Quando si parla di mare come risorsa, generalmente si pensa a quanto esso offre di concreto (pesca, minerali, petrolio, gas, acqua potabile attraverso processi di dissalazione, possibilità di utilizzo dell'acqua ai fini della produzione di energia rinnovabile), o al mare quale strumento utile per migliorare la vita economica di un popolo (commerci, trasporti marittimi di uomini e merci, turismo balneare). Tuttavia, spesso si dimentica l'aspetto più "culturale" della risorsa mare, quali le sue potenzialità di trasmettere saperi e conoscenze, essendo in grado il mare di mettere in contatto tra loro civiltà talvolta molto lontane e differenti. Un aspetto, questo, non irrilevante, specie se si va indietro nel tempo, quando il mare era il principale, se non l'unico, strumento e luogo di comunicazione. Per tutta l'età moderna e almeno fino a quando altri mezzi di trasporto non hanno preso il sopravvento sulla navigazione marittima, il mare ha rappresentato il principale strumento di trasmissione anche di malattie gravi e devastanti, quali erano le epidemie di peste, i cui vettori si spostavano sulle navi assieme a uomini e a merci. Era infatti soprattutto attraverso il mare e i suoi porti che avanzavano e si diffondevano pandemie dalla portata immensa e che hanno segnato duramente e talvolta in maniera irreversibile la vicenda umana. Queste osservazione non mirano, tuttavia, come potrebbe sembrare, a far emergere una immagine "negativa" della risorsa mare, quale principale responsabile di gravi tragedie umane, quanto sono volte a far affiorare una lettura "positiva" di tale risorsa, rappresentando il mare uno strumento di stimolo per coloro che erano tenuti a fronteggiare queste emergenze. Così come il mare portava la peste, era il mare che, trasportando la malattia, spingeva i governanti a interrogarsi sulle proprie "politiche", sui propri strumenti di intervento, sui propri fallimenti in caso di mancato controllo dell'epidemia. Così, nel caso delle pandemie di peste, il mare, da risorsa "negativa", in quanto strumento di trasmissione di malattie, si trasforma in una risorsa "positiva", in uno stimolo fruttuoso per i governanti, spinti a mettere in discussione meccanismi consolidati e non sempre vincenti e a tentare di gestire e governare un'emergenza in maniera completamente diversa e forse con successo. Il mare diventa, quindi, uno specchio lucente delle debolezze di una società di ancien régime, ma anche delle sue potenzialità positive di reazione. In questo saggio, quindi, attraverso l'analisi di alcune scelte adottate nel regno di Napoli in occasione di epidemie di peste verificatesi nel corso del Seicento, tenteremo di analizzare alcuni aspetti delle "politiche" sanitarie dei governanti con uno sguardo privilegiato volto al mare.

Il mare: una risorsa "positiva". Il regno di Napoli nelle emergenze sanitarie del Seicento

fusco I
2020

Abstract

Quando si parla di mare come risorsa, generalmente si pensa a quanto esso offre di concreto (pesca, minerali, petrolio, gas, acqua potabile attraverso processi di dissalazione, possibilità di utilizzo dell'acqua ai fini della produzione di energia rinnovabile), o al mare quale strumento utile per migliorare la vita economica di un popolo (commerci, trasporti marittimi di uomini e merci, turismo balneare). Tuttavia, spesso si dimentica l'aspetto più "culturale" della risorsa mare, quali le sue potenzialità di trasmettere saperi e conoscenze, essendo in grado il mare di mettere in contatto tra loro civiltà talvolta molto lontane e differenti. Un aspetto, questo, non irrilevante, specie se si va indietro nel tempo, quando il mare era il principale, se non l'unico, strumento e luogo di comunicazione. Per tutta l'età moderna e almeno fino a quando altri mezzi di trasporto non hanno preso il sopravvento sulla navigazione marittima, il mare ha rappresentato il principale strumento di trasmissione anche di malattie gravi e devastanti, quali erano le epidemie di peste, i cui vettori si spostavano sulle navi assieme a uomini e a merci. Era infatti soprattutto attraverso il mare e i suoi porti che avanzavano e si diffondevano pandemie dalla portata immensa e che hanno segnato duramente e talvolta in maniera irreversibile la vicenda umana. Queste osservazione non mirano, tuttavia, come potrebbe sembrare, a far emergere una immagine "negativa" della risorsa mare, quale principale responsabile di gravi tragedie umane, quanto sono volte a far affiorare una lettura "positiva" di tale risorsa, rappresentando il mare uno strumento di stimolo per coloro che erano tenuti a fronteggiare queste emergenze. Così come il mare portava la peste, era il mare che, trasportando la malattia, spingeva i governanti a interrogarsi sulle proprie "politiche", sui propri strumenti di intervento, sui propri fallimenti in caso di mancato controllo dell'epidemia. Così, nel caso delle pandemie di peste, il mare, da risorsa "negativa", in quanto strumento di trasmissione di malattie, si trasforma in una risorsa "positiva", in uno stimolo fruttuoso per i governanti, spinti a mettere in discussione meccanismi consolidati e non sempre vincenti e a tentare di gestire e governare un'emergenza in maniera completamente diversa e forse con successo. Il mare diventa, quindi, uno specchio lucente delle debolezze di una società di ancien régime, ma anche delle sue potenzialità positive di reazione. In questo saggio, quindi, attraverso l'analisi di alcune scelte adottate nel regno di Napoli in occasione di epidemie di peste verificatesi nel corso del Seicento, tenteremo di analizzare alcuni aspetti delle "politiche" sanitarie dei governanti con uno sguardo privilegiato volto al mare.
2020
Istituto di Studi sul Mediterraneo - ISMed
978-88-15-28435-8
Plague epidemics
Kingdom of Naples
sanitary "policies"
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14243/380075
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