Nella percezione della cronachistica coeva e della successiva storiografia, ritroviamo sulla feudalità piemontese nella Prima età moderna prospettive contrastanti: bellicosa o imbelle, élite legatissima al duca o forza eternamente centrifuga, casta di militari da anticamera o bacino di reclutamento di professionisti d'alto livello. In questo contributo restituiremo l'importanza di una nobiltà guerriera mobilitata sul fronte piemontese di un conflitto globale - quello per l'egemonia in Italia e in Europa tra il Regno di Francia e gli Austrias -, che per le terre pedemontane costituì il capitolo più cruento di una travagliata storia di autonomie locali, promosse dalle potenze concorrenti affacciate sullo scacchiere peninsulare nord occidentale: Milano, Genova, l'Impero e il Regno di Francia, che da secoli proteggevano l'indipendenza dei loro nobili alleati piemontesi dalla centralizzazione sabauda. Durante la seconda fase delle Guerre d'Italia la necessità, sentita da entrambe le potenze in lotta, di reperire in loco le risorse utili alla guerra, che non potevano essere fornite in toto dagli apparati burocratici fiscali centrali, si ritradusse in un ulteriore incremento della forza contrattuale dei signori rurali delle aree contese. Quel che è vero per la Piccardia, per le Fiandre, per l'Emilia è vero a maggior ragione per il Piemonte, un territorio strategicamente vitale tanto per gli Asburgo (in quanto antemurale dello Stato di Milano) quanto per i Valois, che invasero la regione nel 1536, quale base ideale per mettere in discussione la pax imperiale nel nord d'Italia. Un territorio in cui la nobiltà feudale possedeva la gran parte della principale fonte di produzione della ricchezza, la terra, ma soprattutto governava di fatto e di diritto ampi territori, in virtù dei privilegi di giurisdizione e dei rapporti personali con vasti circuiti clientelari. Tra il 1536 e il 1559, nella lotta tra potenze che marginalizzò ulteriormente il potere ducale, ciascun casato - e al suo interno i singoli rami e individui - scelse la croce bianca (il segno della lealtà al re Cristianissimo) o la croce rossa degli imperiali e portò il proprio contributo in armi all'uno o all'altro campo, ottenendo in cambio il sostegno necessario a incrementare il proprio potere locale reale, nonché l'accesso all'internazionale degli onori, ossia ai vertici dei circuiti clientelari globali del re di Francia e dell'imperatore.
Croci rosse e croci bianche tra Asburgo e Valois. La nobiltà guerriera di Piemonte durante l'occupazione franco-imperiale del Ducato
Michele Maria Rabà
2016
Abstract
Nella percezione della cronachistica coeva e della successiva storiografia, ritroviamo sulla feudalità piemontese nella Prima età moderna prospettive contrastanti: bellicosa o imbelle, élite legatissima al duca o forza eternamente centrifuga, casta di militari da anticamera o bacino di reclutamento di professionisti d'alto livello. In questo contributo restituiremo l'importanza di una nobiltà guerriera mobilitata sul fronte piemontese di un conflitto globale - quello per l'egemonia in Italia e in Europa tra il Regno di Francia e gli Austrias -, che per le terre pedemontane costituì il capitolo più cruento di una travagliata storia di autonomie locali, promosse dalle potenze concorrenti affacciate sullo scacchiere peninsulare nord occidentale: Milano, Genova, l'Impero e il Regno di Francia, che da secoli proteggevano l'indipendenza dei loro nobili alleati piemontesi dalla centralizzazione sabauda. Durante la seconda fase delle Guerre d'Italia la necessità, sentita da entrambe le potenze in lotta, di reperire in loco le risorse utili alla guerra, che non potevano essere fornite in toto dagli apparati burocratici fiscali centrali, si ritradusse in un ulteriore incremento della forza contrattuale dei signori rurali delle aree contese. Quel che è vero per la Piccardia, per le Fiandre, per l'Emilia è vero a maggior ragione per il Piemonte, un territorio strategicamente vitale tanto per gli Asburgo (in quanto antemurale dello Stato di Milano) quanto per i Valois, che invasero la regione nel 1536, quale base ideale per mettere in discussione la pax imperiale nel nord d'Italia. Un territorio in cui la nobiltà feudale possedeva la gran parte della principale fonte di produzione della ricchezza, la terra, ma soprattutto governava di fatto e di diritto ampi territori, in virtù dei privilegi di giurisdizione e dei rapporti personali con vasti circuiti clientelari. Tra il 1536 e il 1559, nella lotta tra potenze che marginalizzò ulteriormente il potere ducale, ciascun casato - e al suo interno i singoli rami e individui - scelse la croce bianca (il segno della lealtà al re Cristianissimo) o la croce rossa degli imperiali e portò il proprio contributo in armi all'uno o all'altro campo, ottenendo in cambio il sostegno necessario a incrementare il proprio potere locale reale, nonché l'accesso all'internazionale degli onori, ossia ai vertici dei circuiti clientelari globali del re di Francia e dell'imperatore.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


