Il carciofo (Cynara cardunculs var. scolymus L., 2n = 2x = 34) è una delle più importanti colture ortive in Italia, primo paese produttore a livello mondiale con 49.577 ha coltivati e 474.550 t di capolini raccolti (dati FAOSTAT, 2011). Occupa il terzo posto, in termini di superficie coltivata, dopo pomodoro e patata e rappresenta una base economica importante in alcune Regioni tra cui soprattutto Puglia, Sicilia, Sardegna, Campania e Lazio. Il germoplasma attualmente disponibile viene raggruppato e classificato secondo diversi criteri. In base all'epoca di raccolta, si distinguono varietà autunnali o primaveri. Le prime, dette anche "precoci" o "rifiorenti", assicurano una produzione pressoché continua tra autunno e primavera e comprendono il Violetto di Sicilia con le varie forme ad esso ascrivibili (Masedu, Molese), lo Spinoso Sardo, il Violetto Spinoso di Palermo, il Violetto di Provenza, il Violetto brindisino. Le seconde, indicate anche come "primaverili" o "tardive", forniscono produzioni solo primaverili (febbraio - giugno) includono i Romaneschi, il Violetto di Toscana, i Marchigiani e i Campani. In base alle caratteristiche del capolino, quali colore delle brattee esterne, dimensione, forma e presenza di spine sulle brattee, le varietà sono raggruppate in "inermi" (Violetto di Sicilia, Violetto di Provenza, Romanesco, Violetto di Toscana) o "spinosi" (Violetto Spinoso di Palermo, Spinoso Sardo, Spinoso di Albenga). Un primo tentativo di classificazione è stato effettuato da Porceddu et al. (1976), che hanno identificato quattro gruppi: "Spinosi" (Violetto Spinoso di Palermo, Spinoso Sardo, Spinoso di Albenga), "Violetti" (Violetto di Toscana, Violetto di Chioggia, Nostrano, Violetto di Pesaro), "Romaneschi" (Campagnano, Castellammare, Tondo di Paestum), "Catanesi" (Violetto di Sicilia, Violetto di Provenza). Detta classificazione è stata aggiornata da indagini di carattere molecolare dimostrando che la variabilità genetica osservata all'interno di accessioni relative ad alcuni tipi varietali, è risultata essere maggiore di quella riscontrata fra accessioni diverse dello stesso tipo varietale confermando la composizione multiclonale di molte varietà a propagazione agamica. L'Italia presenta una ricca biodiversità cinaricola che si concretizza nella locale coltivazione di una moltitudine di tipi varietali ed ecotipi, molto spesso ben adattati alle condizioni pedoclimatiche contingenti. La cinaricoltura si avvale in generale di popolazioni locali, spesso caratterizzate da una composizione multiclonale a base genetica molto ampia e da un elevato grado di eterozigosi. Malgrado la possibilità di disporre di una così ampia biodiversità, la cinaricoltura italiana si basa per lo più sulla coltivazione di pochi tipi varietali che, per caratteristiche bio-agronomiche, merceologiche, nonché per la capacità di adattamento agli areali di coltivazione, hanno incontrato il favore di cinaricoltori e consumatori. La biodiversità presente a livello locale è tuttora poco conosciuta tanto da determinare confusione sia nella terminologia che nella classificazione del germoplasma disponibile. Esiste infatti un ampio numero di popolazioni che prendono il nome dalla rispettiva zona di coltivazione, pur a volte non geneticamente differenziate tra loro. È il caso del carciofo di Cupello per il quale, sin dalla fine degli anni '50, il genotipo coltivato è costituito dalla popolazione Campagnano e per il Pian di Rocca, il cui genotipo coltivato è rappresentato dalla cv Terom. La variabilità genetica presente nelle popolazioni delle attuali carciofaie rappresenta un limite per l'uniformità delle produzioni lasciando intravedere possibilità di selezionare nuovi cloni e di iscrivere nuove varietà al Registro Nazionale. È tuttavia da considerare che la prevalente coltivazione di cloni selezionati potrebbe invece innescare un fenomeno di erosione genetica con conseguente perdita della biodiversità