Dalla segnalazione occasionale di una pratica di coltivazione della vite a rischio di completo espianto da parte della Regione Campania, perché ritenuta del XX secolo, prende avvio la ricerca. Attraverso la minuziosa raccolta di testimonianze dirette, di bibliografia e di documenti d'archivio, l'incrocio con l'analisi delle fonti latine e il riscontro con la pittura e la coroplastica romana si scopre una modalità di allevamento (la vite ‘a raggiera’) che culturalmente è di impostazione italica e romana. Descritta nel 1811 come arbusto o arbusteto di collina, per distinguerla dall’alboreto o arbusteto di pianura (ad es. l’Alberata Aversana), è stata per tutto il XIX secolo predominante nel territorio alle pendici del Massiccio del Taburno Camposauro, soprattutto sui versanti rivolti verso i fiumi Calore, a N, Volturno, a O, e Isclero, a S. La diffusione della ‘spalliera’ e di una sorta di ‘tendone’, simile alla raggiera ma non confrontabile, le si sono affiancate sino a sostituirla quasi del tutto. A Solopaca ne rimane la maggiore concentrazione e superficie coperta, rendendo ancora percepibile il caratteristico disegno ‘a quinconce’ (letteralmente, il numero 5 sulla faccia del dado) nelle superfici vitate, arricchito dall’aspetto quasi monumentale assunto dalle piante di vite che lo compongono. Le superfici si distinguono per una forma dei campi variabile (rettangolare e quasi quadrata) e mantengono in parte l’unità di misura, lo schema dell’organizzazione agraria conferitagli in età sannita e ripresa dai Romani nel I secolo a.C., contestualmente alla centuriazione del dirimpettaio ager Telesinus. Delle sistemazioni antiche, costituite da interventi per la conservazione del suolo, per la regimazione e la raccolta delle acque, rimangono terrazzamenti, ciglionamenti, canali di drenaggio, pozzi e una cisterna, che delimitano o rafforzano i confini tra un campo e un altro. Rivelatasi preziosa dal punto di vista sia culturale sia della conservazione della biodiversità viticola tradizionale (le cosiddette 'uve rare'), la sostenibilità (coltura per piccole superfici dove la promiscuità fra specie diverse agevola il contrasto alle patologie), la resistenza a malattie e alla siccità e la resa economica (il sistema del 'raccolto continuo'). è stata candidata con successo dalla ricerca all'iscrizione nel Registro Nazionale dei Paesaggi rurali storici, delle Pratiche agricole e delle Conoscenze tradizionali (MASAF) e posta sotto tutela al pari di ogni altro bene costituente il Patrimonio Culturale.
Vite ‘a raggiera’ del Taburno (Raggiera Beneventana) - Registro Nazionale del Paesaggio rurale, delle Pratiche agricole e Conoscenze tradizionali
Del Lungo S.
Relatore interno
;Leone A. P.Correlatore interno
2023
Abstract
Dalla segnalazione occasionale di una pratica di coltivazione della vite a rischio di completo espianto da parte della Regione Campania, perché ritenuta del XX secolo, prende avvio la ricerca. Attraverso la minuziosa raccolta di testimonianze dirette, di bibliografia e di documenti d'archivio, l'incrocio con l'analisi delle fonti latine e il riscontro con la pittura e la coroplastica romana si scopre una modalità di allevamento (la vite ‘a raggiera’) che culturalmente è di impostazione italica e romana. Descritta nel 1811 come arbusto o arbusteto di collina, per distinguerla dall’alboreto o arbusteto di pianura (ad es. l’Alberata Aversana), è stata per tutto il XIX secolo predominante nel territorio alle pendici del Massiccio del Taburno Camposauro, soprattutto sui versanti rivolti verso i fiumi Calore, a N, Volturno, a O, e Isclero, a S. La diffusione della ‘spalliera’ e di una sorta di ‘tendone’, simile alla raggiera ma non confrontabile, le si sono affiancate sino a sostituirla quasi del tutto. A Solopaca ne rimane la maggiore concentrazione e superficie coperta, rendendo ancora percepibile il caratteristico disegno ‘a quinconce’ (letteralmente, il numero 5 sulla faccia del dado) nelle superfici vitate, arricchito dall’aspetto quasi monumentale assunto dalle piante di vite che lo compongono. Le superfici si distinguono per una forma dei campi variabile (rettangolare e quasi quadrata) e mantengono in parte l’unità di misura, lo schema dell’organizzazione agraria conferitagli in età sannita e ripresa dai Romani nel I secolo a.C., contestualmente alla centuriazione del dirimpettaio ager Telesinus. Delle sistemazioni antiche, costituite da interventi per la conservazione del suolo, per la regimazione e la raccolta delle acque, rimangono terrazzamenti, ciglionamenti, canali di drenaggio, pozzi e una cisterna, che delimitano o rafforzano i confini tra un campo e un altro. Rivelatasi preziosa dal punto di vista sia culturale sia della conservazione della biodiversità viticola tradizionale (le cosiddette 'uve rare'), la sostenibilità (coltura per piccole superfici dove la promiscuità fra specie diverse agevola il contrasto alle patologie), la resistenza a malattie e alla siccità e la resa economica (il sistema del 'raccolto continuo'). è stata candidata con successo dalla ricerca all'iscrizione nel Registro Nazionale dei Paesaggi rurali storici, delle Pratiche agricole e delle Conoscenze tradizionali (MASAF) e posta sotto tutela al pari di ogni altro bene costituente il Patrimonio Culturale.File | Dimensione | Formato | |
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