Tra Ottocento e Novecento la crisi dei grandi imperi - innanzitutto di quello Ottomano e di quello Austro-ungarico - apre la strada alla formazione di nuovi stati-nazione. Durante questi processi i grandi porti cosmopoliti (come Salonicco e Smirne) diventano città di secondo rango nell'ambito dei nuovi contesti nazionali, mentre città meno importanti (come Atene e Ankara) assurgono al ruolo di capitali. Se la fine dell'ancien régime si consuma tra guerre, incendi, migrazioni coatte e dispute sui confini, il nuovo ordine geo-politico porta in primo piano la questione delle identità culturali, ovvero la ricostruzione selettiva e ideologica della storia evocata come il "passato conteso" nel titolo di questa raccolta. Il modo in cui le ideologie e i miti nazionali prendono forma in alcune città è, infatti, il tema di questo volume, che raccoglie i casi-studio di Trieste, Gorizia e Pola, nel punto di intersezione fra la Mitteleuropa asburgica, i Balcani ottomani e l'Italia in formazione, e di Salonicco, Haifa e Smirne, sul crinale di rapporti storicamente difficili nel Mediterraneo orientale. Ad essere in gioco è il ruolo futuro di queste città, il cui assetto fisico, sociale, funzionale e formale subisce una vera e propria metamorfosi. Non si tratta solo di pianificare un investimento strategico su alcuni impianti tipologico-funzionali (il porto, la fiera, l'università, il nodo ferroviario, l'accessibilità stradale), ma anche di immaginare edifici e spazi pubblici rappresentativi di nuove istituzioni e di una nuova identità collettiva. Infine, si tratta di ricomporre in un disegno unitario il nuovo insediamento e la vecchia città. La consapevolezza della complessità del problema emerge anche dagli scritti di alcuni contemporanei. Valgano per tutti le considerazioni di Pierre Lavedan:Il problema della ricostruzione delle città è stato, da mezzo secolo a questa parte, sia trascurato, sia considerato come una questione puramente utilitaria o scientifica. Se ne sono interessati solo gli ingegneri, gli agrimensori o gli igienisti. Essi si sono dilettati a ritagliare la massa urbana in figure geometriche, e la simmetria monotona dei piani a scacchiera passava per il trionfo della logica. Ai nostri giorni è stato riconosciuto l'errore. L'arte si è decisa ad affrontare un problema finora abbandonato alla scienza. (...) La guerra, con così tante crudeli devastazioni, ha posto con un'ampiezza sconosciuta il problema della città, opera architettonica1. Il saggio di Bugatti mette a confronto Salonicco e Smirne, due città-porto distrutte da un devastante incendio rispettivamente nell'agosto 1917 e nel settembre 1922. Al momento della catastrofe, entrambe le città avevano sperimentato un periodo di modernizzazione istituzionale e di conseguenti trasformazioni urbane, coerenti con la ricchezza culturale delle loro società cosmopolite. Dopo gli incendi Salonicco e Smirne cambiarono radicalmente. Alla distruzione fisica dei vecchi quartieri etno-confessionali seguì un processo forzato di ricomposizione etnica; la ricostruzione di queste città rispettivamente nella Grecia di Eleftherios Venizelos e nella Turchia di Kemal Atatürk diventò una questione di importanza nazionale. In queste condizioni di grande instabilità l'urbanistica si impone come strumento strategico per costruire una città moderna organizzata per grandi azzonamenti funzionali, nella quale l' "opera architettonica" si risolve nel disegno del nuovo centro civico. Incentrato sul caso di Smirne, il saggio di Hastaoglou-Martinidis e Pallini prende le mosse dai progetti concepiti dall'Amministrazione greca negli anni immediatamente precedenti all'incendio: innanzitutto l'ampliamento del porto e la fondazione dell'università. Dopo l'incendio del 1922, seguito dall'esodo della popolazione greca, armena e occidentale, vengono elaborati diversi progetti di ricostruzione. Basandosi su documenti d'archivio (alcuni dei quali inediti) il contributo prende in esame una serie di piani e mette a confronto le indicazioni ivi contenute con gli interventi effettivamente intrapresi. Nonostante l'urgenza di operare sul sistema delle infrastrutture, la priorità sembra essere quella di predisporre 'scene urbane' dove concentrare edifici dal forte valore simbolico capaci di esprimere una nuova identità collettiva. La trasformazione della vasta baia compresa tra il porto di Haifa e l'antico scalo levantino di San Giovanni d'Acri è il tema del saggio di Fischer. La caduta dell'Impero ottomano e il passaggio della Palestina sotto un mandato internazionale affidato alla Gran Bretagna (1917-1948) pongono le condizioni per lo sviluppo del progetto di auto-emancipazione sionista. Richard Kauffmann, un giovane architetto ebreo di origini tedesche, prepara un ambizioso piano urbanistico per la baia di Haifa (1925-1926), dal quale emerge un’idea della città futura fondata sui caratteri storici e geografici del luogo. Osteggiato dagli