Un Ponzio Pilato che si aggira fra giardini dai profumi pervasivi, descritto con un forte senso di fisicità legata a un'estrema sensibilità olfattiva: aromi penetranti e odori minacciosi, primo fra tutti il sentore dell'olio di rose, torturano il maestoso procuratore fin dalle prime ore del mattino e lo costringono alla più dolorosa immobilità. Che è in stridente contrasto con quella rigorosa sensazione fisica, portatrice di malanno, che genera un'ineludibile emicrania. Gli odori evocano uno stato di malattia, un sentore forte che mette in moto una forma di paralisi. Questa la descrizione dell'ingresso di Pilato sulla scena de Il maestro e Margherita, di Michail Bulgakov, pubblicato postumo nel 1941; è il suo personaggio che incede regale incontro al prigioniero, e non viceversa. Ma quando Pilato pronuncia il fatidico «Che cos'è la verità?», Jeshua risponde spavaldo e allusivo: La verità anzitutto è che ti fa male la testa, ti fa talmente male che pavidamente pensi alla morte. Non solo non sei in grado di parlare con me, ma ti è perfino difficile guardarmi. E adesso sono involontariamente il tuo torturatore, il che mi amareggia. Non riesci neppure a pensare e sogni solo che venga il tuo cane, l'unico essere, evidentemente, al quale sei affezionato. Ma il tuo tormento cesserà subito, la testa non ti farà male1 Risposta che non nasconde evidenti segni di complessità, e che mostra insieme più di un livello di lettura e di interpretazione: 1.la verità è "oggettiva", in quanto è uno "stato" che investe allo stesso tempo un elemento fisico e uno mentale, è contemporaneamente uno stato d'animo e uno stato materiale, legato al contempo al soggetto e all'oggetto. «E' facile e grato dire la verità- osservò l'arrestato»2, e Pilato è effettivamente diviso, lacerato da una parte da quella che pare la verità dei "fatti" e delle parole pronunciate, dall'altra dalla verità legata a una forma di "sentire"; questa verità impedisce la relazione e nel delirio che evoca ribalta i ruoli, facendo della vittima il carnefice e del carnefice la vittima: in questo senso, la verità è la "malattia". Pilato insiste, nel dialogo fantasticato da Bulgakov, nel chiedere a Gesù se non fosse per caso un medico, forse nella speranza di trovare guarigione. E' da tener presente anche che la comunicazione tra i due personaggi risulta disturbata nonostante a Jeshua venga attribuita, nello scambio di battute, conoscenza di greco, latino e aramaico: Pilato cambia spesso registro linguistico e il prigioniero è in grado di seguirlo comunque, senza ombra di incomprensione linguistica. Pilato non può parlare con lui perché è malato, non perché non condivida con lo straniero un codice linguistico; 3. la verità contiene in germe un presentimento, racchiude il messaggio della fine del morire, perché preannuncia l'immortalità: la verità è in sé immortale e in questa sua prerogativa nasconde sempre un "desiderio". Il sogno di un affetto e del calore di una vicinanza. Quel che certamente e forse banalmente si verificò nel dialogo ipotetico che si sarebbe tenuto nella primavera dell'anno 786 fu l'incrocio tra due diversi "punti di vista", che ignorano all'inizio cosa sia la verità, che non sanno da prima quale sia la risposta corretta, ma che a questa arrivano, ognuno per propria parte, interrogandosi a vicenda. L'esegesi biblica tra l'altro non pare neanche certa della tradizione che vuole che l'affermazione di Pilato si ponesse sotto forma interrogativa, e questo addolcisce la ricostruzione nella forma di un dialogo anziché di un interrogatorio. Così come, nella forma di dialogo, Giovanni riporta che alla domanda di Pilato «Tu sei il re dei Giudei?», Gesù rispondesse «Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto?»; come a dire, «sono parole che ti vengono dal cuore o che servono solo ai fini processuali?». Quel che cambia è alla fine la differenza di tonalità emotiva nascosta nella domanda.
