marmi, non solo per uso dei Romani, ma anche di numerose città d'Italia e fuori territorio italico.
2015
978-88-940527-2-5
Marmi antichi
reimpiego
architettura federiciana
Brindisi.
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14243/300482
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact