Se si osservano in ottica sistemica gli effetti dei danni dei grandi eventi calamitosi che periodicamente colpiscono e distruggono i nostri territori, è facile intuire come l'orientamento preponderante dei nostri governi nell'ambito della gestione dei rischi non ruoti tanto attorno alla costruzione di un quadro di politiche e azioni strategiche di prevenzione per la riduzione dei rischi stessi, quanto a favore di un'azione pubblica emergenziale orientata all'indennizzo e al risanamento fisico dei singoli beni materiali per lo più privati. Questa modalità di intervento, che potrebbe essere definita di riparazione territoriale ha però dei costi altissimi: non solo in termini di mezzi finanziari ma anche in termini di equità territoriale. La grande disomogeneità di decisioni ed operazioni che si susseguono portano spesso a processi di ripresa e ricostruzione lunghi e faticosi, i quali invece che rafforzare i territori colpiti ne amplificano di fatto vulnerabilità e disuguaglianze. Da un certo punto di vista, seppur con evidenti limiti e criticità, l'Analisi della Condizione Limite per l'Emergenza (CLE), introdotta dal "Piano Nazionale per la prevenzione del rischio sismico", ha costituito un primo elemento essenziale per la definizione di sistemi urbani minimi da mettere in sicurezza superando quindi la logica unicamente edilizia e provando ad avvicinare la disciplina di protezione civile a quella della pianificazione territoriale. Dopo 11 anni dall'introduzione della CLE è arrivato però il momento di provare ad andare oltre, e riflettere su quale possa essere un successivo strumento che in dialogo e in analogia con la CLE permetta di individuare gli elementi necessari per suggerire l'avvio della ripresa post-sisma. Occorrono però alcune doverose premesse. Se si parla di ripresa post-sisma è evidente che questa non dipenda solamente da interventi di prevenzione ma sia il frutto di un intricato sistema di decisioni e azioni determinate da una serie di procedure emanate caso per caso in un arco temporale molto lungo. In generale molto dipende inoltre sia dal modo di impostare la ricostruzione fisica, sia dalle "condizioni iniziali" di un determinato sistema e dalle sue caratteristiche endogene. Ma agire sulla ripresa dal punto di vista delle strategie e degli strumenti di prevenzione potrebbe aiutare a ridurre la complessità di tali processi e a mitigare gli effetti catastrofici che si presentano ricorrentemente in assenza di tali azioni. Un primo tentativo potrebbe partire dall'osservazione di alcune delle condizioni iniziali del sistema urbano o territoriale per individuare quegli elementi fisici e funzionali da mettere in sicurezza in tempo di pace. Tuttavia, se per la fase di gestione dell'emergenza l'individuazione degli elementi è riconducibile a quelli che esercitano le tre funzioni strategiche ormai consolidate nell'ambito della pianificazione di protezione civile, per quanto riguarda l'avvio della ripresa lo spettro di indagine è ben più ampio, complesso e poco indagato. Pertanto per avviare il lavoro, si rende necessario sviluppare un percorso sperimentale di ricerca basato su criteri di semplificazione precisi, che permettano di decostruire il sistema insediativo per ricostruirlo attraverso piccoli passaggi. Un primo criterio potrebbe consistere nel limitare il campo a quegli elementi direttamente controllabili dall'azione pubblica. E all'interno di questa delimitazione individuare le categorie di funzioni la cui assenza o il malfunzionamento costituisca un ostacolo alla permanenza di una comunità in un luogo sia in tempo di pace che in seguito ad uno shock. Immaginiamo quindi di considerare come fondamentali alcuni servizi pubblici che rappresentano la dotazione minima essenziale per garantire non solo la sopravvivenza di un insediamento, ma anche la riduzione di fenomeni tipici del post-sisma come spopolamento e delocalizzazione. Nel contributo viene sviluppata un'ipotesi che considera le scuole come primo elemento necessario da considerare in ottica preventiva e di cui garantire il funzionamento post-sisma per favorire l'avvio della ripresa. Ma cosa significa garantirne il funzionamento? Gli esiti di questo obiettivo possono variare in funzione 1) dell'assenza di strategie specifiche, 2) di strumenti e azioni puntuali, di solito interventi alla scala edilizia, che si mettono in campo ex-ante (individuazione degli elementi da mettere in sicurezza), 3) delle strategie a monte (ad esempio scelta di delocalizzazione o di sostituzione temporanea vs mantenimento degli elementi esistenti e delle loro relazioni). Per comprendere meglio gli effetti delle possibili scelte e strategie, si compierà un esperimento controfattuale, prendendo come caso studio il comune di Amatrice prima e dopo il sisma del Centro Italia del 2016. Come sarebbe cambiato il comportamento del sistema urbano se fossero stati messi in sicurezza gli elementi del sistema di gestione dell'emergenza e le scuole?
