La fragilità del territorio italiano riguardo ai rischi naturali, segnatamente quello sismico e idrogeologico, è un aspetto ben noto. Questa problematicità ha condotto la comunità nazionale ad affrontare, dal 1944 al 2012, costi complessivi pari a circa 242.5 miliardi di euro, 181 dei quali per danni provocati da eventi sismici e 61.5 per quelli legati ad eventi idrogeologici, per un costo medio annuo di 3.5 miliardi di euro (ANCE-CRESME, 2012). In quest'ottica, la conoscenza degli eventi naturali estremi che hanno storicamente interessato un determinato territorio e l'analisi delle conseguenze sul tessuto antropico e territoriale sono un tassello imprescindibile per la messa in campo di strategie mirate sia alla previsione sia alla prevenzione. Ciò è particolarmente vero in un territorio come quello italiano caratterizzato da un'importante attività sismica e nel contempo da scarsa percezione del rischio da parte della popolazione, fattore questo che tende ad aggravare gli esiti di un evento naturale estremo (Gizzi et al., 2016a). Nel contesto dei paesi del Mediterraneo, l'Italia è un territorio caratterizzato da sismicità medio-alta: in media ogni 100 anni si verifi cano più di 100 terremoti di magnitudo compresa tra 5.0 e 6.0 e dai 5 ai 10 terremoti di magnitudo superiore a 6.0. Le aree sedi dei terremoti sono quelle dell'intero arco appenninico, della parte orientale delle Alpi e quelle in prossimità delle aree vulcaniche. Soffermandosi più da vicino sulla storia sismica dell'Italia, una rapida analisi del Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani 2015 (CPTI15, Rovida et al., 2016) mette in evidenza come il Paese sia stato teatro di numerosi ed energetici eventi. Per avere un quadro statistico di riferimento dei forti terremoti basta ricordare che nel corso degli ultimi mille anni circa quaranta terremoti con magnitudo (Mw) maggiore o uguale a 6.5 hanno colpito l'Italia, con specifico riguardo alla fascia assiale appenninica tra l'Umbria e la Calabria. Questi terremoti hanno determinato profondi cambiamenti nel tessuto urbano con abbandoni di località, ricostruzioni in sito o delocalizzazioni di centri demici, conseguenze socio-economiche con distruzioni di contesti produttivi e compromissione delle interrelazioni sociali, mutamenti nel contesto territoriale indotti, ad esempio, dagli effetti secondari di eventi sismici come i fenomeni franosi (Gizzi et al., 2014; Gizzi et al., 2016b). In questo ambito si colloca la Basilicata che è stata soggetta a terremoti che hanno avuto origine sia in aree interne alla regione o al confi ne con la Campania (ad esempio la sequenza sismica dei mesi di luglio-agosto 1561, terremoto del 14 agosto 1851 e del 16 dicembre 1857) sia in aree a essa esterne, ubicate prevalentemente in Irpinia (ad esempio i terremoti dell'8 settembre 1694 e del 23 novembre 1980). Il quadro sismico della Basilicata è, tuttavia, più complesso sia per quanto riguarda l'articolazione delle aree di origine degli eventi sismici (Fig. 1), sia per quanto attiene gli impatti degli effetti diretti (a breve termine) o indiretti (a lungo termine) che si sono verifi cati nel tessuto antropico-insediativo nel corso dei secoli. Partendo da questa premessa, il contributo analizza brevemente la sismicità che ha interessato la Basilicata nel corso degli ultimi mille anni. A tal fi ne sono stati estratti dal CPTI15 i terremoti di cui in Tabella 1. Tale elenco, che include circa 60 eventi, è stato costruito selezionando i terremoti, o in taluni casi le loro sequenze, per i quali in almeno una località della Regione sono stati osservati effetti riconducibili a un'intensità macrosismica uguale o superiore al grado 6 MCS. Nel prosieguo dell'articolo saranno discussi più in dettaglio, ma senza alcuna pretesa di esaustività, i terremoti che hanno causato le maggiori conseguenze nel territorio lucano.

