Nel contributo l'autore presenta i risultati delle sue ricerche intorno alla storia della montagna, soprattutto di natura lessicale e archivistica, condotte negli anni Duemila. Si inizia con le anguane, esseri magico-religiosi, metà zoo- e metà antropomorfi, di sesso femminile, che compaiono in numerosi racconti e leggende delle Alpi centro-orientali, specie delle Dolomiti. Residuo di antiche credenze pagane, le anguane sono legate alle acque, alle grotte, alle rocce e ai boschi, come conferma una ricca microtoponomastica. Le prime testimonianze certe sul loro conto risalgono al basso Medioevo: le anguane vengono presentate come una sorta di sirene o maghe, alle quali sono accostate in diversi scritti poetici, per lo più composti in ambito colto nell'area veneta o in ambienti delle corti dell'Italia settentrionale. Curiosamente, espressioni simili a quelle utilizzate da compositori e rimatori di un lontano passato riecheggiano anche in un tempo vicino al nostro, come nel primo romanzo di Anna Maria Ortese, "L'Iguana". Un altro vocabolo di origine montana che ha avuto vasta fortuna è l'aggettivo e sostantivo "camaldolese", che deriva dal toponimo Camaldoli, la località sulle montagne in provincia di Arezzo dove san Romualdo fondò un movimento eremitico-monastico al principio dell'XI secolo. Ricercando un grado sempre più alto di perfezione nella vita spirituale, egli trovò nella montagna e nella foresta il corrispettivo occidentale dell'esperienza ascetica del deserto, caratteristica dell'Oriente. I camaldolesi lasciarono un'impronta davvero unica sul paesaggio montano, in particolare attraverso la cura e le attività connesse alla conservazione e alla corretta gestione della foresta, che circonda ancora oggi i complessi dell'eremo e del monastero fondati da san Romualdo. Nel contributo si mette poi in evidenza lo stretto rapporto che lega i "Promessi Sposi" alle montagne, finora mai messo adeguatamente in evidenza negli studi. Seguendo le illustrazioni che accompagnano l'edizione definitiva del 1840-1842, la sceneggiatura visiva che correda il testo predisposta dallo stesso Alessandro Manzoni, e indagando alcune spie lessicali presenti nel romanzo, si evince che. Renzo e Lucia sono in primo luogo due "montanari"; sono sì due popolani e due contadini, ma che vivono tra i monti. La scelta di due montanari come protagonisti di un romanzo storico è sicuramente l'invenzione di un grande scrittore, di un genio, ma non sarebbe stata possibile senza l'"humus", il sostrato della cultura illuministica e romantica, di respiro europeo, di cui Manzoni era portatore. Nello stesso tempo, quella scelta rappresenta la conclusione di un lungo percorso culturale, che determinò un rovesciamento radicale nella percezione della montagna: da mondo del selvaggio e del demoniaco, da "locus horridus" da evitare (secondo lo stereotipo che i Greci e i Romani avevano definito e trasmesso a tutto l'Occidente), a luogo di ispirazione e di elezione, punto di incontro tra Cielo e Terra, luogo dell'anima per eccellenza, secondo la visione moderna maturata negli ultimi duecento anni. In tale rovesciamento giocò un ruolo decisivo il Cristianesimo, religione del Libro, ma anche della Montagna, in quanto le "terre alte" costituiscono lo scenario principale di alcuni degli episodi chiave della storia della salvezza. Geniale interprete della fede cristiana e della cultura del suo tempo, Manzoni segnò una tappa importante in questo secolare processo culturale di rivalutazione delle montagne, che convenzionalmente si fa iniziare con Francesco Petrarca. La toponomastica, lo studio dei nomi di luogo, "ci mostra che le parole hanno una perennità che vince la morte. I toponimi sono veri e propri fossili della geografia umana" (Gian Luigi Beccaria). Negli studi e nelle ricerche sulla montagna la toponomastica riveste un ruolo di primo piano: nel contributo si mette in evidenza come la sua applicazione determina conseguenze e risvolti di natura pratica (nel campo giuridico, economico, sociale, ecc.). Purtroppo, sul piano della gestione, ai nomi dei luoghi non viene mai attribuita sufficiente importanza, mentre sul piano della progettazione la presenza e il significato dei toponimi vengono sistematicamente ignorati, come insegna il tragico evento della frana del Monte Toc nel Vajont: nomi che riflettono i timori delle popolazioni del passato riguardo alla natura franosa di quel territorio.
