Nell'anno della celebrazione dell'abolizione della schiavitù, la "merce-uomo costretta" in antico regime resta una tragedia quasi senza nomi e quasi senza numeri. Dei secoli dell'"ossessione turca", o della "belva cristiana", dell'impegno crociato che produce gli scambi, gli schemi di comportamento, i codici socio-culturali, non sappiamo purtuttavia chi, dove, come, quanti; e anche il perché, che pare codificare le distanze, in sede analitica sfuma e diventa quasi inconsistente. Persino la tipologia, che la storiografia ha voluto formalizzare in "atlantica" (ossia la cattività che si consuma per sempre "altrove" e si conclude con la morte) e "mediterranea" (che conduce allo scambio, o all'abiura, o al meticciato e, comunque, tende al riscatto), riconduce alle contaminazioni. Se non conosciamo infatti - e meriterebbe di essere indagato - il dato quantitativo (secondo Salvatore Bono "da una parte e dall'altra sono state fornite cifre, ma spesso ripetute da un autore all'altro sul numero di schiavi presenti e sul numero di schiavi riscattati e [...] una valutazione prudente porta ad affermare che nei secoli XVI-XIX nell'ambito mediterraneo sono stati coinvolti nella schiavitù 3-4 milioni di persone fra cristtiani, musulmani e altri"), altrettanto meritevole di una ricognizione appare un raffronto della "mobilità costretta" nella sua forma di merce-uomo sul piano delle raffigurazioni, delle codificazioni e finanche delle produzioni identitarie, che permettono di individuare il peso delle diverse componenti del vivere sociale e civile e le conseguenti espressioni sul piano politico ed economico. Un raffronto - sincronico e diacronico - della mobilità "costretta", nella sua forma di merce-uomo, permette di individuare il peso delle diverse componenti del vivere sociale e civile, e le conseguenti espressioni sul piano politico ed economico: quale - ad esempio - il comportamento degli stati di fronte alla schiavitù, sia essa subita o agita? Lo "spigolar denaro" per il riscatto produce ricerca e attivazione di figure di intermediazione che giocano un ruolo anche in altri contesti o per altre merci? Dunque, tra le domande possibili: quale il comportamento degli stati di fronte alla schiavitù, sia essa subita o agita? Lo "spigolar denaro" per il riscatto produce ricerca e attivazione di figure di intermediazione che giocano un ruolo anche in altri contesti o per altre merci? La trasmigazione dello schiavo da oggetto di lusso a reclutamento domestico modifica gli assi della legalizzazione? O, ancora: quali - per guardare sul piano analitico sia alla merce che all'uomo, e per raffrontarli nel tempo e nello spazio - i mezzi di affrancamento e le forme del riscatto? Quali - e se - le varianti che si producono per la merce-uomo? Quale agiografia, damnatio memoriae o doverosa condanna o umana comprensione ed accoglienza, sia in sede istituzionale che rituale? E' possibile delineare una cronologia delle "missioni" per il riscatto e quanto tale periodizzazione coincide o si presta alle più generali dinamiche economiche e politiche? E le strade che conducono alla preda e alla sua liberazione si differenziano (e quanto, e come) in relazione alle appartenenze sociali, geografiche, di genere? ed è possibile, in sede analitica, formalizzarne le relative gerarchizzazioni? Oltre al dato dimensionale, le variazioni etniche e religiose producono anch'esse gerarchie? Certamente, la conoscenza storica del fenomeno "schiavitù" non è ancora adeguata né alla sua vastità, né alla varietà. C'è da chiedersi - ancora con Bono - se si può scorgere nella schiavitù una realtà tipicamente mediterranea, la cui storia è caratterizzata da continui movimenti di popolazione e di individui, da traffici di merci, da scambi di elementi di cultura materiale, da influenze intellettuali, con direttrici incrociate e sovrapposte all'interno del bacino ma al tempo stesso con irradiazioni da sé e richiami verso di sé provenienti e diretti lontano dalle sue rive.
