In un'epoca in cui il corpo umano è oggetto di sperimentazione, in cui la manipolazione genetica delle cellule sembra annunciare un'umanità programmata secondo caratteristiche psicofisiche predeterminate, in cui il concetto di eutanasia sta riaffiorando nella nostra cultura - e notizie di una sua pratica attiva sempre più spesso emergono dalle pagine dei giornali o dalle immagini televisive - anche il fenomeno del suicidio va forse riconsiderato e necessita di ulteriori approfondimenti. La prassi dell'autoeliminazione è conosciuta fin dai tempi più antichi; l'uomo sa che la sua vita deve cessare e spesso, con un gesto, ha voluto porre fine alla sua esistenza volontariamente. Atto che si pone al termine di una commedia rappresentata spesso con clamore o a fil di fiato, da tutti amata e odiata, il suicidio è immerso in un contesto esistenziale che prende in considerazione le più alte questioni: la vita e la morte. Mai come oggi nella nostra società il confine tra il concetto di vita e morte si è fatto estremamente sottile: non perché il primo abbia perso il proprio senso a favore del secondo, piuttosto perché entrambi hanno perso il loro "significato sacro". Nella cultura e nei costumi contemporanei è insita però una contraddizione: da una parte abbiamo migliorato le condizioni materiali dell'esistenza dall'altra, invece, troviamo difficoltà a dare un senso alla nostra vita. Paradossalmente proprio nella ricerca di un senso da attribuire all'esistenza, nella riappropriazione della propria soggettività, il suicidio, argomento così inquietante per certi versi, assume una particolare rilevanza. La condotta suicidaria non può essere ridotta a una pura e semplice patologia psichica: l'atto del suicidio non è da considerarsi sui generis; il suicidio va considerato come un agire che s'inserisce in uno specifico contesto sociale.
A proposito della libertà di vivere e morire. Il suicidio come forma dell'onore
Mangone Emiliana
1995
Abstract
In un'epoca in cui il corpo umano è oggetto di sperimentazione, in cui la manipolazione genetica delle cellule sembra annunciare un'umanità programmata secondo caratteristiche psicofisiche predeterminate, in cui il concetto di eutanasia sta riaffiorando nella nostra cultura - e notizie di una sua pratica attiva sempre più spesso emergono dalle pagine dei giornali o dalle immagini televisive - anche il fenomeno del suicidio va forse riconsiderato e necessita di ulteriori approfondimenti. La prassi dell'autoeliminazione è conosciuta fin dai tempi più antichi; l'uomo sa che la sua vita deve cessare e spesso, con un gesto, ha voluto porre fine alla sua esistenza volontariamente. Atto che si pone al termine di una commedia rappresentata spesso con clamore o a fil di fiato, da tutti amata e odiata, il suicidio è immerso in un contesto esistenziale che prende in considerazione le più alte questioni: la vita e la morte. Mai come oggi nella nostra società il confine tra il concetto di vita e morte si è fatto estremamente sottile: non perché il primo abbia perso il proprio senso a favore del secondo, piuttosto perché entrambi hanno perso il loro "significato sacro". Nella cultura e nei costumi contemporanei è insita però una contraddizione: da una parte abbiamo migliorato le condizioni materiali dell'esistenza dall'altra, invece, troviamo difficoltà a dare un senso alla nostra vita. Paradossalmente proprio nella ricerca di un senso da attribuire all'esistenza, nella riappropriazione della propria soggettività, il suicidio, argomento così inquietante per certi versi, assume una particolare rilevanza. La condotta suicidaria non può essere ridotta a una pura e semplice patologia psichica: l'atto del suicidio non è da considerarsi sui generis; il suicidio va considerato come un agire che s'inserisce in uno specifico contesto sociale.| File | Dimensione | Formato | |
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