Sebbene qualsiasi occupazione comporti dei rischi, la natura del rischio occupazionale è multiforme e frequenza e gravità degli infortuni variano notevolmente nel tempo, a seconda delle attività economiche e delle aree geografi-che. Il capitolo II.1 di questo volume ha approfondito il tema delle determinanti degli infortuni, evidenziando i due principali fattori identificati dalla letteratura: il settore di attività e la dimensione di impresa. Il presente capitolo affronta il tema dell'eterogeneità degli infortuni in Italia, iniziando da una panoramica della variabilità per settore, per passare ad approfondire la variabilità territoriale, analizzata dopo aver depurato dagli effetti di composizione settoriale delle economie dei territori. Le analisi delle differenze che si osservano in Italia, a livello settoriale e territoriale, nella frequenza infortunistica, restituite nella forma di mappe concettuali o mappe territoriali, hanno permesso di evidenziare alcune regolarità forti, ma haanche delineato nuove direzioni di approfondimento e domande di ricerca. Un primo rilievo riguarda l'estrema eterogeneità che si osserva analizzando sia la dimensione settoriale, sia quella territoriale. Considerando le due componenti del rischio occupazionale (frequenza e gravità) come due dimensioni sul piano cartesiano, i settori si distribuiscono in una nuvola di punti molto dispersi attorno a una retta di regressione con una debole inclinazione positiva. Cioè, nonostante si osservi un legame positivo fra frequenza e gravità (ovvero, i settori in cui si verificano più infortuni tendono in media ad avere anche un peso maggiore di incidenti gravi), si possono verificare situazioni molto differenziate. In particolare, è possibile identificare gruppi di settori differentemente caratterizzati (il riferimento qui è ai settori inclusi nelle aree di colore verde, giallo o arancione nella mappa concettuale in Figura 1), che devono quindi essere oggetto di politiche differenziate. Dal punto di vista dinamico, nell'arco temporale 2010-2018 viene confermata la tendenza a un generale miglioramento, trasversale a tutti i settori, dell'incidenza infortunistica; il miglioramento è leggermente più marcato per quanto riguarda la frequenza rispetto alla gravità. A livello territoriale, si osserva una notevole differenza fra le provincie. Il quadro restituito dai tre indicatori utilizzati - l'indice di frequenza, l'indice di gravità e la quota di incidenti gravi - si presenta però molto differente. L'eterogeneità è di difficile interpretazione, in quanto connessa a diversi ordini di spiegazioni possibili: la differente composizione del tessuto imprenditoriale locale, le caratteristiche socio-culturali del territorio (che potrebbero essere connesse a una maggiore o minore attenzione alla sicurezza, sia da parte del lavoratore, sia del datore di lavoro), la maggiore o minore completezza e correttezza delle segnalazioni di infortunio e relativi errori di misura, l'incidenza del lavoro nero - a sua volta fonte di errori di misura dell'entità degli infortuni, soprattutto lievi. Questi fattori agiscono in modo differente sui tre indicatori di incidenza infortunistica, portando a mappe geografiche non coerenti fra di loro. Per sciogliere queste difficoltà interpretative, nel capitolo viene introdotto l'innovativo concetto di BIAS TERRITORIALE, definito come la differenza fra l'incidenza infortunistica realmente osservata in un territorio e l'incidenza che si osserverebbe se la composizione settoriale fosse l'unica determinante dell'eterogeneità territoriale (incidenza teorica). Prendendo in considerazione la differente composizione settoriale del tes-suto economico locale, il bias territoriale permette quindi di isolare negli indi-catori di incidenza infortunistica quella che la letteratura identifica come la principale determinante del rischio occupazionale. Una futura estensione, rea-lizzabile solo disponendo di indici calcolati per dimensione di impresa (oggi non forniti dal cruscotto Inail), potrebbe prendere in considerazione anche la seconda principale determinante del rischio, ovvero la dimensione di impresa. Il concetto di bias territoriale è stato messo alla prova sui dati provinciali relativi alla frequenza e alla gravità. Esso ha restituito una rappresentazione dell'etero¬geneità territoriale molto più coerente e di chiara leggibilità. Infatti, i bias territoriali calcolati sull'indice di frequenza sono altamente correlati con quelli calcolati sull'indice di gravità. Il bias territoriale e le metriche calcolate a partire da esso possono trovare vasta applicazione, sia operativa sia analitica. Da un punto di vista operativo, il bias territoriale può essere calcolato per diagnosticare situazioni problematiche, per identificare obiettivi da raggiungere o per misurare la performace di azioni mirate sui territori. Dal punto di vista analitico, il bias territoriale isola il residuo di variabilità non spiegato dall'eterogeneità settoriale (e dimensionale, in future estensioni) dei territori. È così possibile concentrare l'analisi su altre dimensioni, di tipo culturale e so-ciale, per spiegare l'eterogeneità territoriale, in modo da identificare le leve principali su cui agire per migliorare le situazioni più deficitarie.

Il contesto degli infortuni in Italia. Esiste un bias territoriale?

