Il crescente interesse verso le filiere bioenergetiche e di produzione di biomateriali in concomitanza con la ricerca di strategie che non entrino in competizione con la produzione di colture alimentari ha aperto la strada all'individuazione di suoli marginali definiti dall'OCSE come suoli con ''basso potenziale agricolo e non idonei per propositi residenziali" per la produzione di colture cosiddette no-food. D'altra parte i suoli marginali, così come i suoli appartenenti a siti industriali dismessi, sono spesso contaminati da sostanze tossiche derivanti dallo smaltimento illegale di rifiuti o dalla cattiva gestione delle preesistenti attività industriali. La fitoestrazione può essere una delle tecniche di risanamento e recupero di questi suoli. Questo tipo di procedura, che sfrutta la naturale capacità delle piante iperaccumulatrici di estrarre dal suolo contaminanti organici e inorganici e di accumularli in specifici tessuti/organismi vegetali, presenta il vantaggio di non alterare significativamente il paesaggio agricolo, avere costi di processo limitati e di stabilizzare i suoli, evitando il diffondere degli inquinanti dovuta all'azione del dilavamento e dell'erosione, nei suoli circostanti. Di solito, il processo dura più di una stagione di crescita delle piante anche in relazione alle specie utilizzate. Tuttavia, le successive fasi di raccolta, stoccaggio e trasporto su strada costituiscono un notevole aggravio economico per l'intera filiera. Inoltre, durante lo stoccaggio può verificarsi una dispersione dei contaminanti accumulati nelle piante a causa di fenomeni di estrazione da parte di agenti atmosferici, con possibili rischi per la salute umana. Pertanto, per implementare correttamente la fitodepurazione è necessario prevedere un piano di smaltimento sicuro del materiale prodotto dopo la raccolta. Inoltre, la fattibilità economica del processo di fitodepurazione potrebbe ancor più trarre vantaggio dalla valorizzazione dei residui vegetali prodotti qualora essi posseggano caratteristiche tali da consentirne l'inserimento in filiere bioenergetiche o di produzione di biomateriali. In tal senso, la scelta delle biomasse utilizzate per la fitodepurazione, generalmente selezionate solo sulla base di criteri puramente agronomici e della loro attitudine ad estrarre metalli pesanti, va effettuata prendendo in considerazione anche la possibilità di un impiego dei residui finali in luogo di un loro smaltimento in discariche speciali. La pirolisi si configura come possibile strategia di smaltimento che combina la riduzione del volume di materia contaminata con l'incremento della sua recalcitranza a rilasciare i contaminanti nell'ambiente. L'obiettivo è quello di concentrare i contaminanti nel prodotto solido in forma stabile, limitando in tal modo il rilascio di tali specie nei prodotti gassosi e liquidi del processo per i quali è possibile prevedere un uso come combustibile e/o fonte di chemicals. Il confinamento dei contaminanti in fase solida ha il vantaggio di concentrarli riducendo notevolmente i costi di smaltimento. D'altro canto, a seconda delle caratteristiche fisico-chimiche e della mobilità dei contaminanti trattenuti, l'impiego del prodotto solido in altri settori di applicazione potrebbe rappresentare un'opzione vantaggiosa. E' estremamente importante monitorare il comportamento dei contaminanti durante il processo di pirolisi e l'influenza delle condizioni termiche su di esso. La scelta delle condizioni termiche ottimali rappresenta una questione alquanto complessa in quanto deve tener conto dell'effetto della temperatura su diversi aspetti qualitativi e quantitativi dei prodotti del processo: la variabilità delle rese, le caratteristiche fisico-chimiche del residuo solido, la distribuzione dei contaminanti nei prodotti e la mobilità dei contaminanti concentrati nel residuo solido. Il problema diventa ancora più complesso se si tiene conto che la tipologia di biomassa o di organo vegetale può avere un'influenza significativa sui prodotti del processo. In questo lavoro si presentano i risultati di uno studio condotto nell'ambito del progetto LIFE11/ENV/IT/275-Ecoremed volto a valutare l'effetto della temperatura e del diverso tipo di biomassa sulle rese e le caratteristiche fisico-chimiche dei prodotti solidi ottenuti dalla lenta pirolisi di biomasse legnose ed erbacee selezionate in base a criteri agronomici e alla capacità di assorbimento di metalli potenzialmente tossici. Una particolare attenzione è stata dedicata al monitoraggio della distribuzione nei prodotti oltre che alla mobilità, una volta confinati nel residuo solido del processo, di quattro metalli potenzialmente tossici, Pb, Cd, Cu e Zn. All'aumentare della temperatura di pirolisi aumenta la devolatilizzazione di tutti i metalli pesanti presenti nelle biomasse testate. In particolare il loro recupero