La crisi economica ha continuato a toccare l'Italia sino all'inizio di quest'anno, quando, timidamente, l'indicatore del PIL è tornato ad essere positivo. Questo non risolve i problemi che hanno riguardato la finanza pubblica in questi anni. È ancora cresciuto il debito che si attesta attorno al 136% del PIL e anche la possibilità di un bilancio in pareggio non si è realizzata, anzi la ricerca di flessibilità da parte del Governo italiano sembra il segno evidente di una politica economica fondata sulla spesa (neppure produttiva) a debito. Esiste una stretta connessione tra deficit di bilancio e debito pubblico che in Italia stenta a essere considerata dalla classe politica. Infatti, ogni tipologia di deficit tende a trasformarsi successivamente in una parte del debito che deve essere sostenuto e che richiede, perciò, il pagamento di maggiori interessi che gravano sui cittadini. In tale situazione, sperare nella ripresa dell'inflazione con una modesta e fragile crescita per sostenere il debito, significa non avere appreso nulla dalla crisi economica. L'azione di governo non è apparsa poco efficace dal punto di vista delle scelte primarie di finanza pubblica: deficit, debito, pressione fiscale, ecc., ma ha presentato anche delle criticità sul versante del riordino della spesa pubblica. È ampiamente noto che, a partire dal biennio 2011/2012, sono state adottate una serie di misure, a valere anche per gli anni successivi, che hanno sottoposto a più severi tagli la spesa regionale e locale, rispetto a quella statale. Questa decisione è discutibile nel momento in cui la realizzazione di prestazioni e la produzione di beni pubblici a favore della persona e dei cittadini sembra dipendere da servizi pubblici erogati dalle regioni e dalle autonomie locali, piuttosto che dallo Stato.
Dove vanno le Regioni?
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2015
Abstract
La crisi economica ha continuato a toccare l'Italia sino all'inizio di quest'anno, quando, timidamente, l'indicatore del PIL è tornato ad essere positivo. Questo non risolve i problemi che hanno riguardato la finanza pubblica in questi anni. È ancora cresciuto il debito che si attesta attorno al 136% del PIL e anche la possibilità di un bilancio in pareggio non si è realizzata, anzi la ricerca di flessibilità da parte del Governo italiano sembra il segno evidente di una politica economica fondata sulla spesa (neppure produttiva) a debito. Esiste una stretta connessione tra deficit di bilancio e debito pubblico che in Italia stenta a essere considerata dalla classe politica. Infatti, ogni tipologia di deficit tende a trasformarsi successivamente in una parte del debito che deve essere sostenuto e che richiede, perciò, il pagamento di maggiori interessi che gravano sui cittadini. In tale situazione, sperare nella ripresa dell'inflazione con una modesta e fragile crescita per sostenere il debito, significa non avere appreso nulla dalla crisi economica. L'azione di governo non è apparsa poco efficace dal punto di vista delle scelte primarie di finanza pubblica: deficit, debito, pressione fiscale, ecc., ma ha presentato anche delle criticità sul versante del riordino della spesa pubblica. È ampiamente noto che, a partire dal biennio 2011/2012, sono state adottate una serie di misure, a valere anche per gli anni successivi, che hanno sottoposto a più severi tagli la spesa regionale e locale, rispetto a quella statale. Questa decisione è discutibile nel momento in cui la realizzazione di prestazioni e la produzione di beni pubblici a favore della persona e dei cittadini sembra dipendere da servizi pubblici erogati dalle regioni e dalle autonomie locali, piuttosto che dallo Stato.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


