Le recenti discussioni sul finanziamento dell'ITT e sulla riconversione dell'ex area Expo di Milano hanno fatto emergere posizioni spesso anche contrastanti espresse da autorevoli esponenti del mondo della ricerca, ponendo al centro il tema del metodo di finanziamento della ricerca e della sua relazione con il mondo della decisione politica. Il punto è, dovendo discutere di metodo, si deve dibattere solo di finanziamento dell'ITT o, forse, del finanziamento alla ricerca? In Italia la cronica mancanza di fondi per la ricerca degli Enti di ricerca e delle università, accentuatasi nel corso degli anni fino a raggiungere gli attuali infimi livelli (l'1,2 per cento del PIL di finanziamenti in R&S ci colloca nel fondo della scala dei paesi OCSE), ha ormai determinato un cambiamento profondo del sistema di ricerca e rischia di produrre l'irreversibile desertificazione di numerose e, chi sa, strategiche tematiche e discipline. La contrazione progressiva dei fondi e la loro concentrazione su temi di ricerca indirizzati spesso, quasi sempre, su tematiche i cui risultati sono in buona parte acquisiti, e quindi prossime alle fasi di sviluppo, ha costretto a ridurre progressivamente le ricerche a tema libero o di esito non completamente prevedibile. A questo stato di cose solo le comunità scientifiche più affermate hanno saputo adattarsi garantendo, all'interno di progetti di dimensioni enormi, spazi adeguati anche alle ricerche fondamentali. Questa situazione ha anche dato, purtroppo, più spazio alla formazione di lobby chiuse e rischia di consolidare definitivamente questo sistema poco virtuoso, di dubbia efficacia nel lungo periodo. La Politica, in tutto questo, non riesce a svolgere il necessario ruolo di costruttiva e propositiva mediazione tra le giuste aspettative di sviluppo e innovazione delle Comunità, le risorse del Paese che devono soddisfare molteplici necessità, l'aspirazione di tutti i ricercatori di ogni Comunità scientifica di indagare in tutte le possibili direzioni per assicurare continuità all'avanzamento delle conoscenze, motore essenziale per il progresso ed il benessere sostenibile. L'assenza di una Politica positiva, che molto saltuariamente ed occasionalmente si fa percepire, ha stravolto in questi ultimi anni l'organizzazione e la vita degli Enti, in particolare quelli interdisciplinari, la cui struttura si è deformata al fine di accentuare la capacità di rispondere alle sollecitazioni provenienti dai finanziatori esterni (Commissione Europea, Regioni, Industria ecc.), poco interessati alla conoscenza e molto orientati all'innovazione e allo sviluppo. Gli Enti di ricerca, ovviamente indispensabili coprotagonisti delle fasi di innovazione e di sviluppo, per primi hanno subito questa distorsione che a seguire ha colpito le Università. La questione del finanziamento si pone oggi in un quadro completamente diverso rispetto a quello di qualche decennio fa, quando, pure con non grandi disponibilità di risorse, il modello della ricerca italiana prevedeva tre grandi soggetti collettivi (Università, Industria, Enti di Ricerca) ai quali era demandato il compito di coprire, con differenti intensità e modalità, lo spettro di tutte le attività di R-S-I. Sicuramente il contesto, qualche decennio fa, non era ottimale, ma il tempo non ha portato migliorie e oggi, con un quadro confuso che vede i finanziamenti alla ricerca spezzettati fra ministeri diversi (MIUR, Ministero della Salute, MEF, MISE, Ministero dell'Ambiente, ecc.) per non parlare delle Regioni, è diventato urgente ridiscutere il modello generale di finanziamento alla ricerca italiana e quale deve essere la ricerca italiana. Ha senso finanziare nel PNR le stesse tematiche di ricerca già finanziate da H2020? Ha senso in un Paese come l'Italia, flagellato da eventi di dissesto idrogeologico, lasciare che sia l'emergenza a dettare l'agenda delle ricerche sui rischi naturali orientando, ovviamente, gli studi sugli aspetti più contingenti? Il mondo politico, il governo, il parlamento desiderano un sistema nazionale di ricerca e nel caso quali dimensioni esso deve prevedere, quanti ricercatori, quale carriera e con quali tempi, quali finanziamenti prevedere con continuità, come deciderne la collocazione (privilegiare solo alcune tematiche, distribuire uniformemente, assicurare continuità a tutti gli ambiti rafforzando di volta in volta quelli al momento più "produttivi"), erogati con quali procedure? Riaprire un dibattito dopo tanti anni tra coloro che svolgono questo lavoro e il mondo sociale e politico italiano è fra i compiti della nostra rivista. Pensiamo sia giunto il momento di ridiscutere come si organizza e come si finanzia la ricerca in Italia.
Che finanziamenti per la ricerca e quale ricerca per il Paese?
