Il Bhutan occupa il 160° posto nella classifica mondiale del Pil (Prodotto interno lordo) che dagli anni '70 misura la ricchezza economica e le condizioni di vita che si presume permettano di essere più felici. Mentre il resto del mondo fa di tutto per aumentare il Pil, magari mediante la distruzione e l'eccessivo consumo delle risorse naturali, ecco un'idea di sviluppo diversa, un'economia fondata sui bisogni e non sull'avidità, su una crescita sostenibile che possa essere ereditata dalle generazioni future. I criteri presi in considerazione sono principalmente la qualità dell'aria, la salute dei cittadini, l'istruzione, la ricchezza dei rapporti sociali. Con attenzione particolare alla tutela dell'ambiente, delle culture locali e alla buona amministrazione. L'80% del territorio del piccolo e poverissimo Paese asiatico è verde e il 72% è coperto da foreste. Una vera "ricchezza" da non dilapidare. Il Fil è però un indicatore difficile da calcolare, poiché cerca di misurare in modo soggettivo sentimenti quali gioia, invidia, paura, sicurezza, che per definizione non sono quantificabili. Per stabilire il Fil l'amministrazione bhutanese conduce ogni cinque anni sondaggi con lunghi questionari che vengono distribuiti a un campione rappresentativo della società: pochissime domande sono dedicate allo stipendio o al denaro. Sviluppo, ricchezza, economia diventano quindi concetti fluidi, senza confini precisi. Uno dei nove domini del Fil è lo "stile di vita" e mira a un "Pil sostenibile": crescere in modo sensato e non essere solo dei consumatori voraci, condividere e usare con parsimonia le auto alimentate a combustibili fossili, privilegiare il trasporto pubblico, non utilizzare gli impianti di condizionamento se non strettamente necessario, utilizzare la luce elettrica al minimo indispensabile, non comprare quantità eccessive di beni di consumo, rifiutare il cibo spazzatura. Benché questa politica della felicità sembri essere appoggiata all'unanimità in Bhutan, il modello ha alcuni effetti collaterali. Se da un lato l'istruzione gratuita per tutti ha permesso un aumento del numero dei diplomati, dall'altro comporta una conseguenza non sottovalutabile: i giovani vanno a scuola, a volte trascorrono dei periodi all'estero e quando ritornano non vogliono più lavorare nei campi dei loro genitori. Si aspettano qualcosa di meglio. Ed ecco allora di nuovo spuntare la convinzione che la felicità si conquisti (anche) con i soldi.
Economia, in Bhutan si misura con il Fil
Coviello Antonio
2020
Abstract
Il Bhutan occupa il 160° posto nella classifica mondiale del Pil (Prodotto interno lordo) che dagli anni '70 misura la ricchezza economica e le condizioni di vita che si presume permettano di essere più felici. Mentre il resto del mondo fa di tutto per aumentare il Pil, magari mediante la distruzione e l'eccessivo consumo delle risorse naturali, ecco un'idea di sviluppo diversa, un'economia fondata sui bisogni e non sull'avidità, su una crescita sostenibile che possa essere ereditata dalle generazioni future. I criteri presi in considerazione sono principalmente la qualità dell'aria, la salute dei cittadini, l'istruzione, la ricchezza dei rapporti sociali. Con attenzione particolare alla tutela dell'ambiente, delle culture locali e alla buona amministrazione. L'80% del territorio del piccolo e poverissimo Paese asiatico è verde e il 72% è coperto da foreste. Una vera "ricchezza" da non dilapidare. Il Fil è però un indicatore difficile da calcolare, poiché cerca di misurare in modo soggettivo sentimenti quali gioia, invidia, paura, sicurezza, che per definizione non sono quantificabili. Per stabilire il Fil l'amministrazione bhutanese conduce ogni cinque anni sondaggi con lunghi questionari che vengono distribuiti a un campione rappresentativo della società: pochissime domande sono dedicate allo stipendio o al denaro. Sviluppo, ricchezza, economia diventano quindi concetti fluidi, senza confini precisi. Uno dei nove domini del Fil è lo "stile di vita" e mira a un "Pil sostenibile": crescere in modo sensato e non essere solo dei consumatori voraci, condividere e usare con parsimonia le auto alimentate a combustibili fossili, privilegiare il trasporto pubblico, non utilizzare gli impianti di condizionamento se non strettamente necessario, utilizzare la luce elettrica al minimo indispensabile, non comprare quantità eccessive di beni di consumo, rifiutare il cibo spazzatura. Benché questa politica della felicità sembri essere appoggiata all'unanimità in Bhutan, il modello ha alcuni effetti collaterali. Se da un lato l'istruzione gratuita per tutti ha permesso un aumento del numero dei diplomati, dall'altro comporta una conseguenza non sottovalutabile: i giovani vanno a scuola, a volte trascorrono dei periodi all'estero e quando ritornano non vogliono più lavorare nei campi dei loro genitori. Si aspettano qualcosa di meglio. Ed ecco allora di nuovo spuntare la convinzione che la felicità si conquisti (anche) con i soldi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.