autoctona. È il caso del clone Romanesco precoce C3, proveniente da selezione massale nella popolazione Castellammare, che si è avvantaggiato della moltiplicazione in vitro per diffondersi al livello nazionale, anche in regioni dove tradizionalmente si coltivavano altre tipologie. Anche il tradizionale carciofo Empolese è scomparso da tempo dai campi toscani in quanto, a causa della sua bassa resa dovuta all'epoca di raccolta eccessivamente ritardata, è stato sostituito dal clone C3. Negli ultimi due decenni, anche il Violetto di Toscana è stato in parte sostituito dalla cv Terom. Di fronte al rischio di erosione genetica e alla necessità di conservare la diversità locale, il Progetto CARVARVI, finanziato dal MiPAAF, ha permesso di caratterizzare molto germoplasma autoctono. Tale caratterizzazione è stata preceduta, in molti casi, da un lavoro di risanamento da virus e successiva micropropagazione del materiale. È inoltre importante l'iscrizione al Catalogo di Conservazione per le varietà locali (decr. MiPAAF 18 settembre 2012 - G.U. n. 287 del 10/12/2012) che, assieme anche al marchio di qualità (IGP, DOP), permette di tutelare a livello anche europeo il suddetto patrimonio genetico. Le schede, oggetto della presente pubblicazione, sono state realizzate dalle diverse unità operative del progetto CAR-VARVI operanti in regioni cinaricole diverse e rappresentano un primo tentativo di conoscenza della situazione attuale delle risorse genetiche autoctone. Un ulteriore supporto da parte del MiPAAF potrebbe risultare fondamentale per la loro tutela e conservazione.

Schede valutative di alcuni genotipi di carciofo realizzate nell'ambito del progetto MiPAAF "CAR-VARVI-Valorizzazione di germoplasma di carciofo attraverso la costituzione varietale e il risanamento da virus

Teodoro Cardi;Gabriella Sonnante;Antonino De Lisi;Giulio Sarli;Marina Tucci;Luigi De Masi;Giuseppe Sonnante;Nicola Calabrese;Boari Francesca;Cantore Vito;Di Venere Donato;Pieralice Maria;De Palma Egidio;Linsalata Vito;
2013

Abstract

Il carciofo (Cynara cardunculs var. scolymus L., 2n = 2x = 34) è una delle più importanti colture ortive in Italia, primo paese produttore a livello mondiale con 49.577 ha coltivati e 474.550 t di capolini raccolti (dati FAOSTAT, 2011). Occupa il terzo posto, in termini di superficie coltivata, dopo pomodoro e patata e rappresenta una base economica importante in alcune Regioni tra cui soprattutto Puglia, Sicilia, Sardegna, Campania e Lazio. Il germoplasma attualmente disponibile viene raggruppato e classificato secondo diversi criteri. In base all'epoca di raccolta, si distinguono varietà autunnali o primaveri. Le prime, dette anche "precoci" o "rifiorenti", assicurano una produzione pressoché continua tra autunno e primavera e comprendono il Violetto di Sicilia con le varie forme ad esso ascrivibili (Masedu, Molese), lo Spinoso Sardo, il Violetto Spinoso di Palermo, il Violetto di Provenza, il Violetto brindisino. Le seconde, indicate anche come "primaverili" o "tardive", forniscono produzioni solo primaverili (febbraio - giugno) includono i Romaneschi, il Violetto di Toscana, i Marchigiani e i Campani. In base alle caratteristiche del capolino, quali colore delle brattee esterne, dimensione, forma e presenza di spine sulle brattee, le varietà sono raggruppate in "inermi" (Violetto di Sicilia, Violetto di Provenza, Romanesco, Violetto di Toscana) o "spinosi" (Violetto Spinoso di Palermo, Spinoso Sardo, Spinoso di Albenga). Un primo tentativo di classificazione è stato effettuato da Porceddu et al. (1976), che hanno identificato quattro gruppi: "Spinosi" (Violetto Spinoso di Palermo, Spinoso Sardo, Spinoso di Albenga), "Violetti" (Violetto di Toscana, Violetto di Chioggia, Nostrano, Violetto di Pesaro), "Romaneschi" (Campagnano, Castellammare, Tondo di Paestum), "Catanesi" (Violetto di Sicilia, Violetto di Provenza). Detta classificazione è stata aggiornata da indagini di