La mobilità "costretta". Schiavi, rinnegati, meticci nel Mediterraneo in età moderna. Un possibile inventario di lavoro
Montacutelli Marina
2009
Abstract
Nell'anno della celebrazione dell'abolizione della schiavitù, la "merce-uomo costretta" in antico regime resta una tragedia quasi senza nomi e quasi senza numeri. Dei secoli dell'"ossessione turca", o della "belva cristiana", dell'impegno crociato che produce gli scambi, gli schemi di comportamento, i codici socio-culturali, non sappiamo purtuttavia chi, dove, come, quanti; e anche il perché, che pare codificare le distanze, in sede analitica sfuma e diventa quasi inconsistente. Persino la tipologia, che la storiografia ha voluto formalizzare in "atlantica" (ossia la cattività che si consuma per sempre "altrove" e si conclude con la morte) e "mediterranea" (che conduce allo scambio, o all'abiura, o al meticciato e, comunque, tende al riscatto), riconduce alle contaminazioni. Se non conosciamo infatti - e meriterebbe di essere indagato - il dato quantitativo (secondo Salvatore Bono "da una parte e dall'altra sono state fornite cifre, ma spesso ripetute da un autore all'altro sul numero di schiavi presenti e sul numero di schiavi riscattati e [...] una valutazione prudente porta ad affermare che nei secoli XVI-XIX nell'ambito mediterraneo sono stati coinvolti nella schiavitù 3-4 milioni di persone fra cristtiani, musulmani e altri"), altrettanto meritevole di una ricognizione appare un raffronto della "mobilità costretta" nella sua forma di merce-uomo sul piano delle raffigurazioni, delle codificazioni e finanche delle produzioni identitarie, che permettono di individuare il peso delle diverse componenti del vivere sociale e civile e le conseguenti espressioni sul piano politico ed economico. Un raffronto - sincronico e diacronico - della mobilità "costretta", nella sua forma di merce-uomo, permette di individuare il peso delle diverse componenti del vivere sociale e civile, e le conseguenti espressioni sul piano politico ed economico: quale - ad esempio - il comportamento degli stati di fronte alla schiavitù, sia essa subita o agita? Lo "spigolar denaro" per il riscatto produce ricerca e attivazione di figure di intermediazione che giocano un ruolo anche in altri contesti o per altre merci? Dunque, tra le domande possibili: quale il comportamento degli stati di fronte alla schiavitù, sia essa subita o agita? Lo "spigolar denaro" per il riscatto produce ricerca e attivazione di figure di intermediazione che giocano un ruolo anche in altri contesti o per altre merci? La trasmigazione dello schiavo da oggetto di lusso a reclutamento domestico modifica gli assi della legalizzazione? O, ancora: quali - per guardare sul piano analitico sia alla merce che all'uomo, e per raffrontarli nel tempo e nello spazio - i mezzi di affrancamento e le forme del riscatto? Quali - e se - le varianti che si producono per la merce-uomo? Quale agiografia, damnatio memoriae o doverosa condanna o umana comprensione ed accoglienza, sia in sede istituzionale che rituale? E' possibile delineare una cronologia delle "missioni" per il riscatto e quanto tale periodizzazione coincide o si presta alle più generali dinamiche economiche e politiche? E le strade che conducono alla preda e alla sua liberazione si differenziano (e quanto, e come) in relazione alle appartenenze sociali, geografiche, di genere? ed è possibile, in sede analitica, formalizzarne le relative gerarchizzazioni? Oltre al dato dimensionale, le variazioni etniche e religiose producono anch'esse gerarchie? Certamente, la conoscenza storica del fenomeno "schiavitù" non è ancora adeguata né alla sua vastità, né alla varietà. C'è da chiedersi - ancora con Bono - se si può scorgere nella schiavitù una realtà tipicamente mediterranea, la cui storia è caratterizzata da continui movimenti di popolazione e di individui, da traffici di merci, da scambi di elementi di cultura materiale, da influenze intellettuali, con direttrici incrociate e sovrapposte all'interno del bacino ma al tempo stesso con irradiazioni da sé e richiami verso di sé provenienti e diretti lontano dalle sue rive.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.