La peste, nelle sue forme bubbonica, polmonare e setticemica, era un male diffuso nelle società di antico regime, spesso confuso con altre malattie, presentando sintomi simili. Tuttavia, nonostante la sua ampia diffusione e la sua altissima letalità, i medici del tempo non avevano le idee chiare su come contrastarla, non avendone ancora compreso l'eziologia, chiarita solo nel 1894, quando Alexandre Yersin individuò il bacillo, causa della malattia e in suo ricordo soprannominato Yersinia pestis. Per questo i medici di antico regime spesso brancolavano nel buio, fornendo svariati rimedi curativi, per lo più inefficaci, e preferendo concentrarsi su rimedi di carattere preventivo, ben consapevoli che, propagatosi il male in una località, ben poco restava da fare se non fuggire, come consigliavano essi stessi. Ciò nonostante, a dispetto delle loro incertezze e dei loro frequenti fallimenti, incertezze e fallimenti testimoniati anche dallo sforzo da loro profuso per fornire una definizione della "peste", i medici erano comunque costretti a confrontarsi con la malattia. Come confermano i numerosi trattati medici compilati in età moderna, essi si sforzavano di conoscerne le cause, mostrando peraltro una grande capacità di osservazione dei sintomi e riuscendo quindi a proporre validi rimedi preventivi. Rimedi, questi, spesso non privi di fondamento in quanto basati proprio sull'osservazione della realtà, a differenza dei rimedi di carattere curativo, inevitabilmente inefficaci. Nel corso del 1600 il regno di Napoli, territorio politicamente parte dell'impero spagnolo, fu colpito da svariate epidemie. In questo paper ne considereremo solo due con uno sguardo rivolto agli aspetti più prettamente "medici": la grave pandemia del 1656, ampiamente diffusa in tutto il Mezzogiorno, e quella meglio controllata del 1690, arginata all'interno di una ristretta parte del territorio pugliese. Attraverso l'analisi di documenti originali, a stampa e manoscritti, esamineremo alcune descrizioni dei sintomi accertati dai medici, alcuni rimedi curativi da loro sperimentati sui pazienti e, terminato il male, alcune norme e soluzioni adottate, attraverso le operazioni di "spurga" e quarantena, per eliminare completamente ogni possibile rischio di ulteriore contagio. Ne emergerà l'immagine di un medico, e più in particolare, di un'intera società, fortemente impegnata a condurre una dura e impari battaglia contro una malattia micidiale e difficile da sconfiggere; una malattia che, non a caso, il noto storico Carlo Maria Cipolla ha definito un "nemico invisibile". Una battaglia all'epoca, come del resto ancora oggi, incentrata sulla convinzione dell'importanza solo della cura ma anche e forse soprattutto della prevenzione.
Il regno di Napoli e la peste nel Seicento: sintomi e rimedi
fusco i
2020
Abstract
La peste, nelle sue forme bubbonica, polmonare e setticemica, era un male diffuso nelle società di antico regime, spesso confuso con altre malattie, presentando sintomi simili. Tuttavia, nonostante la sua ampia diffusione e la sua altissima letalità, i medici del tempo non avevano le idee chiare su come contrastarla, non avendone ancora compreso l'eziologia, chiarita solo nel 1894, quando Alexandre Yersin individuò il bacillo, causa della malattia e in suo ricordo soprannominato Yersinia pestis. Per questo i medici di antico regime spesso brancolavano nel buio, fornendo svariati rimedi curativi, per lo più inefficaci, e preferendo concentrarsi su rimedi di carattere preventivo, ben consapevoli che, propagatosi il male in una località, ben poco restava da fare se non fuggire, come consigliavano essi stessi. Ciò nonostante, a dispetto delle loro incertezze e dei loro frequenti fallimenti, incertezze e fallimenti testimoniati anche dallo sforzo da loro profuso per fornire una definizione della "peste", i medici erano comunque costretti a confrontarsi con la malattia. Come confermano i numerosi trattati medici compilati in età moderna, essi si sforzavano di conoscerne le cause, mostrando peraltro una grande capacità di osservazione dei sintomi e riuscendo quindi a proporre validi rimedi preventivi. Rimedi, questi, spesso non privi di fondamento in quanto basati proprio sull'osservazione della realtà, a differenza dei rimedi di carattere curativo, inevitabilmente inefficaci. Nel corso del 1600 il regno di Napoli, territorio politicamente parte dell'impero spagnolo, fu colpito da svariate epidemie. In questo paper ne considereremo solo due con uno sguardo rivolto agli aspetti più prettamente "medici": la grave pandemia del 1656, ampiamente diffusa in tutto il Mezzogiorno, e quella meglio controllata del 1690, arginata all'interno di una ristretta parte del territorio pugliese. Attraverso l'analisi di documenti originali, a stampa e manoscritti, esamineremo alcune descrizioni dei sintomi accertati dai medici, alcuni rimedi curativi da loro sperimentati sui pazienti e, terminato il male, alcune norme e soluzioni adottate, attraverso le operazioni di "spurga" e quarantena, per eliminare completamente ogni possibile rischio di ulteriore contagio. Ne emergerà l'immagine di un medico, e più in particolare, di un'intera società, fortemente impegnata a condurre una dura e impari battaglia contro una malattia micidiale e difficile da sconfiggere; una malattia che, non a caso, il noto storico Carlo Maria Cipolla ha definito un "nemico invisibile". Una battaglia all'epoca, come del resto ancora oggi, incentrata sulla convinzione dell'importanza solo della cura ma anche e forse soprattutto della prevenzione.| File | Dimensione | Formato | |
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