Negli ultimi 20 anni le regioni italiane hanno variamente innovato la loro legislazione elettorale, introducendo norme per il riequilibrio della rappresentanza di genere. Una rassegna delle leggi elettorali regionali, consente di riconoscere perlomeno tre distinte fattispecie di meccanismi: - la quota di genere: stabilisce che la presenza nelle liste dei candidati di uno dei due generi non può essere inferiore ad una data quota. Le quote minime possono però variare. Se ne individuano sostanzialmente tre tipi: 33%, 40% e 50%; - la doppia preferenza di genere: stabilisce che l'elettore possa proporre una doppia preferenza a patto che la seconda sia di un genere diverso dalla prima; - la lista alternata: prevede che le liste elettorali siano compilate alternando il nome di un uomo a quello di una donna. Le regioni hanno combinato tali meccanismi nella propria legislazione in maniera diversificata, talora utilizzandoli singolarmente, talora congiuntamente. Le varie combinazioni concretamente realizzate, consentono di classificare le regioni italiane in diversi gruppi. La valutazione delle performance di tali innovazioni normative in termini di ampliamento della quota di candidate ed elette rappresenta una sfida assai complessa. Diverse difficoltà, infatti, si frappongono alla implementazione di un rigoroso disegno valutativo. In prima battuta la varietà del trattamento: la legislazione in tema elettorale risulta quanto mai varia, sia per quanto riguarda i meccanismi di voto, sia in relazione all'equilibrio di genere. Essa dipende infatti - secondo quanto prevede il principio di autonomia regionale sancita dalla modifica della Costituzione - da norme costituite su base regionale. A questo elemento si somma un'ulteriore fattore di complessità, legato alla cadenza temporale del trattamento: le tornate elettorali si succedono in maniera irregolare nel corso tempo e rendono poco confrontabili i risultati delle diverse elezioni. Il terzo elemento che limita il confronto delle performance è il diverso andamento territoriale del fenomeno della partecipazione femminile alla vita politica. Il paper, a partire una concreta esperienza di valutazione realizzata per il Dipartimento delle Riforme Istituzionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, riflette sulle implicazioni che tali elementi metodologici hanno sul disegno di valutazione e, contestualmente, propone una realistica strategia di analisi, basata sull'analisi del rendimento differenziale delle singole combinazioni. L'approccio poggia sul confronto del comportamento pre e post riforma delle regioni appartenenti ai diversi gruppi, eventualmente corretto per un indice storico (nel caso vi siano fenomeni tendenziali di cambiamento culturale). Per ciascuna regione il metodo calcola la differenza tra le percentuali di genere, registrate nell'elezione precedente all'introduzione delle norme per il riequilibrio e l'elezione successiva. Dai risultati delle singole regioni si provvede poi a determinare la media riferibile ai diversi gruppi. Il dato costituisce, seppure con un notevole grado di approssimazione dovuto ai disallineamenti temporali e alla composizione geografica dei singoli gruppi, una misura del rendimento medio dei diversi meccanismi di riequilibrio del genere.

Valutare la performance delle norme regionali per il riequilibrio di genere nella rappresentanza politica. Problemi metodologici e proposte analitiche

Igor Benati;Ugo Finardi;Elena Ragazzi
2018

Abstract

Negli ultimi 20 anni le regioni italiane hanno variamente innovato la loro legislazione elettorale, introducendo norme per il riequilibrio della rappresentanza di genere. Una rassegna delle leggi elettorali regionali, consente di riconoscere perlomeno tre distinte fattispecie di meccanismi: - la quota di genere: stabilisce che la presenza nelle liste dei candidati di uno dei due generi non può essere inferiore ad una data quota. Le quote minime possono però variare. Se ne individuano sostanzialmente tre tipi: 33%, 40% e 50%; - la doppia preferenza di genere: stabilisce che l'elettore possa proporre una doppia preferenza a patto che la seconda sia di un genere diverso dalla prima; - la lista alternata: prevede che le liste elettorali siano compilate alternando il nome di un uomo a quello di una donna. Le regioni hanno combinato tali meccanismi nella propria legislazione in maniera diversificata, talora utilizzandoli singolarmente, talora congiuntamente. Le varie combinazioni concretamente realizzate, consentono di classificare le regioni italiane in diversi gruppi. La valutazione delle performance di tali innovazioni normative in termini di ampliamento della quota di candidate ed elette rappresenta una sfida assai complessa. Diverse difficoltà, infatti, si frappongono alla implementazione di un rigoroso disegno valutativo. In prima battuta la varietà del trattamento: la legislazione in tema elettorale risulta quanto mai varia, sia per quanto riguarda i meccanismi di voto, sia in relazione all'equilibrio di genere. Essa dipende infatti - secondo quanto prevede il principio di autonomia regionale sancita dalla modifica della Costituzione - da norme costituite su base regionale. A questo elemento si somma un'ulteriore fattore di complessità, legato alla cadenza temporale del trattamento: le tornate elettorali si succedono in maniera irregolare nel corso tempo e rendono poco confrontabili i risultati delle diverse elezioni. Il terzo elemento che limita il confronto delle performance è il diverso andamento territoriale del fenomeno della partecipazione femminile alla vita politica. Il paper, a partire una concreta esperienza di valutazione realizzata per il Dipartimento delle Riforme Istituzionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, riflette sulle implicazioni che tali elementi metodologici hanno sul disegno di valutazione e, contestualmente, propone una realistica strategia di analisi, basata sull'analisi del rendimento differenziale delle singole combinazioni. L'approccio poggia sul confronto del comportamento pre e post riforma delle regioni appartenenti ai diversi gruppi, eventualmente corretto per un indice storico (nel caso vi siano fenomeni tendenziali di cambiamento culturale). Per ciascuna regione il metodo calcola la differenza tra le percentuali di genere, registrate nell'elezione precedente all'introduzione delle norme per il riequilibrio e l'elezione successiva. Dai risultati delle singole regioni si provvede poi a determinare la media riferibile ai diversi gruppi. Il dato costituisce, seppure con un notevole grado di approssimazione dovuto ai disallineamenti temporali e alla composizione geografica dei singoli gruppi, una misura del rendimento medio dei diversi meccanismi di riequilibrio del genere.
2018
Istituto di Ricerca sulla Crescita Economica Sostenibile - IRCrES
valutazione di efficacia
meccanismi elettorali
riequilibrio di genere
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14243/372706
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