Oltre la Condizione Limite per l'Emergenza: verso la costruzione di uno strumento di prevenzione per l'avvio della ripresa post-sisma
C Fontana;MS Benigni;V Tomassoni
2023
Abstract
Se si osservano in ottica sistemica gli effetti dei danni dei grandi eventi calamitosi che periodicamente colpiscono e distruggono i nostri territori, è facile intuire come l'orientamento preponderante dei nostri governi nell'ambito della gestione dei rischi non ruoti tanto attorno alla costruzione di un quadro di politiche e azioni strategiche di prevenzione per la riduzione dei rischi stessi, quanto a favore di un'azione pubblica emergenziale orientata all'indennizzo e al risanamento fisico dei singoli beni materiali per lo più privati. Questa modalità di intervento, che potrebbe essere definita di riparazione territoriale ha però dei costi altissimi: non solo in termini di mezzi finanziari ma anche in termini di equità territoriale. La grande disomogeneità di decisioni ed operazioni che si susseguono portano spesso a processi di ripresa e ricostruzione lunghi e faticosi, i quali invece che rafforzare i territori colpiti ne amplificano di fatto vulnerabilità e disuguaglianze. Da un certo punto di vista, seppur con evidenti limiti e criticità, l'Analisi della Condizione Limite per l'Emergenza (CLE), introdotta dal "Piano Nazionale per la prevenzione del rischio sismico", ha costituito un primo elemento essenziale per la definizione di sistemi urbani minimi da mettere in sicurezza superando quindi la logica unicamente edilizia e provando ad avvicinare la disciplina di protezione civile a quella della pianificazione territoriale. Dopo 11 anni dall'introduzione della CLE è arrivato però il momento di provare ad andare oltre, e riflettere su quale possa essere un successivo strumento che in dialogo e in analogia con la CLE permetta di individuare gli elementi necessari per suggerire l'avvio della ripresa post-sisma. Occorrono però alcune doverose premesse. Se si parla di ripresa post-sisma è evidente che questa non dipenda solamente da interventi di prevenzione ma sia il frutto di un intricato sistema di decisioni e azioni determinate da una serie di procedure emanate caso per caso in un arco temporale molto lungo. In generale molto dipende inoltre sia dal modo di impostare la ricostruzione fisica, sia dalle "condizioni iniziali" di un determinato sistema e dalle sue caratteristiche endogene. Ma agire sulla ripresa dal punto di vista delle strategie e degli strumenti di prevenzione potrebbe aiutare a ridurre la complessità di tali processi e a mitigare gli effetti catastrofici che si presentano ricorrentemente in assenza di tali azioni. Un primo tentativo potrebbe partire dall'osservazione di alcune delle condizioni iniziali del sistema urbano o territoriale per individuare quegli elementi fisici e funzionali da mettere in sicurezza in tempo di pace. Tuttavia, se per la fase di gestione dell'emergenza l'individuazione degli elementi è riconducibile a quelli che esercitano le tre funzioni strategiche ormai consolidate nell'ambito della pianificazione di protezione civile, per quanto riguarda l'avvio della ripresa lo spettro di indagine è ben più ampio, complesso e poco indagato. Pertanto per avviare il lavoro, si rende necessario sviluppare un percorso sperimentale di ricerca basato su criteri di semplificazione precisi, che permettano di decostruire il sistema insediativo per ricostruirlo attraverso piccoli passaggi. Un primo criterio potrebbe consistere nel limitare il campo a quegli elementi direttamente controllabili dall'azione pubblica. E all'interno di questa delimitazione individuare le categorie di funzioni la cui assenza o il malfunzionamento costituisca un ostacolo alla permanenza di una comunità in un luogo sia in tempo di pace che in seguito ad uno shock. Immaginiamo quindi di considerare come fondamentali alcuni servizi pubblici che rappresentano la dotazione minima essenziale per garantire non solo la sopravvivenza di un insediamento, ma anche la riduzione di fenomeni tipici del post-sisma come spopolamento e delocalizzazione. Nel contributo viene sviluppata un'ipotesi che considera le scuole come primo elemento necessario da considerare in ottica preventiva e di cui garantire il funzionamento post-sisma per favorire l'avvio della ripresa. Ma cosa significa garantirne il funzionamento? Gli esiti di questo obiettivo possono variare in funzione 1) dell'assenza di strategie specifiche, 2) di strumenti e azioni puntuali, di solito interventi alla scala edilizia, che si mettono in campo ex-ante (individuazione degli elementi da mettere in sicurezza), 3) delle strategie a monte (ad esempio scelta di delocalizzazione o di sostituzione temporanea vs mantenimento degli elementi esistenti e delle loro relazioni). Per comprendere meglio gli effetti delle possibili scelte e strategie, si compierà un esperimento controfattuale, prendendo come caso studio il comune di Amatrice prima e dopo il sisma del Centro Italia del 2016. Come sarebbe cambiato il comportamento del sistema urbano se fossero stati messi in sicurezza gli elementi del sistema di gestione dell'emergenza e le scuole?I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.