L’Enotria, letteralmente la ‘terra della vite legata al palo’ (oinòtron) con due capi a frutto per meglio resistere ai venti, rappresenta quella porzione di Appennino, dal Cilento alla Calabria, dove i Greci, all’inizio della colonizzazione di questi luoghi, restano colpiti nel trovare un entroterra coltivato, con un paesaggio segnato marcatamente dalla viticoltura e quindi “non barbaro”. In un’indagine che risale controcorrente l’Agri, dalla foce alla sorgente, si abbatte il luogo comune di una civiltà greca che avrebbe introdotto nella penisola italica la coltura e la civiltà della vite. I primi coloni nell’VIII secolo a.C., provenienti in maggioranza dalla Grecia continentale, si stabiliscono nelle isole e sulle coste portando con se il preconcetto di un entroterra da evitare, perché ostile, pericoloso e incolto, sintetizzato in quel periodo nei versi dell’Odissea. Ricostruendo con prove concrete e riscontri documentati la cultura e la mentalità che guidano gli stanziamenti dei coloni, è evidente la loro sorpresa di trovarsi di fronte una civiltà evoluta, l’enotra, esperta produttrice di un bene primario (il vino), prezioso quanto i ricercati metalli (soprattutto il ferro e il rame). Attraverso la genetica, le fonti classiche trovano riscontro nelle varietà di vite, recuperate di recente in anni di esplorazione di vecchi vigneti nell’entroterra appenninico, e con risultati sorprendenti. I Lucani, che dagli Enotri hanno acquisito buona parte delle conoscenze e dell'esperienza vitivinicola, e i Romani riprogettano l'intera alta Val d'Agri, terminale di questo percorso controcorrente. Si ridefiniscono le fasi di vita della città di Grumentum in età Repubblicana e la ricerca topografica mette in luce la centuriazione nelle sue quattro diverse assegnazioni, datandole con accuratezza e rintracciando le basi di tante conoscenze agronomiche, entrate subito a far parte della letteratura latina di settore.
Eschatià, mesògaia, Enotria, Grumentum: cultura viticola e forma antica del territorio nei secoli
Del Lungo S.
Relatore interno
2022
Abstract
L’Enotria, letteralmente la ‘terra della vite legata al palo’ (oinòtron) con due capi a frutto per meglio resistere ai venti, rappresenta quella porzione di Appennino, dal Cilento alla Calabria, dove i Greci, all’inizio della colonizzazione di questi luoghi, restano colpiti nel trovare un entroterra coltivato, con un paesaggio segnato marcatamente dalla viticoltura e quindi “non barbaro”. In un’indagine che risale controcorrente l’Agri, dalla foce alla sorgente, si abbatte il luogo comune di una civiltà greca che avrebbe introdotto nella penisola italica la coltura e la civiltà della vite. I primi coloni nell’VIII secolo a.C., provenienti in maggioranza dalla Grecia continentale, si stabiliscono nelle isole e sulle coste portando con se il preconcetto di un entroterra da evitare, perché ostile, pericoloso e incolto, sintetizzato in quel periodo nei versi dell’Odissea. Ricostruendo con prove concrete e riscontri documentati la cultura e la mentalità che guidano gli stanziamenti dei coloni, è evidente la loro sorpresa di trovarsi di fronte una civiltà evoluta, l’enotra, esperta produttrice di un bene primario (il vino), prezioso quanto i ricercati metalli (soprattutto il ferro e il rame). Attraverso la genetica, le fonti classiche trovano riscontro nelle varietà di vite, recuperate di recente in anni di esplorazione di vecchi vigneti nell’entroterra appenninico, e con risultati sorprendenti. I Lucani, che dagli Enotri hanno acquisito buona parte delle conoscenze e dell'esperienza vitivinicola, e i Romani riprogettano l'intera alta Val d'Agri, terminale di questo percorso controcorrente. Si ridefiniscono le fasi di vita della città di Grumentum in età Repubblicana e la ricerca topografica mette in luce la centuriazione nelle sue quattro diverse assegnazioni, datandole con accuratezza e rintracciando le basi di tante conoscenze agronomiche, entrate subito a far parte della letteratura latina di settore.| File | Dimensione | Formato | |
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