inglesi e abbandonato in seguito all'acuirsi del conflitto con la componente araba, questo piano acquista il suo pieno significato solo nel contesto di una precoce idea dello spazio-nazione sionista. Trieste, Gorizia e Pola sono città di confine, a cavallo tra frontiere geografiche e politiche. Prima e dopo la guerra del 1915-18 Trieste, trattata da Andreozzi, Marin e Panariti, deve confrontarsi non solo con i tentativi di 'colonizzazione' del proprio tessuto economico e sociale, ma anche con i progetti di trasformazione promossi dalle diverse amministrazioni statali (l'impero Austro-ungarico e il Regno d'Italia). Gli spazi urbani di maggiore significato, e con essi anche gli "spazi della storia", sembrano però seguire un autonomo processo di costruzione identitaria, contraddistinto da caratteri di continuità, che è possibile individuare attingendo a fonti plurime e differenti interpretazioni. Nella seconda metà dell'Ottocento Gorizia, analizzata da Cattunar e Mellinato, rappresenta uno dei casi più emblematici di città confine, al contempo vittima e attore dei mutati equilibri politici, economici e sociali indotti e dal migrare di luogo e di senso della linea di frontiera. Spazi e funzioni urbane, modi d'uso e caratteri identitari dei luoghi della città possono essere indagati attraverso le fonti storiche: dall'analisi delle politiche, dei piani e dei progetti, alla raccolta e interpretazione delle memorie dei cittadini. Infine, Pola, esaminata da Caltana e Venier, deve la sua improvvisa crescita al fatto di essere stata eletta porto militare della monarchia asburgica intorno alla metà dell'Ottocento. Allo sviluppo e al cosmopolitismo "indotti" fino al 1918, quando diventa città italiana, segue una fase di stallo. Solo dopo il 1950 Pola ritrova il proprio ruolo di base strategica nella repubblica jugoslava. Questo caso studio ci consente di indagare, attraverso le fonti storiche, un rapporto di dipendenza univoca tra città e stato. Obbiettivo di fondo di questa raccolta è introdurre un confronto tra diversi contesti nei quali l'architettura della città porta i segni di un passato conteso fra cosmopolitismo e nazionalismo, fra mito, invenzione e verità storica.

Il passato conteso. Metamorfosi di alcune 'città di confine' nel Mediterraneo orientale tra Ottocento e Novecento

Heleni Porfyriou;
2013

Abstract

Tra Ottocento e Novecento la crisi dei grandi imperi - innanzitutto di quello Ottomano e di quello Austro-ungarico - apre la strada alla formazione di nuovi stati-nazione. Durante questi processi i grandi porti cosmopoliti (come Salonicco e Smirne) diventano città di secondo rango nell'ambito dei nuovi contesti nazionali, mentre città meno importanti (come Atene e Ankara) assurgono al ruolo di capitali. Se la fine dell'ancien régime si consuma tra guerre, incendi, migrazioni coatte e dispute sui confini, il nuovo ordine geo-politico porta in primo piano la questione delle identità culturali, ovvero la ricostruzione selettiva e ideologica della storia evocata come il "passato conteso" nel titolo di questa raccolta. Il modo in cui le ideologie e i miti nazionali prendono forma in alcune città è, infatti, il tema di questo volume, che raccoglie i casi-studio di Trieste, Gorizia e Pola, nel punto di intersezione fra la Mitteleuropa asburgica, i Balcani ottomani e l'Italia in formazione, e di Salonicco, Haifa e Smirne, sul crinale di rapporti storicamente difficili nel Mediterraneo orientale. Ad essere in gioco è il ruolo futuro di queste città, il cui assetto fisico, sociale, funzionale e formale subisce una vera e propria metamorfosi. Non si tratta solo di pianificare un investimento strategico su alcuni impianti tipologico-funzionali (il porto, la fiera, l'università, il nodo ferroviario, l'accessibilità stradale), ma anche di immaginare edifici e spazi pubblici rappresentativi di nuove istituzioni e di una nuova identità collettiva. Infine, si tratta di ricomporre in un disegno unitario il nuovo insediamento e la vecchia città. La consapevolezza della complessità del problema emerge anche dagli scritti di alcuni contemporanei. Valgano per tutti le considerazioni di Pierre Lavedan:Il problema della ricostruzione delle città è stato, da mezzo secolo a questa parte, sia trascurato, sia considerato come una questione puramente utilitaria o scientifica. Se ne sono interessati solo gli ingegneri, gli agrimensori o gli igienisti. Essi si sono dilettati a ritagliare la massa urbana in figure geometriche, e la simmetria monotona dei piani a scacchiera passava per il trionfo della logica. Ai nostri giorni è stato riconosciuto l'errore. L'arte si è decisa ad affrontare un problema finora abbandonato alla scienza. (...) La guerra, con così tante crudeli devastazioni, ha posto con un'ampiezza sconosciuta il problema della città, opera architettonica1. Il saggio di Bugatti mette a confronto Salonicco e Smirne, due città-porto distrutte da un devastante