Lisa Sella;Thu Nga Le
2023

Abstract

Sebbene qualsiasi occupazione comporti dei rischi, la natura del rischio occupazionale è multiforme e frequenza e gravità degli infortuni variano notevolmente nel tempo, a seconda delle attività economiche e delle aree geografi-che. Il capitolo II.1 di questo volume ha approfondito il tema delle determinanti degli infortuni, evidenziando i due principali fattori identificati dalla letteratura: il settore di attività e la dimensione di impresa. Il presente capitolo affronta il tema dell'eterogeneità degli infortuni in Italia, iniziando da una panoramica della variabilità per settore, per passare ad approfondire la variabilità territoriale, analizzata dopo aver depurato dagli effetti di composizione settoriale delle economie dei territori. Le analisi delle differenze che si osservano in Italia, a livello settoriale e territoriale, nella frequenza infortunistica, restituite nella forma di mappe concettuali o mappe territoriali, hanno permesso di evidenziare alcune regolarità forti, ma haanche delineato nuove direzioni di approfondimento e domande di ricerca. Un primo rilievo riguarda l'estrema eterogeneità che si osserva analizzando sia la dimensione settoriale, sia quella territoriale. Considerando le due componenti del rischio occupazionale (frequenza e gravità) come due dimensioni sul piano cartesiano, i settori si distribuiscono in una nuvola di punti molto dispersi attorno a una retta di regressione con una debole inclinazione positiva. Cioè, nonostante si osservi un legame positivo fra frequenza e gravità (ovvero, i settori in cui si verificano più infortuni tendono in media ad avere anche un peso maggiore di incidenti gravi), si possono verificare situazioni molto differenziate. In particolare, è possibile identificare gruppi di settori differentemente caratterizzati (il riferimento qui è ai settori inclusi nelle aree di colore verde, giallo o arancione nella mappa concettuale in Figura 1), che devono quindi essere oggetto di politiche differenziate. Dal punto di vista dinamico, nell'arco temporale 2010-2018 viene confermata la tendenza a un generale miglioramento, trasversale a tutti i settori, dell'incidenza infortunistica; il miglioramento è leggermente più marcato per quanto riguarda la frequenza rispetto alla gravità. A livello territoriale, si osserva una notevole differenza fra le provincie. Il quadro restituito dai tre indicatori utilizzati - l'indice di frequenza, l'indice di gravità e la quota di incidenti gravi - si presenta però molto differente. L'eterogeneità è di difficile interpretazione, in quanto connessa a diversi ordini di spiegazioni possibili: la differente composizione del tessuto imprenditoriale locale, le caratteristiche socio-culturali del territorio (che potrebbero essere connesse a una maggiore o minore attenzione alla sicurezza, sia da parte del lavoratore, sia del datore di lavoro), la maggiore o minore completezza e correttezza delle segnalazioni di infortunio e relativi errori di misura, l'incidenza del lavoro nero - a sua volta fonte di errori di misura dell'entità degli infortuni, soprattutto lievi. Questi fattori agiscono in modo differente sui tre indicatori di incidenza infortunistica, portando a mappe geografiche non coerenti fra di loro. Per sciogliere queste difficoltà interpretative, nel capitolo viene introdotto l'innovativo concetto di BIAS TERRITORIALE, definito come la differenza fra l'incidenza infortunistica realmente osservata in un territorio e l'incidenza che si osserverebbe se la composizione settoriale fosse l'unica determinante dell'eterogeneità territoriale (incidenza teorica). Prendendo in considerazione la differente composizione settoriale del tes-suto economico locale, il bias territoriale permette quindi di isolare negli indi-catori di incidenza infortunistica quella che la letteratura identifica come la principale determinante del rischio occupazionale. Una futura estensione, rea-lizzabile solo disponendo di indici calcolati per dimensione di impresa (oggi non forniti dal cruscotto Inail), potrebbe prendere in considerazione anche la seconda principale determinante del rischio, ovvero la dimensione di impresa. Il concetto di bias territoriale è stato messo alla prova sui dati provinciali relativi alla frequenza e alla gravità. Esso ha restituito una rappresentazione dell'etero¬geneità territoriale molto più coerente e di chiara leggibilità. Infatti, i bias territoriali calcolati sull'indice di frequenza sono altamente correlati con quelli calcolati sull'indice di gravità. Il bias territoriale e le metriche calcolate a partire da esso possono trovare vasta applicazione, sia operativa sia analitica. Da un punto di vista operativo, il bias territoriale può essere calcolato per diagnosticare situazioni problematiche, per identificare obiettivi da raggiungere o per misurare la performace di azioni mirate sui territori. Dal punto di vista analitico, il bias territoriale isola il residuo di variabilità non spiegato dall'eterogeneità settoriale (e dimensionale, in future estensioni) dei territori. È così possibile concentrare l'analisi su altre dimensioni, di tipo culturale e so-ciale, per spiegare l'eterogeneità territoriale, in modo da identificare le leve principali su cui agire per migliorare le situazioni più deficitarie.
2023
Istituto di Ricerca sulla Crescita Economica Sostenibile - IRCrES
979-12-211-0129-4
sicurezza e salute sui luoghi di lavoro
infortuni
eterogeneità territoriale
determinanti
territorial bias
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14243/465026
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