La critica femminista ci mostra come il gender gap nella comunicazione pubblica sia da collegare alla posizione di subordinazione che storicamente la donna ricopre nella società (Acker, 1992; Steeves, 1987) e che attualmente ancora permane. Le radici di tale situazione sono da ritrovare nei modelli di genere che legano il ruolo della donna e dell’uomo a determinati e separati ambiti di azione (Daymon & Demetrious, 2013; Dow & Condit, 2005; McKinnon & O’Connell, 2020). Tali modelli, riproposti nel corso del tempo, non solo producono aspettative rispetto ai comportamenti considerati corretti per uomini e donne, ma si alimentano con il doing e performative gender, ovvero il genere agito da parte degli individui (Butler, 1993, 2004; West & Zimmermam, 1987). Un approccio significativo che mira a fornire un quadro interpretativo a più livelli, da quello individuale a quello collettivo, è da ritrovarsi nel lavoro di (Risman, 1998, 2004) e (Risman & Davis, 2013), che si concentra sulla definizione del genere come struttura sociale al pari delle strutture politiche ed economiche che ogni società possiede. Immaginando il genere come un attore sociale, si riconosce come esso agisca sulle persone ma, viceversa, prenda forma dall’azione delle persone stesse. Tale relazione ricorsiva si evidenzia in una struttura multilivello in cui ogni livello si influenza vicendevolmente. L’azione del genere nel livello istituzionale definisce quindi le norme e il modus operandi delle organizzazioni e si concretizza anche nella definizione dei lavori e delle posizioni (Acker, 1990; Martin, 2004). In molti paesi questa genderizzazione del livello istituzionale prende forma a livello legislativo in una differente età pensionabile per uomini e donne, sulla base di percorsi lavorativi differenti perlopiù basati su caratteristiche socialmente definite da aspettative e ruoli di genere quali ad esempio il successo lavorativo come fattore identitario per l’uomo o i carichi di cura come competenza prettamente femminile. La genderizzazione delle professioni, quindi, non solo porta a una segregazione nel mondo del lavoro (Cejka & Eagly, 1999; Hesmondhalgh & Baker, 2015; Thébaud & Charles, 2018), che vede alcuni mestieri e mansioni come prettamente maschili mentre altre femminili, ma anche a una rappresentazione e narrazione del mondo del lavoro che influenza le scelte delle altre persone, inducendo un processo di autoselezione (Woodfield, 2007). Sulla base di questo quadro teorico, il contributo si sofferma sulle relazioni tra stereotipi di genere e presenza femminile nella comunicazione pubblica, evidenziando il ruolo del progetto No Women No Panel nel sensibilizzare a tale condizione e modificare le pratiche messe in atto all'interno delle organizzazioni.
Femminismi, comunicazione pubblica e il progetto No Women No Panel
Marchesini Nicolo'
2024
Abstract
La critica femminista ci mostra come il gender gap nella comunicazione pubblica sia da collegare alla posizione di subordinazione che storicamente la donna ricopre nella società (Acker, 1992; Steeves, 1987) e che attualmente ancora permane. Le radici di tale situazione sono da ritrovare nei modelli di genere che legano il ruolo della donna e dell’uomo a determinati e separati ambiti di azione (Daymon & Demetrious, 2013; Dow & Condit, 2005; McKinnon & O’Connell, 2020). Tali modelli, riproposti nel corso del tempo, non solo producono aspettative rispetto ai comportamenti considerati corretti per uomini e donne, ma si alimentano con il doing e performative gender, ovvero il genere agito da parte degli individui (Butler, 1993, 2004; West & Zimmermam, 1987). Un approccio significativo che mira a fornire un quadro interpretativo a più livelli, da quello individuale a quello collettivo, è da ritrovarsi nel lavoro di (Risman, 1998, 2004) e (Risman & Davis, 2013), che si concentra sulla definizione del genere come struttura sociale al pari delle strutture politiche ed economiche che ogni società possiede. Immaginando il genere come un attore sociale, si riconosce come esso agisca sulle persone ma, viceversa, prenda forma dall’azione delle persone stesse. Tale relazione ricorsiva si evidenzia in una struttura multilivello in cui ogni livello si influenza vicendevolmente. L’azione del genere nel livello istituzionale definisce quindi le norme e il modus operandi delle organizzazioni e si concretizza anche nella definizione dei lavori e delle posizioni (Acker, 1990; Martin, 2004). In molti paesi questa genderizzazione del livello istituzionale prende forma a livello legislativo in una differente età pensionabile per uomini e donne, sulla base di percorsi lavorativi differenti perlopiù basati su caratteristiche socialmente definite da aspettative e ruoli di genere quali ad esempio il successo lavorativo come fattore identitario per l’uomo o i carichi di cura come competenza prettamente femminile. La genderizzazione delle professioni, quindi, non solo porta a una segregazione nel mondo del lavoro (Cejka & Eagly, 1999; Hesmondhalgh & Baker, 2015; Thébaud & Charles, 2018), che vede alcuni mestieri e mansioni come prettamente maschili mentre altre femminili, ma anche a una rappresentazione e narrazione del mondo del lavoro che influenza le scelte delle altre persone, inducendo un processo di autoselezione (Woodfield, 2007). Sulla base di questo quadro teorico, il contributo si sofferma sulle relazioni tra stereotipi di genere e presenza femminile nella comunicazione pubblica, evidenziando il ruolo del progetto No Women No Panel nel sensibilizzare a tale condizione e modificare le pratiche messe in atto all'interno delle organizzazioni.File | Dimensione | Formato | |
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