incendio rispettivamente nell'agosto 1917 e nel settembre 1922. Al momento della catastrofe, entrambe le città avevano sperimentato un periodo di modernizzazione istituzionale e di conseguenti trasformazioni urbane, coerenti con la ricchezza culturale delle loro società cosmopolite. Dopo gli incendi Salonicco e Smirne cambiarono radicalmente. Alla distruzione fisica dei vecchi quartieri etno-confessionali seguì un processo forzato di ricomposizione etnica; la ricostruzione di queste città rispettivamente nella Grecia di Eleftherios Venizelos e nella Turchia di Kemal Atatürk diventò una questione di importanza nazionale. In queste condizioni di grande instabilità l'urbanistica si impone come strumento strategico per costruire una città moderna organizzata per grandi azzonamenti funzionali, nella quale l' "opera architettonica" si risolve nel disegno del nuovo centro civico. Incentrato sul caso di Smirne, il saggio di Hastaoglou-Martinidis e Pallini prende le mosse dai progetti concepiti dall'Amministrazione greca negli anni immediatamente precedenti all'incendio: innanzitutto l'ampliamento del porto e la fondazione dell'università. Dopo l'incendio del 1922, seguito dall'esodo della popolazione greca, armena e occidentale, vengono elaborati diversi progetti di ricostruzione. Basandosi su documenti d'archivio (alcuni dei quali inediti) il contributo prende in esame una serie di piani e mette a confronto le indicazioni ivi contenute con gli interventi effettivamente intrapresi. Nonostante l'urgenza di operare sul sistema delle infrastrutture, la priorità sembra essere quella di predisporre 'scene urbane' dove concentrare edifici dal forte valore simbolico capaci di esprimere una nuova identità collettiva. La trasformazione della vasta baia compresa tra il porto di Haifa e l'antico scalo levantino di San Giovanni d'Acri è il tema del saggio di Fischer. La caduta dell'Impero ottomano e il passaggio della Palestina sotto un mandato internazionale affidato alla Gran Bretagna (1917-1948) pongono le condizioni per lo sviluppo del progetto di auto-emancipazione sionista. Richard Kauffmann, un giovane architetto ebreo di origini tedesche, prepara un ambizioso piano urbanistico per la baia di Haifa (1925-1926), dal quale emerge un’idea della città futura fondata sui caratteri storici e geografici del luogo. Osteggiato dagli inglesi e abbandonato in seguito all'acuirsi del conflitto con la componente araba, questo piano acquista il suo pieno significato solo nel contesto di una precoce idea dello spazio-nazione sionista. Trieste, Gorizia e Pola sono città di confine, a cavallo tra frontiere geografiche e politiche. Prima e dopo la guerra del 1915-18 Trieste, trattata da Andreozzi, Marin e Panariti, deve confrontarsi non solo con i tentativi di 'colonizzazione' del proprio tessuto economico e sociale, ma anche con i progetti di trasformazione promossi dalle diverse amministrazioni statali (l'impero Austro-ungarico e il Regno d'Italia). Gli spazi urbani di maggiore significato, e con essi anche gli "spazi della storia", sembrano però seguire un autonomo processo di costruzione identitaria, contraddistinto da caratteri di continuità, che è possibile individuare attingendo a fonti plurime e differenti interpretazioni. Nella seconda metà dell'Ottocento Gorizia, analizzata da Cattunar e Mellinato, rappresenta uno dei casi più emblematici di città confine, al contempo vittima e attore dei mutati equilibri politici, economici e sociali indotti e dal migrare di luogo e di senso della linea di frontiera. Spazi e funzioni urbane, modi d'uso e caratteri identitari dei luoghi della città possono essere indagati attraverso le fonti storiche: dall'analisi delle politiche, dei piani e dei progetti, alla raccolta e interpretazione delle memorie dei cittadini. Infine, Pola, esaminata da Caltana e Venier, deve la sua improvvisa crescita al fatto di essere stata eletta porto militare della monarchia asburgica intorno alla metà dell'Ottocento. Allo sviluppo e al cosmopolitismo "indotti" fino al 1918, quando diventa città italiana, segue una fase di stallo. Solo dopo il 1950 Pola ritrova il proprio ruolo di base strategica nella repubblica jugoslava. Questo caso studio ci consente di indagare, attraverso le fonti storiche, un rapporto di dipendenza univoca tra città e stato. Obbiettivo di fondo di questa raccolta è introdurre un confronto tra diversi contesti nei quali l'architettura della città porta i segni di un passato conteso fra cosmopolitismo e nazionalismo, fra mito, invenzione e verità storica.
2013
Istituto per la Conservazione e la Valorizzazione dei Beni Culturali - ICVBC - Sede Sesto Fiorentino
Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale - ISPC
978-88-8368-131-8
Trasformazioni urbane 19-20 sec; Mediterraneo orientale; Miti nazionali
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14243/312327
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