Storia sismica della Basilicata con particolare riguardo ai secoli XIX e XX

MR Potenza
2018

Abstract

La fragilità del territorio italiano riguardo ai rischi naturali, segnatamente quello sismico e idrogeologico, è un aspetto ben noto. Questa problematicità ha condotto la comunità nazionale ad affrontare, dal 1944 al 2012, costi complessivi pari a circa 242.5 miliardi di euro, 181 dei quali per danni provocati da eventi sismici e 61.5 per quelli legati ad eventi idrogeologici, per un costo medio annuo di 3.5 miliardi di euro (ANCE-CRESME, 2012). In quest'ottica, la conoscenza degli eventi naturali estremi che hanno storicamente interessato un determinato territorio e l'analisi delle conseguenze sul tessuto antropico e territoriale sono un tassello imprescindibile per la messa in campo di strategie mirate sia alla previsione sia alla prevenzione. Ciò è particolarmente vero in un territorio come quello italiano caratterizzato da un'importante attività sismica e nel contempo da scarsa percezione del rischio da parte della popolazione, fattore questo che tende ad aggravare gli esiti di un evento naturale estremo (Gizzi et al., 2016a). Nel contesto dei paesi del Mediterraneo, l'Italia è un territorio caratterizzato da sismicità medio-alta: in media ogni 100 anni si verifi cano più di 100 terremoti di magnitudo compresa tra 5.0 e 6.0 e dai 5 ai 10 terremoti di magnitudo superiore a 6.0. Le aree sedi dei terremoti sono quelle dell'intero arco appenninico, della parte orientale delle Alpi e quelle in prossimità delle aree vulcaniche. Soffermandosi più da vicino sulla storia sismica dell'Italia, una rapida analisi del Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani 2015 (CPTI15, Rovida et al., 2016) mette in evidenza come il Paese sia stato teatro di numerosi ed energetici eventi. Per avere un quadro statistico di riferimento dei forti terremoti basta ricordare che nel corso degli ultimi mille anni circa quaranta terremoti con magnitudo (Mw) maggiore o uguale a 6.5 hanno colpito l'Italia, con specifico riguardo alla fascia assiale appenninica tra l'Umbria e la Calabria. Questi terremoti hanno determinato profondi cambiamenti nel tessuto urbano con abbandoni di località, ricostruzioni in sito o delocalizzazioni di centri demici, conseguenze socio-economiche con distruzioni di contesti produttivi e compromissione delle interrelazioni sociali, mutamenti nel contesto territoriale indotti, ad esempio, dagli effetti secondari di eventi sismici come i fenomeni franosi (Gizzi et al., 2014; Gizzi et al., 2016b). In questo ambito si colloca la Basilicata che è stata soggetta a terremoti che hanno avuto origine sia in aree interne alla regione o al confi ne con la Campania (ad esempio la sequenza sismica dei mesi di luglio-agosto 1561, terremoto del 14 agosto 1851 e del 16 dicembre 1857) sia in aree a essa esterne, ubicate prevalentemente in Irpinia (ad esempio i terremoti dell'8 settembre 1694 e del 23 novembre 1980). Il quadro sismico della Basilicata è, tuttavia, più complesso sia per quanto riguarda l'articolazione delle aree di origine degli eventi sismici (Fig. 1), sia per quanto attiene gli impatti degli effetti diretti (a breve termine) o indiretti (a lungo termine) che si sono verifi cati nel tessuto antropico-insediativo nel corso dei secoli. Partendo da questa premessa, il contributo analizza brevemente la sismicità che ha interessato la Basilicata nel corso degli ultimi mille anni. A tal fi ne sono stati estratti dal CPTI15 i terremoti di cui in Tabella 1. Tale elenco, che include circa 60 eventi, è stato costruito selezionando i terremoti, o in taluni casi le loro sequenze, per i quali in almeno una località della Regione sono stati osservati effetti riconducibili a un'intensità macrosismica uguale o superiore al grado 6 MCS. Nel prosieguo dell'articolo saranno discussi più in dettaglio, ma senza alcuna pretesa di esaustività, i terremoti che hanno causato le maggiori conseguenze nel territorio lucano.
2018
Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale - ISPC
terremoto (earthquake)
Appennino meridionale (Southern Apennines)
distribuzione del danno (damage pattern)
ricostruzione (rebuilding)
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14243/377733
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