in fase solida resta costantemente unitario all'aumentare della temperatura fino a che essa non raggiunge un valore critico variabile a seconda del metallo considerato al di sopra del quale il recupero del metallo in fase solida decresce con la temperatura critica. La devolatilizzazione del Cd comincia intorno ai 380 °C e può considerarsi quasi completa per una temperatura pari a circa 480 °C. Un comportamento differente è stato osservato per Zn, Cu e Pb, la cui devolatilizzazione comincia ad una temperatura anch'essa pari a 380 °C, ma è molto più lenta. Infatti, a 600 °C circa l'85% dei metalli è ancora immobilizzato nella fase solida. In tutte le condizioni di pirolisi testate la mobilità dei 3 metalli pesanti nel residuo solido sottoposto ad estrazione con diverse soluzioni estraenti è risultata essere notevolmente ridotta rispetto a quella degli stessi metalli nella biomassa non pirolizzata. In definitiva i risultati ottenuti mostrano che qualora si voglia adottare un processo di pirolisi lenta in vapore al fine di valorizzare la biomassa contaminata con metalli pesanti è importante individuare l'eventuale presenza di metalli particolarmente volatili come il Cd. In tal caso è necessario operare in condizioni di bassa temperatura (minore di 380 °C) per evitare il rilascio di volatili nella fase vapore combustibile. Tuttavia, in tali condizioni le caratteristiche del char non consentono di utilizzarlo con efficacia nei processi che coinvolgono fenomeni di interfaccia solido-fluido (es. adsorbimeto, catalisi, sintesi di materiali compositi). Il trattamento pirolitico rappresenta in questi casi solo un processo di smaltimento in sicurezza della biomassa che combina la riduzione del volume del solido contaminato con un aumento della sua recalcitranza e una riduzione della mobilità del metallo pesante che rimane confinato nel char in forma più stabile. Nel caso in cui le biomasse risultino contaminate solo con uno o più metalli fra Pb, Cu e Zn è possibile condurre un trattamento pirolitico a temperatura maggiore ottenendo in tal modo un residuo solido di interesse in tutte le applicazioni che richiedono un'elevata superficie specifica e una fase vapore con ridotte concentrazioni di metalli pesanti che può essere utilizzata come combustibile.

Il Processo di Pirolisi Lenta per la Valorizzazione delle Biomasse Prodotte dagli Impianti di Fito-estrazione

P Giudicianni;R Ragucci
2019

Abstract

Il crescente interesse verso le filiere bioenergetiche e di produzione di biomateriali in concomitanza con la ricerca di strategie che non entrino in competizione con la produzione di colture alimentari ha aperto la strada all'individuazione di suoli marginali definiti dall'OCSE come suoli con ''basso potenziale agricolo e non idonei per propositi residenziali" per la produzione di colture cosiddette no-food. D'altra parte i suoli marginali, così come i suoli appartenenti a siti industriali dismessi, sono spesso contaminati da sostanze tossiche derivanti dallo smaltimento illegale di rifiuti o dalla cattiva gestione delle preesistenti attività industriali. La fitoestrazione può essere una delle tecniche di risanamento e recupero di questi suoli. Questo tipo di procedura, che sfrutta la naturale capacità delle piante iperaccumulatrici di estrarre dal suolo contaminanti organici e inorganici e di accumularli in specifici tessuti/organismi vegetali, presenta il vantaggio di non alterare significativamente il paesaggio agricolo, avere costi di processo limitati e di stabilizzare i suoli, evitando il diffondere degli inquinanti dovuta all'azione del dilavamento e dell'erosione, nei suoli circostanti. Di solito, il processo dura più di una stagione di crescita delle piante anche in relazione alle specie utilizzate. Tuttavia, le successive fasi di raccolta, stoccaggio e trasporto su strada costituiscono un notevole aggravio economico per l'intera filiera. Inoltre, durante lo stoccaggio può verificarsi una dispersione dei contaminanti accumulati nelle piante a causa di fenomeni di estrazione da parte di agenti atmosferici, con possibili rischi per la salute umana. Pertanto, per implementare correttamente la fitodepurazione è necessario prevedere un piano di smaltimento sicuro del materiale prodotto dopo la raccolta. Inoltre, la fattibilità economica del processo di fitodepurazione potrebbe ancor più trarre vantaggio dalla valorizzazione dei residui vegetali prodotti qualora essi posseggano caratteristiche tali da consentirne l'inserimento in filiere bioenergetiche o di produzione di biomateriali. In tal senso, la scelta delle biomasse utilizzate per la fitodepurazione, generalmente selezionate solo sulla base di criteri puramente agronomici e della loro attitudine ad estrarre metalli pesanti, va effettuata prendendo in considerazione anche la possibilità di un impiego dei residui finali in luogo di