Palaia R
2016
Abstract
Le recenti discussioni sul finanziamento dell'ITT e sulla riconversione dell'ex area Expo di Milano hanno fatto emergere posizioni spesso anche contrastanti espresse da autorevoli esponenti del mondo della ricerca, ponendo al centro il tema del metodo di finanziamento della ricerca e della sua relazione con il mondo della decisione politica. Il punto è, dovendo discutere di metodo, si deve dibattere solo di finanziamento dell'ITT o, forse, del finanziamento alla ricerca? In Italia la cronica mancanza di fondi per la ricerca degli Enti di ricerca e delle università, accentuatasi nel corso degli anni fino a raggiungere gli attuali infimi livelli (l'1,2 per cento del PIL di finanziamenti in R&S ci colloca nel fondo della scala dei paesi OCSE), ha ormai determinato un cambiamento profondo del sistema di ricerca e rischia di produrre l'irreversibile desertificazione di numerose e, chi sa, strategiche tematiche e discipline. La contrazione progressiva dei fondi e la loro concentrazione su temi di ricerca indirizzati spesso, quasi sempre, su tematiche i cui risultati sono in buona parte acquisiti, e quindi prossime alle fasi di sviluppo, ha costretto a ridurre progressivamente le ricerche a tema libero o di esito non completamente prevedibile. A questo stato di cose solo le comunità scientifiche più affermate hanno saputo adattarsi garantendo, all'interno di progetti di dimensioni enormi, spazi adeguati anche alle ricerche fondamentali. Questa situazione ha anche dato, purtroppo, più spazio alla formazione di lobby chiuse e rischia di consolidare definitivamente questo sistema poco virtuoso, di dubbia efficacia nel lungo periodo. La Politica, in tutto questo, non riesce a svolgere il necessario ruolo di costruttiva e propositiva mediazione tra le giuste aspettative di sviluppo e innovazione delle Comunità, le risorse del Paese che devono soddisfare molteplici necessità, l'aspirazione di tutti i ricercatori di ogni Comunità scientifica di indagare in tutte le possibili direzioni per assicurare continuità all'avanzamento delle conoscenze, motore essenziale per il progresso ed il benessere sostenibile. L'assenza di una Politica positiva, che molto saltuariamente ed occasionalmente si fa percepire, ha stravolto in questi ultimi anni l'organizzazione e la vita degli Enti, in particolare quelli interdisciplinari, la cui struttura si è deformata al fine di accentuare la capacità di rispondere alle sollecitazioni provenienti dai finanziatori esterni (Commissione Europea, Regioni, Industria ecc.), poco interessati alla conoscenza e molto orientati all'innovazione e allo sviluppo. Gli Enti di ricerca, ovviamente indispensabili coprotagonisti delle fasi di innovazione e di sviluppo, per primi hanno subito questa distorsione che a seguire ha colpito le Università. La questione del finanziamento si pone oggi in un quadro completamente diverso rispetto a quello di qualche decennio fa, quando, pure con non grandi disponibilità di risorse, il modello della ricerca italiana prevedeva tre grandi soggetti collettivi (Università, Industria, Enti di Ricerca) ai quali era demandato il compito di coprire, con differenti intensità e modalità, lo spettro di tutte le attività di R-S-I. Sicuramente il contesto, qualche decennio fa, non era ottimale, ma il tempo non ha portato migliorie e oggi, con un quadro confuso che vede i finanziamenti alla ricerca spezzettati fra ministeri diversi (MIUR, Ministero della Salute, MEF, MISE, Ministero dell'Ambiente, ecc.) per non parlare delle Regioni, è diventato urgente ridiscutere il modello generale di finanziamento alla ricerca italiana e quale deve essere la ricerca italiana. Ha senso finanziare nel PNR le stesse tematiche di ricerca già finanziate da H2020? Ha senso in un Paese come l'Italia, flagellato da eventi di dissesto idrogeologico, lasciare che sia l'emergenza a dettare l'agenda delle ricerche sui rischi naturali orientando, ovviamente, gli studi sugli aspetti più contingenti? Il mondo politico, il governo, il parlamento desiderano un sistema nazionale di ricerca e nel caso quali dimensioni esso deve prevedere, quanti ricercatori, quale carriera e con quali tempi, quali finanziamenti prevedere con continuità, come deciderne la collocazione (privilegiare solo alcune tematiche, distribuire uniformemente, assicurare continuità a tutti gli ambiti rafforzando di volta in volta quelli al momento più "produttivi"), erogati con quali procedure? Riaprire un dibattito dopo tanti anni tra coloro che svolgono questo lavoro e il mondo sociale e politico italiano è fra i compiti della nostra rivista. Pensiamo sia giunto il momento di ridiscutere come si organizza e come si finanzia la ricerca in Italia.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.