Le ricerche archeologiche sull’industria peschiera e conserviera in Sicilia sono in ritardo rispetto alla “scoperta” degli apprestamenti alieutici in altre aree del Mediterraneo occidentale, che possono contare su informazioni risalenti almeno all’inizio del secolo scorso. In questo capitolo si passano in rassegna, in primo luogo, alcune ipotesi storiografiche che hanno caratterizzato le indagini alieutiche siciliane, da una prospettiva globale e tenendo conto della loro diffusione internazionale. Si propone un’articolazione in tre fasi del loro sviluppo. La prima, anteriore agli anni ottanta del secolo scorso, nella quale i riferimenti all’importanza del pescato siciliano venivano affrontati da una prospettiva documentale, basata sull’evidenza numismatica. La seconda, nella quale spicca sugli altri la figura di Gianfranco Purpura, dell’Università di Palermo, si può collocare fra gli anni 1982 e il 1990, periodo durante il quale si condussero molteplici indagini archeologiche e studi finalizzati alla localizzazione delle evidenze delle peschiere antiche, soprattutto nell’area occidentale dell’isola, senza che questo pregiudicasse la volontà di affrontare in una596 prospettiva globale la problematica dell’industria conserviera siciliana nell’antichità. Dopo un vuoto nelle attività di ricerca, dobbiamo attendere la terza fase, iniziata nel XXI secolo con gli studi di Emmanuel Botte e Roberto la Rocca a Pompei, che presero avvio con le indagini sulle anfore Dressel 21/22, alcune delle quali di produzione siciliana e, contestualmente ad esse, con la pianificazione di ricerche di grande rilievo sugli impianti di salagione, specialmente dell’area trapanese e palermitana. Un’attività di ricerca tutt’ora in corso, a cui hanno preso parte altri attori che hanno condotto sia scavi archeologici in alcune aree di pesca, sia una sintesi dell’economia alieutica siciliana a scala globale. Il progetto Archeofish si colloca in questo contesto. La seconda parte del lavoro analizza in uno sguardo dinsieme le cetariae siciliane, esaminando di volta in volta le evidenze esistenti e proponendo uninterpretazione generale del sito da una prospettiva globale, dal quale è possibile far emergere la parzialità delle informazioni in nostro possesso. Ciò permette di tratteggiare un quadro in costruzione permanente, dove alle otto officine sicure (Cala Minnola, San Vito Lo Capo, Isola delle Femmine, Milazzo, Vendicari, Portopalo, Pachino e Lampedusa) si aggiungono le sei possibili ma non sicure (Favignana, Tonnara del Cofano, Punta Molinazzo-Punta Raisi e Punta Lamie-Salina nelle Eolie) e in misura minore Cefalù e Solunto. Infine, e alla luce delle evidenze di cui sopra, si propone un’interpretazione generale delle cetariae siciliane nel panorama atlantico-mediterraneo, soffermandosi sullanalisi del contesto in cui sono inserite, sulle loro specifiche problematiche, nonché sulle differenze e somiglianze nei confronti di altre aree produttive dove sono attestate attività di pesca e salagione del pesce. Scopo di questo riesame è quello di tratteggiare il contesto cui si inserisce lo studio dei siti produttivi di Portopalo di Capo Passero e Vendicari che, alla luce delle informazioni raccolte, diventano i due più grandi giacimenti - per estensione e numero di vasche fra quelle conosciute in Sicilia e con la maggiore continuità duso, con unampia sequenza cronologica che oscilla tra il V secolo a.C. e il V secolo d.C. nel caso di Portopalo di Capo Passero e tra il IV secolo a.C. e il I secolo d.C. nel caso di Vendicari
Las cetariae siracusanas en el contexto haliéutico siciliano: de la herencia fenicia y griega a Solino
Malfitana D.;Mazzaglia A.;
2021
Abstract
Le ricerche archeologiche sull’industria peschiera e conserviera in Sicilia sono in ritardo rispetto alla “scoperta” degli apprestamenti alieutici in altre aree del Mediterraneo occidentale, che possono contare su informazioni risalenti almeno all’inizio del secolo scorso. In questo capitolo si passano in rassegna, in primo luogo, alcune ipotesi storiografiche che hanno caratterizzato le indagini alieutiche siciliane, da una prospettiva globale e tenendo conto della loro diffusione internazionale. Si propone un’articolazione in tre fasi del loro sviluppo. La prima, anteriore agli anni ottanta del secolo scorso, nella quale i riferimenti all’importanza del pescato siciliano venivano affrontati da una prospettiva documentale, basata sull’evidenza numismatica. La seconda, nella quale spicca sugli altri la figura di Gianfranco Purpura, dell’Università di Palermo, si può collocare fra gli anni 1982 e il 1990, periodo durante il quale si condussero molteplici indagini archeologiche e studi finalizzati alla localizzazione delle evidenze delle peschiere antiche, soprattutto nell’area occidentale dell’isola, senza che questo pregiudicasse la volontà di affrontare in una596 prospettiva globale la problematica dell’industria conserviera siciliana nell’antichità. Dopo un vuoto nelle attività di ricerca, dobbiamo attendere la terza fase, iniziata nel XXI secolo con gli studi di Emmanuel Botte e Roberto la Rocca a Pompei, che presero avvio con le indagini sulle anfore Dressel 21/22, alcune delle quali di produzione siciliana e, contestualmente ad esse, con la pianificazione di ricerche di grande rilievo sugli impianti di salagione, specialmente dell’area trapanese e palermitana. Un’attività di ricerca tutt’ora in corso, a cui hanno preso parte altri attori che hanno condotto sia scavi archeologici in alcune aree di pesca, sia una sintesi dell’economia alieutica siciliana a scala globale. Il progetto Archeofish si colloca in questo contesto. La seconda parte del lavoro analizza in uno sguardo dinsieme le cetariae siciliane, esaminando di volta in volta le evidenze esistenti e proponendo uninterpretazione generale del sito da una prospettiva globale, dal quale è possibile far emergere la parzialità delle informazioni in nostro possesso. Ciò permette di tratteggiare un quadro in costruzione permanente, dove alle otto officine sicure (Cala Minnola, San Vito Lo Capo, Isola delle Femmine, Milazzo, Vendicari, Portopalo, Pachino e Lampedusa) si aggiungono le sei possibili ma non sicure (Favignana, Tonnara del Cofano, Punta Molinazzo-Punta Raisi e Punta Lamie-Salina nelle Eolie) e in misura minore Cefalù e Solunto. Infine, e alla luce delle evidenze di cui sopra, si propone un’interpretazione generale delle cetariae siciliane nel panorama atlantico-mediterraneo, soffermandosi sullanalisi del contesto in cui sono inserite, sulle loro specifiche problematiche, nonché sulle differenze e somiglianze nei confronti di altre aree produttive dove sono attestate attività di pesca e salagione del pesce. Scopo di questo riesame è quello di tratteggiare il contesto cui si inserisce lo studio dei siti produttivi di Portopalo di Capo Passero e Vendicari che, alla luce delle informazioni raccolte, diventano i due più grandi giacimenti - per estensione e numero di vasche fra quelle conosciute in Sicilia e con la maggiore continuità duso, con unampia sequenza cronologica che oscilla tra il V secolo a.C. e il V secolo d.C. nel caso di Portopalo di Capo Passero e tra il IV secolo a.C. e il I secolo d.C. nel caso di Vendicari| File | Dimensione | Formato | |
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