I disastri naturali causati dal moto delle acque e amplificati da squilibri geo-idrologici o dissesti territoriali di natura antropica, possono diventare, per la loro virulenza, delle esperienze tragiche. Si tratta di eventi con i quali l'uomo ha dovuto fare i conti fin dalla notte dei tempi, al punto che la memoria dell'evento eccezionale si è spesso sedimentata nella coscienza collettiva, alimentando leggende e credenze, stimolando pratiche taumaturgiche tese a scongiurarli o, in maniera più razionale, soluzioni atte a prevenirli. Tutti questi atteggiamenti esprimono la consapevolezza di un rapporto gravemente asimmetrico e penalizzante fra le opere antropiche e le forze della natura. Se le culture del disastro possono trovare nel ricordo storico una preventiva funzione di sicurezza e di presidio dal ripetersi degli avvenimenti, non diversamente le città sono come dei catalizzatori elettrici per le memoria delle comunità nel processo, non lineare, della riappropriazione degli spazi urbani. Una reazione della popolazione alle bizzarie metereologiche sono le epigrafi, i livelli di guardia raggiunti, e le linee sui muri delle case, che disegnano la mappa di una geografia urbana della percezione, del ricordo e delle memorie, che sa anche elevarsi a un livello "alto", fatto di espressioni artistiche e monumentali, nonché filmiche e fotografiche, per ricordare e avvertire i posteri fin dove l'acqua ha potuto raggiungere, sconfinare e, in definitiva, minacciare la realtà urbana. La memoria diventa, allora, una sorta di guardiano delle problematiche esistenti fra il presente e il passato, fra un'acqua dal volto duplice di giano bifronte: amica e nemica. Va da sé che ricordare nello spazio e nel tempo non è mai un'operazione neutra e pienamente condivisa, per cui un gruppo di ricerca secondo una prospettiva interdisciplinare e comparativa ha declinato questa traccia per competenze in un'ampia panoramica storica.

Acque amiche acque nemiche - Introduzione

Laura Genovese;
2015

Abstract

I disastri naturali causati dal moto delle acque e amplificati da squilibri geo-idrologici o dissesti territoriali di natura antropica, possono diventare, per la loro virulenza, delle esperienze tragiche. Si tratta di eventi con i quali l'uomo ha dovuto fare i conti fin dalla notte dei tempi, al punto che la memoria dell'evento eccezionale si è spesso sedimentata nella coscienza collettiva, alimentando leggende e credenze, stimolando pratiche taumaturgiche tese a scongiurarli o, in maniera più razionale, soluzioni atte a prevenirli. Tutti questi atteggiamenti esprimono la consapevolezza di un rapporto gravemente asimmetrico e penalizzante fra le opere antropiche e le forze della natura. Se le culture del disastro possono trovare nel ricordo storico una preventiva funzione di sicurezza e di presidio dal ripetersi degli avvenimenti, non diversamente le città sono come dei catalizzatori elettrici per le memoria delle comunità nel processo, non lineare, della riappropriazione degli spazi urbani. Una reazione della popolazione alle bizzarie metereologiche sono le epigrafi, i livelli di guardia raggiunti, e le linee sui muri delle case, che disegnano la mappa di una geografia urbana della percezione, del ricordo e delle memorie, che sa anche elevarsi a un livello "alto", fatto di espressioni artistiche e monumentali, nonché filmiche e fotografiche, per ricordare e avvertire i posteri fin dove l'acqua ha potuto raggiungere, sconfinare e, in definitiva, minacciare la realtà urbana. La memoria diventa, allora, una sorta di guardiano delle problematiche esistenti fra il presente e il passato, fra un'acqua dal volto duplice di giano bifronte: amica e nemica. Va da sé che ricordare nello spazio e nel tempo non è mai un'operazione neutra e pienamente condivisa, per cui un gruppo di ricerca secondo una prospettiva interdisciplinare e comparativa ha declinato questa traccia per competenze in un'ampia panoramica storica.
2015
scarsità d'acqua
resilienza
disastri naturali
alluvioni
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14243/334560
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