un loro smaltimento in discariche speciali. La pirolisi si configura come possibile strategia di smaltimento che combina la riduzione del volume di materia contaminata con l'incremento della sua recalcitranza a rilasciare i contaminanti nell'ambiente. L'obiettivo è quello di concentrare i contaminanti nel prodotto solido in forma stabile, limitando in tal modo il rilascio di tali specie nei prodotti gassosi e liquidi del processo per i quali è possibile prevedere un uso come combustibile e/o fonte di chemicals. Il confinamento dei contaminanti in fase solida ha il vantaggio di concentrarli riducendo notevolmente i costi di smaltimento. D'altro canto, a seconda delle caratteristiche fisico-chimiche e della mobilità dei contaminanti trattenuti, l'impiego del prodotto solido in altri settori di applicazione potrebbe rappresentare un'opzione vantaggiosa. E' estremamente importante monitorare il comportamento dei contaminanti durante il processo di pirolisi e l'influenza delle condizioni termiche su di esso. La scelta delle condizioni termiche ottimali rappresenta una questione alquanto complessa in quanto deve tener conto dell'effetto della temperatura su diversi aspetti qualitativi e quantitativi dei prodotti del processo: la variabilità delle rese, le caratteristiche fisico-chimiche del residuo solido, la distribuzione dei contaminanti nei prodotti e la mobilità dei contaminanti concentrati nel residuo solido. Il problema diventa ancora più complesso se si tiene conto che la tipologia di biomassa o di organo vegetale può avere un'influenza significativa sui prodotti del processo. In questo lavoro si presentano i risultati di uno studio condotto nell'ambito del progetto LIFE11/ENV/IT/275-Ecoremed volto a valutare l'effetto della temperatura e del diverso tipo di biomassa sulle rese e le caratteristiche fisico-chimiche dei prodotti solidi ottenuti dalla lenta pirolisi di biomasse legnose ed erbacee selezionate in base a criteri agronomici e alla capacità di assorbimento di metalli potenzialmente tossici. Una particolare attenzione è stata dedicata al monitoraggio della distribuzione nei prodotti oltre che alla mobilità, una volta confinati nel residuo solido del processo, di quattro metalli potenzialmente tossici, Pb, Cd, Cu e Zn. All'aumentare della temperatura di pirolisi aumenta la devolatilizzazione di tutti i metalli pesanti presenti nelle biomasse testate. In particolare il loro recupero in fase solida resta costantemente unitario all'aumentare della temperatura fino a che essa non raggiunge un valore critico variabile a seconda del metallo considerato al di sopra del quale il recupero del metallo in fase solida decresce con la temperatura critica. La devolatilizzazione del Cd comincia intorno ai 380 °C e può considerarsi quasi completa per una temperatura pari a circa 480 °C. Un comportamento differente è stato osservato per Zn, Cu e Pb, la cui devolatilizzazione comincia ad una temperatura anch'essa pari a 380 °C, ma è molto più lenta. Infatti, a 600 °C circa l'85% dei metalli è ancora immobilizzato nella fase solida. In tutte le condizioni di pirolisi testate la mobilità dei 3 metalli pesanti nel residuo solido sottoposto ad estrazione con diverse soluzioni estraenti è risultata essere notevolmente ridotta rispetto a quella degli stessi metalli nella biomassa non pirolizzata. In definitiva i risultati ottenuti mostrano che qualora si voglia adottare un processo di pirolisi lenta in vapore al fine di valorizzare la biomassa contaminata con metalli pesanti è importante individuare l'eventuale presenza di metalli particolarmente volatili come il Cd. In tal caso è necessario operare in condizioni di bassa temperatura (minore di 380 °C) per evitare il rilascio di volatili nella fase vapore combustibile. Tuttavia, in tali condizioni le caratteristiche del char non consentono di utilizzarlo con efficacia nei processi che coinvolgono fenomeni di interfaccia solido-fluido (es. adsorbimeto, catalisi, sintesi di materiali compositi). Il trattamento pirolitico rappresenta in questi casi solo un processo di smaltimento in sicurezza della biomassa che combina la riduzione del volume del solido contaminato con un aumento della sua recalcitranza e una riduzione della mobilità del metallo pesante che rimane confinato nel char in forma più stabile. Nel caso in cui le biomasse risultino contaminate solo con uno o più metalli fra Pb, Cu e Zn è possibile condurre un trattamento pirolitico a temperatura maggiore ottenendo in tal modo un residuo solido di interesse in tutte le applicazioni che richiedono un'elevata superficie specifica e una fase vapore con ridotte concentrazioni di metalli pesanti che può essere utilizzata come combustibile.
2019
Istituto di Ricerche sulla Combustione - IRC - Sede Napoli
metalli pesanti
fitorimedio
pirolisi
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