Questo saggio analizza il trattato Angoscia, Doglia e Pena, le tre furie del mondo del medico e filosofo Michelangelo Biondo, uscito nella sua versione definitiva a Venezia nel 1546, dai torchi di Comin da Trino. Pur riproponendo molti topoi della tradizione misogina precedente, il testo di Biondo presenta tuttavia dei tratti di decisa originalità per l’impronta fortemente autobiografica che caratterizza il trattato, dedicato dall’autore al fratello Francesco, da poco “entrato in laccio iugale”. Si tratta infatti di una sorta di confessione personale, quasi un libero sfogo delle sue ambivalenti passioni coniugali, che si propone come un ammaestramento universale rivolto al genere maschile, di cui – nella finzione dialogica - Socrate e il suo maestro di filosofia a Napoli negli anni Venti del Cinquecento, il filosofo averroista Agostino Nifo, investono l’autore. Partendo dalla sua personale esperienza matrimoniale, il trattato alterna momenti di critica violenta verso la sua sposa, la gentildonna napoletana Giulia Marzia Martina e, per estensione, verso l’intero genere femminile, a passaggi di profonda tenerezza e malinconico rimpianto per i tempi dell’innamoramento e i primi anni di felicità coniugale. Nonostante il permanere delle pose misogine più retrive e consolidate, le pagine finali del trattato lasciano infatti spazio al ricordo nostalgico e al dolore della perdita.
Il trattato Angoscia, Doglia e Pena di Michelangelo Biondo, tra retorica misogina e autobiografia
Delfina GiovannozziPrimo
2023
Abstract
Questo saggio analizza il trattato Angoscia, Doglia e Pena, le tre furie del mondo del medico e filosofo Michelangelo Biondo, uscito nella sua versione definitiva a Venezia nel 1546, dai torchi di Comin da Trino. Pur riproponendo molti topoi della tradizione misogina precedente, il testo di Biondo presenta tuttavia dei tratti di decisa originalità per l’impronta fortemente autobiografica che caratterizza il trattato, dedicato dall’autore al fratello Francesco, da poco “entrato in laccio iugale”. Si tratta infatti di una sorta di confessione personale, quasi un libero sfogo delle sue ambivalenti passioni coniugali, che si propone come un ammaestramento universale rivolto al genere maschile, di cui – nella finzione dialogica - Socrate e il suo maestro di filosofia a Napoli negli anni Venti del Cinquecento, il filosofo averroista Agostino Nifo, investono l’autore. Partendo dalla sua personale esperienza matrimoniale, il trattato alterna momenti di critica violenta verso la sua sposa, la gentildonna napoletana Giulia Marzia Martina e, per estensione, verso l’intero genere femminile, a passaggi di profonda tenerezza e malinconico rimpianto per i tempi dell’innamoramento e i primi anni di felicità coniugale. Nonostante il permanere delle pose misogine più retrive e consolidate, le pagine finali del trattato lasciano infatti spazio al ricordo nostalgico e al dolore della perdita.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.