Dalle anguane ai Camaldolesi, dai Promessi Sposi alla toponomastica: ricerche lessicali e archivistiche intorno alla storia della montagna
2014
Abstract
Nel contributo l'autore presenta i risultati delle sue ricerche intorno alla storia della montagna, soprattutto di natura lessicale e archivistica, condotte negli anni Duemila. Si inizia con le anguane, esseri magico-religiosi, metà zoo- e metà antropomorfi, di sesso femminile, che compaiono in numerosi racconti e leggende delle Alpi centro-orientali, specie delle Dolomiti. Residuo di antiche credenze pagane, le anguane sono legate alle acque, alle grotte, alle rocce e ai boschi, come conferma una ricca microtoponomastica. Le prime testimonianze certe sul loro conto risalgono al basso Medioevo: le anguane vengono presentate come una sorta di sirene o maghe, alle quali sono accostate in diversi scritti poetici, per lo più composti in ambito colto nell'area veneta o in ambienti delle corti dell'Italia settentrionale. Curiosamente, espressioni simili a quelle utilizzate da compositori e rimatori di un lontano passato riecheggiano anche in un tempo vicino al nostro, come nel primo romanzo di Anna Maria Ortese, "L'Iguana". Un altro vocabolo di origine montana che ha avuto vasta fortuna è l'aggettivo e sostantivo "camaldolese", che deriva dal toponimo Camaldoli, la località sulle montagne in provincia di Arezzo dove san Romualdo fondò un movimento eremitico-monastico al principio dell'XI secolo. Ricercando un grado sempre più alto di perfezione nella vita spirituale, egli trovò nella montagna e nella foresta il corrispettivo occidentale dell'esperienza ascetica del deserto, caratteristica dell'Oriente. I camaldolesi lasciarono un'impronta davvero unica sul paesaggio montano, in particolare attraverso la cura e le attività connesse alla conservazione e alla corretta gestione della foresta, che circonda ancora oggi i complessi dell'eremo e del monastero fondati da san Romualdo. Nel contributo si mette poi in evidenza lo stretto rapporto che lega i "Promessi Sposi" alle montagne, finora mai messo adeguatamente in evidenza negli studi. Seguendo le illustrazioni che accompagnano l'edizione definitiva del 1840-1842, la sceneggiatura visiva che correda il testo predisposta dallo stesso Alessandro Manzoni, e indagando alcune spie lessicali presenti nel romanzo, si evince che. Renzo e Lucia sono in primo luogo due "montanari"; sono sì due popolani e due contadini, ma che vivono tra i monti. La scelta di due montanari come protagonisti di un romanzo storico è sicuramente l'invenzione di un grande scrittore, di un genio, ma non sarebbe stata possibile senza l'"humus", il sostrato della cultura illuministica e romantica, di respiro europeo, di cui Manzoni era portatore. Nello stesso tempo, quella scelta rappresenta la conclusione di un lungo percorso culturale, che determinò un rovesciamento radicale nella percezione della montagna: da mondo del selvaggio e del demoniaco, da "locus horridus" da evitare (secondo lo stereotipo che i Greci e i Romani avevano definito e trasmesso a tutto l'Occidente), a luogo di ispirazione e di elezione, punto di incontro tra Cielo e Terra, luogo dell'anima per eccellenza, secondo la visione moderna maturata negli ultimi duecento anni. In tale rovesciamento giocò un ruolo decisivo il Cristianesimo, religione del Libro, ma anche della Montagna, in quanto le "terre alte" costituiscono lo scenario principale di alcuni degli episodi chiave della storia della salvezza. Geniale interprete della fede cristiana e della cultura del suo tempo, Manzoni segnò una tappa importante in questo secolare processo culturale di rivalutazione delle montagne, che convenzionalmente si fa iniziare con Francesco Petrarca. La toponomastica, lo studio dei nomi di luogo, "ci mostra che le parole hanno una perennità che vince la morte. I toponimi sono veri e propri fossili della geografia umana" (Gian Luigi Beccaria). Negli studi e nelle ricerche sulla montagna la toponomastica riveste un ruolo di primo piano: nel contributo si mette in evidenza come la sua applicazione determina conseguenze e risvolti di natura pratica (nel campo giuridico, economico, sociale, ecc.). Purtroppo, sul piano della gestione, ai nomi dei luoghi non viene mai attribuita sufficiente importanza, mentre sul piano della progettazione la presenza e il significato dei toponimi vengono sistematicamente ignorati, come insegna il tragico evento della frana del Monte Toc nel Vajont: nomi che riflettono i timori delle popolazioni del passato riguardo alla natura franosa di quel territorio.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