Ponzio Pilato e la metafora del potere nella sua forma di verità
Manuela Sanna
2008
Abstract
Un Ponzio Pilato che si aggira fra giardini dai profumi pervasivi, descritto con un forte senso di fisicità legata a un'estrema sensibilità olfattiva: aromi penetranti e odori minacciosi, primo fra tutti il sentore dell'olio di rose, torturano il maestoso procuratore fin dalle prime ore del mattino e lo costringono alla più dolorosa immobilità. Che è in stridente contrasto con quella rigorosa sensazione fisica, portatrice di malanno, che genera un'ineludibile emicrania. Gli odori evocano uno stato di malattia, un sentore forte che mette in moto una forma di paralisi. Questa la descrizione dell'ingresso di Pilato sulla scena de Il maestro e Margherita, di Michail Bulgakov, pubblicato postumo nel 1941; è il suo personaggio che incede regale incontro al prigioniero, e non viceversa. Ma quando Pilato pronuncia il fatidico «Che cos'è la verità?», Jeshua risponde spavaldo e allusivo: La verità anzitutto è che ti fa male la testa, ti fa talmente male che pavidamente pensi alla morte. Non solo non sei in grado di parlare con me, ma ti è perfino difficile guardarmi. E adesso sono involontariamente il tuo torturatore, il che mi amareggia. Non riesci neppure a pensare e sogni solo che venga il tuo cane, l'unico essere, evidentemente, al quale sei affezionato. Ma il tuo tormento cesserà subito, la testa non ti farà male1 Risposta che non nasconde evidenti segni di complessità, e che mostra insieme più di un livello di lettura e di interpretazione: 1.la verità è "oggettiva", in quanto è uno "stato" che investe allo stesso tempo un elemento fisico e uno mentale, è contemporaneamente uno stato d'animo e uno stato materiale, legato al contempo al soggetto e all'oggetto. «E' facile e grato dire la verità- osservò l'arrestato»2, e Pilato è effettivamente diviso, lacerato da una parte da quella che pare la verità dei "fatti" e delle parole pronunciate, dall'altra dalla verità legata a una forma di "sentire"; questa verità impedisce la relazione e nel delirio che evoca ribalta i ruoli, facendo della vittima il carnefice e del carnefice la vittima: in questo senso, la verità è la "malattia". Pilato insiste, nel dialogo fantasticato da Bulgakov, nel chiedere a Gesù se non fosse per caso un medico, forse nella speranza di trovare guarigione. E' da tener presente anche che la comunicazione tra i due personaggi risulta disturbata nonostante a Jeshua venga attribuita, nello scambio di battute, conoscenza di greco, latino e aramaico: Pilato cambia spesso registro linguistico e il prigioniero è in grado di seguirlo comunque, senza ombra di incomprensione linguistica. Pilato non può parlare con lui perché è malato, non perché non condivida con lo straniero un codice linguistico; 3. la verità contiene in germe un presentimento, racchiude il messaggio della fine del morire, perché preannuncia l'immortalità: la verità è in sé immortale e in questa sua prerogativa nasconde sempre un "desiderio". Il sogno di un affetto e del calore di una vicinanza. Quel che certamente e forse banalmente si verificò nel dialogo ipotetico che si sarebbe tenuto nella primavera dell'anno 786 fu l'incrocio tra due diversi "punti di vista", che ignorano all'inizio cosa sia la verità, che non sanno da prima quale sia la risposta corretta, ma che a questa arrivano, ognuno per propria parte, interrogandosi a vicenda. L'esegesi biblica tra l'altro non pare neanche certa della tradizione che vuole che l'affermazione di Pilato si ponesse sotto forma interrogativa, e questo addolcisce la ricostruzione nella forma di un dialogo anziché di un interrogatorio. Così come, nella forma di dialogo, Giovanni riporta che alla domanda di Pilato «Tu sei il re dei Giudei?», Gesù rispondesse «Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto?»; come a dire, «sono parole che ti vengono dal cuore o che servono solo ai fini processuali?». Quel che cambia è alla fine la differenza di tonalità emotiva nascosta nella domanda.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