carattere molecolare dimostrando che la variabilità genetica osservata all'interno di accessioni relative ad alcuni tipi varietali, è risultata essere maggiore di quella riscontrata fra accessioni diverse dello stesso tipo varietale confermando la composizione multiclonale di molte varietà a propagazione agamica. L'Italia presenta una ricca biodiversità cinaricola che si concretizza nella locale coltivazione di una moltitudine di tipi varietali ed ecotipi, molto spesso ben adattati alle condizioni pedoclimatiche contingenti. La cinaricoltura si avvale in generale di popolazioni locali, spesso caratterizzate da una composizione multiclonale a base genetica molto ampia e da un elevato grado di eterozigosi. Malgrado la possibilità di disporre di una così ampia biodiversità, la cinaricoltura italiana si basa per lo più sulla coltivazione di pochi tipi varietali che, per caratteristiche bio-agronomiche, merceologiche, nonché per la capacità di adattamento agli areali di coltivazione, hanno incontrato il favore di cinaricoltori e consumatori. La biodiversità presente a livello locale è tuttora poco conosciuta tanto da determinare confusione sia nella terminologia che nella classificazione del germoplasma disponibile. Esiste infatti un ampio numero di popolazioni che prendono il nome dalla rispettiva zona di coltivazione, pur a volte non geneticamente differenziate tra loro. È il caso del carciofo di Cupello per il quale, sin dalla fine degli anni '50, il genotipo coltivato è costituito dalla popolazione Campagnano e per il Pian di Rocca, il cui genotipo coltivato è rappresentato dalla cv Terom. La variabilità genetica presente nelle popolazioni delle attuali carciofaie rappresenta un limite per l'uniformità delle produzioni lasciando intravedere possibilità di selezionare nuovi cloni e di iscrivere nuove varietà al Registro Nazionale. È tuttavia da considerare che la prevalente coltivazione di cloni selezionati potrebbe invece innescare un fenomeno di erosione genetica con conseguente perdita della biodiversità autoctona. È il caso del clone Romanesco precoce C3, proveniente da selezione massale nella popolazione Castellammare, che si è avvantaggiato della moltiplicazione in vitro per diffondersi al livello nazionale, anche in regioni dove tradizionalmente si coltivavano altre tipologie. Anche il tradizionale carciofo Empolese è scomparso da tempo dai campi toscani in quanto, a causa della sua bassa resa dovuta all'epoca di raccolta eccessivamente ritardata, è stato sostituito dal clone C3. Negli ultimi due decenni, anche il Violetto di Toscana è stato in parte sostituito dalla cv Terom. Di fronte al rischio di erosione genetica e alla necessità di conservare la diversità locale, il Progetto CARVARVI, finanziato dal MiPAAF, ha permesso di caratterizzare molto germoplasma autoctono. Tale caratterizzazione è stata preceduta, in molti casi, da un lavoro di risanamento da virus e successiva micropropagazione del materiale. È inoltre importante l'iscrizione al Catalogo di Conservazione per le varietà locali (decr. MiPAAF 18 settembre 2012 - G.U. n. 287 del 10/12/2012) che, assieme anche al marchio di qualità (IGP, DOP), permette di tutelare a livello anche europeo il suddetto patrimonio genetico. Le schede, oggetto della presente pubblicazione, sono state realizzate dalle diverse unità operative del progetto CAR-VARVI operanti in regioni cinaricole diverse e rappresentano un primo tentativo di conoscenza della situazione attuale delle risorse genetiche autoctone. Un ulteriore supporto da parte del MiPAAF potrebbe risultare fondamentale per la loro tutela e conservazione.
2013
Istituto di Bioscienze e Biorisorse
Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari - ISPA
978-88-87173-13-0
caratterizzazione morfologica
schede varietali
germoplasma
varietà tradizionale
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14243/315190
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